Sigmund Freud
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Sigmund Freud

Il medico dell'inconscio. Una biografia

Peter-André Alt

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Sigmund Freud

Il medico dell'inconscio. Una biografia

Peter-André Alt

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Vienna sul finire dell'Ottocento: difficile immaginare uno scenario migliore per la sofferenza psicologica dell'uomo moderno, capitale di un impero in splendida decadenza, specchio delle illusioni esistenziali e dell'identità frantumata di una generazione.Qui il neurologo Sigmund Freud lavora alle sue rivoluzionarie teorie sulla sessualità e la nevrosi, i sogni e l'inconscio, la famiglia e la società, le fiabe e il mito.Attingendo a materiale inedito, Peter-André Alt racconta lo sviluppo della psicoanalisi come movimento, i suoi trionfi e le sue sconfitte.Di Freud emerge il ritratto di un dogmatico autocritico, un eroe della scienza, un ebreo ateo e un appassionato padre di famiglia, lettore straordinariamente colto e grande scrittore. E non ultimo, uomo lacerato, con una profonda e cupa esperienza personale dei turbamenti dell'anima da cui la psicoanalisi avrebbe dovuto liberare l'umanità.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2022
ISBN
9788836006571

1

Romanzo familiare

(1856-1873)

UNA FRAGILE ROCCIA

La storia dell’uomo che ci ha insegnato a scrutare le impronte della nostra infanzia per cogliere le profondità dell’anima non è priva di punti interrogativi. Ci sono due motivi fondamentali per cui non abbiamo praticamente alcuna notizia dei primi anni di Freud. L’inizio della sua esistenza è coinciso con un periodo in cui le testimonianze di vita quotidiana – specie nelle famiglie piccolo borghesi – non venivano ancora preservate in modo sistematico, come invece sarebbe avvenuto più tardi. L’infanzia e la gioventù di Freud si perdono nella luce crepuscolare di un’epoca definita per i più dall’urgenza del bisogno, dalle ristrettezze materiali e da una faticosissima lotta per la sopravvivenza. Non c’era tempo per permettersi il lusso di tutelare la storia individuale conservando lettere o altri documenti. D’altra parte, Freud stesso aveva la tendenza a far sparire le tracce. In diversi periodi della sua vita distrusse vari documenti e arrivò persino a bruciare parte della propria corrispondenza. Animato da un certo piacere per la mistificazione, Freud fece in modo che già nelle sue prime biografie ci fossero punti oscuri, oggi quasi impossibili da chiarire. Il 28 aprile 1885 spiegava alla fidanzata Martha Bernays come passasse volutamente sotto silenzio i propri anni giovanili, percepiti come un continente che ormai non gli apparteneva più: «Per di più tutto ciò che è anteriore alla grande svolta della mia vita, anteriore cioè al nostro amore e alla scelta della mia professione, è morto da lungo tempo e non gli deve essere negata onorevole sepoltura. I biografi dovranno arrabattarsi né noi vogliamo rendere loro le cose facili.»1
Sigmund Schlomo Freud venne al mondo, sul far della sera, il 6 maggio 1856 a Freiberg (oggi Příbor), in Moravia (oggi Repubblica Ceca). Siegfried Bernfeld, a cui dobbiamo dettagli importanti sui primi anni di Freud, fu il primo a notare che il registro ufficiale riportava il 6 marzo come data di nascita.2 Si trattava probabilmente di un errore dell’impiegato di turno, dato che il certificato di nascita preparato dal parroco Anton Stojan riporta una data diversa. Vi si legge che Sigismund Freud, figlio legittimo dell’«agente di commercio» Jakob Freud e della moglie Amalia, era nato il 6 maggio ed era stato circonciso il 13 maggio da Samson Frankel di Ostrau. Avevano fatto da «kvatter» – simili al «padrino» e alla «madrina» del battesimo cristiano – il rabbino Lipe Horowitz e la sorella Mina,3 come attestato sempre dall’anagrafe. Il dato coincide con quanto scritto dal padre di Freud sulla propria Bibbia, dove il 6 maggio compare come data del parto e il 13 maggio come data della circoncisione.4
