Assunta Spina, la celebrità e una vita da Diva
Su suggerimento della Bertini, infatti, Barattolo aveva deciso di acquistare i diritti anche per Assunta Spina, melodramma teatrale di vecchia conoscenza per la Bertini, la quale attraverso il supporto del suo autore, Salvatore Di Giacomo, aveva esordito in teatro proprio recitando in una piccola parte della pièce e poi inaugurato la propria carriera di attrice cinematografica. Se la prima formazione dell’attrice si fa comunemente discendere dal teatro verista napoletano, il desiderio della Bertini di mettersi nei panni di una popolana può essere interpretato un po’ come un omaggio a quelle origini, quasi come un punto di svolta nella sua carriera: andando oltre l’ardimento già dimostrato nell’interpretazione di Histoire d’un Pierrot, interpretando la popolana Assunta Spina la diva sceglieva scientemente di spogliarsi dei panni della donna fatale da cinema in frac e di calarsi in un dramma tragico venato di quei toni naturalisti tipici del cinema napoletano.
Per la Bertini il film rappresentava «una pagina importantissima della storia del cinema» ed era stata proprio lei ad attribuirgli – e ad attribuire, dunque a sé stessa – il merito, oramai riconosciuto all’unanimità, di aver inaugurato con un anticipo di trent’anni la vera stagione del neorealismo italiano. Così dichiarava durante un flusso di coscienza rivolto a Giorgio Barattolo, nipote di Giuseppe:
Dicono neorealismo, neorealismo, ora tutti hanno inventato il neorealismo, mai il primo vero film neorealista è Assunta Spina, del 1914. Questo per quelli che non lo vogliono sapere o a cui non fa piacere sentirlo. Comunque rimane un fuoriclasse, un film che non è costato quasi nulla, fatto con la luce naturale, un film girato così alla buona, mentre su Napoli cadeva una pioggia torrenziale…
Un fuoriclasse realizzato con scarsità di mezzi, dedizione al realismo e grande inventiva. Questa la più efficace sintesi di un’opera girata, senza l’ausilio di alcun artificio, nei bassifondi di Napoli, dove a fianco di una Bertini senza trucco, fasciata solo di vesti umili e di un grande e pesante scialle scuro, faceva la sua apparizione anche Gustavo Serena, protagonista maschile del film. Quest’ultimo si era calato nei panni di Michele, fidanzato di Assunta incarcerato per averla sfregiata a causa della gelosia di lui nei confronti di Raffaele, un pretendente di Assunta da lei più volte rifiutato. Per far mettere Michele in un carcere dove lei potesse andare a fargli visita, Assunta accetta però di diventare amante del cancelliere Federigo Funelli, del quale presto si innamora dimenticando Michele; quando quest’ultimo esce di prigione e scopre che la donna non lo ama più, in un momento di follia decide di uccidere Federigo. Distrutta da un destino funesto che sembra non volerle dare pace, nell’ultima scena del film Assunta confessa alla polizia un omicidio che non ha commesso.
Nonostante l’ottima prova di Serena, di questa pellicola di fati maledetti è Francesca Bertini l’interprete più preziosa, ed è probabilmente questo il suo film più rappresentativo; se dal punto di vista dell’interpretazione persino le scene più concitate – come quella finale, in cui imbastendo una vera e propria lotta di gestualità confessa a Michele del suo disinnamoramento – sono dominate da una recitazione modesta, misurata e aderente a quei criteri naturalistici appartenenti a un cinema ancora a venire, è lei stessa a confermarci attraverso le parole della sua autobiografia quanto in Assunta Spina lei aveva saputo essere «modernissima», introducendo il cinema al realismo, mettendo da parte «le creature fatali, ingemmate» per confondere la propria anima con quella di Assunta e scegliere, finalmente, di rappresentare la verità. Andando poi oltre l’enorme e giusto consenso riscosso dal film sin dalla sua presentazione, poi proseguito e arricchito da infiniti esempi di critica e analisi effettuati durante gli anni, è il contributo di Gerardo Guccini contenuto all’interno del libro di Mingozzi sulla diva a individuare con maggiore accuratezza il merito interpretativo della Bertini. Dopo una dettagliata analisi della sua prova attoriale lo studioso conclude infatti che
L’interpretazione di Assunta Spina non rappresentò una svolta realistica di taglio radicale, ma combinò i comportamenti quotidiani con il pittoricismo e l’espressività dilatata della recitazione divistica, creando un insieme di immediatezza e artificiosità che la Bertini riprese fino a farne la sua cifra personale.
Definire la prova della Bertini un mix di immediatezza e artificiosità vuol dire innanzitutto tornare a definire le dinamiche e le origini stesse del gesto attoriale moderno, che è di per sé un equilibro certosino tra realtà e finzione. Attribuire poi all’attrice il merito di aver realizzato i principi, per quanto ancora rozzi e tacciati dal filtro teatrale, della recitazione moderna significa riconoscerle una capacità di innovazione inaudita per gli standard dell’epoca, un evento più unico che raro, verificatosi grazie alle particolari condizioni narrative e tecniche di realizzazione di Assunta Spina e che infatti non troverà più alcuna replica negli anni d’oro del cinema muto.
Francesca Bertini e l’esordio in regia con Assunta Spina
A quegli stessi criteri di modernità, artificio e immediatezza che caratterizzano l’aspetto recitativo risponde peraltro anche il reparto tecnico-autoriale del film di Serena, che come figura di direttore artistico ufficiale si era ritrovato a dover cedere il suo ruolo, ancora una volta, proprio a Francesca Bertini: dichiaratasi infatti in più occasioni come la vera regista, montatrice, coreografa e autrice del film, secondo le molte testimonianze fornite dallo stesso Serena e da altri l’attrice aveva effettivamente preso da subito le redini della produzione.
Molte delle trovate sceniche e di scrittura sono dunque da attribuire a lei: dalla decisione di far girovagare liberamente i protagonisti per le strade di Napoli, alla scelta di mostrare Assunta sfregiata allo specchio dopo il litigio con Michele; passando poi per la scena in cui Alberto Collo, passato sul set a salutare, diventa uno dei carabinieri che arrestano Assunta sul finale; per finire con la regola vigente sul set di Assunta Spina come di molti altri suoi film, di non utilizzare mai primi piani sul suo volto, ma piuttosto di impiegare quelli che lei definisce “terzi piani”, cioè piani americani dove dell’attore si mostra solo il busto per intero. Se ancora nel già citato dialogo con Giorgio Barattolo ci terrà a precisare che
Il montaggio lo facevo, di tutti i miei primi film l’ho fatto io. Avevo certi occhi svelti ormai… ma pensa che per Assunta Spina sono stati girati duemiladuecento metri in tutto. […]. Ero io il regista, ma non volevano mettere il mio nome. Ma l’ho fatta io tutta l’Assunta Spina; certo, Serena mi ha aiutata molto.
saranno le stesse parole di Gustavo Serena in un’intervista concessa a Vittorio Martinelli a confermarci, più di ogni altra cosa, come Assunta Spina possa essere definito, nei fatti, l’esordio alla regia della Diva:
E chi poteva fermarla? La Bertini era così esaltata dal fatto di interpretare la parte di Assunta Spina, che era diventata un vulcano di idee, di iniziative, di suggerimenti. In perfetto dialetto napoletano, organizzava, comandava, spostava le comparse; e se non era convinta di una scena, pretendeva di rifarla secondo le sue vedute. Era in un vero e proprio stato di grazia […].
In quello stato di grazia la signorina Bertini ci rimarrà ancora a lungo, perché in seguito al successo senza precedenti di Assunta Spina l’attrice partenopea era stata battezzata come la Diva preferita tra le tutte le dive, amata dal popolo e dalla borghesia e ancor più adorata dal produttore Barattolo; mentre quest’ultimo accumulava ingenti capitali e un enorme consenso, offriva alla star contratti a breve termine che la impegnavano sì a girare molti film, ma le garantivano anche compensi sempre più elevati. Erano questi anni che l’attrice ricorda come febbrili («Povera Francesca come faticava! Come la trovi un’altra che f...