I genitori del piccolo Freud condividevano una misera stanza nella casa di un fabbro, in una situazione decisamente poco adatta alla vita familiare. Jakob e Amalia Freud si erano sposati il 25 luglio 1855, Sigismund era il loro primo figlio. Il padre, che aveva già quarant’anni, era nato il 18 dicembre 1815: originario della Galizia orientale, era attivo nel commercio della lana. Sosteneva di essere nato lo stesso giorno di Bismarck – 1º aprile 1815 – ma questo dipendeva da una conversione grossolana del calendario ebraico. Il figlio avrebbe più tardi adottato questa versione e fornito come data di nascita del padre il 1º aprile.5 La famiglia, originaria della Renania, si doveva essere trasferita a est già alla fine del XIV secolo, a causa del montante antisemitismo.6 Il nonno, Schlomo Freud, e la nonna, Peppi Hofmann, erano cresciuti in Galizia, a Tysmenitz. Avevano tre figli maschi, di cui Jakob era il maggiore.
Jakob Freud fu educato come ebreo ortodosso, imparò l’ebraico, leggeva la Bibbia e viveva in conformità alle regole della propria religione. Come riferito da Sigmund nel 1930, suo padre era cresciuto nell’«ambiente chasidico» ma, con gli anni, si era lasciato quell’influenza alle spalle.7 In Moravia si parlava tedesco e ceco, a seconda dell’interlocutore e della situazione. Sigmund Freud si sarebbe ricordato ancora decenni più tardi di aver parlato ceco correntemente durante l’infanzia – un’abilità subito persa non appena arrivato a Vienna.8 Jakob Freud divenne commerciante di stoffe e ad appena 17 anni si sposò con Sally Kanner, da cui ebbe due figli maschi, Emanuel e Philipp, che avevano oltre vent’anni più di Freud.9 Sin da subito cominciò a viaggiare per lavoro, percorse la Moravia in lungo e in largo, per stabilirsi finalmente a Freiberg nel 1844 con la famiglia, dove presto mise su una piccola ditta tessile.10 Freiberg (Příbor) è situata nella Moravia nord-orientale, a 205 chilometri da Vienna. A metà del XIX secolo, quella cittadina di meno di 3000 abitanti era un centro dell’economia tessile preindustriale, con cui anche Jakob Freud si guadagnava da vivere facendo il commerciante e il piccolo fabbricante di stoffe. La popolazione cattolica rimaneva predominante, condizionando il clima culturale e sociale. I piaristi (scolopi) vi avevano fondato il ginnasio nel 1694 e la confessione cattolica romana definiva l’immagine della città – non da ultimo grazie alla chiesa di San Valentino, costruita nel 1596.
A partire dal 1782 l’editto di tolleranza di Giuseppe II aveva stabilito pari diritti per gli ebrei, ma le cose in realtà stavano ben diversamente. Pur avendo il diritto di praticare liberamente la propria religione, gli ebrei non potevano comunque farlo pubblicamente. A Vienna la prima sinagoga venne inaugurata nell’aprile del 1826 al tempo del rabbino Isaak Mannheimer, mentre in provincia rimanevano ancora notevoli restrizioni. La rivoluzione liberale del 1848 portò anche per gli ebrei un aumento delle libertà, ma fu presto nuovamente repressa dal Kaiser. Nelle regioni orientali, soprattutto in Moravia e Galizia, già all’inizio degli anni ’50 dell’Ottocento si verificarono attacchi che costrinsero le famiglie ebree alla fuga.11 Anche Jakob Freud conosceva bene, nella sua quotidianità, minacce e ostilità. Anni più tardi avrebbe raccontato al figlio di dieci anni come un uomo lo avesse colpito in strada, buttandogli a terra il berretto di pelliccia. «Giù dal marciapiede, ebreo!», gli aveva gridato l’assalitore. Quando Sigmund aveva chiesto al padre come si era difeso, questi gli rispose che non gli era nemmeno venuto in mente di opporre resistenza: aveva raccolto il berretto, continuando avvilito per la sua strada. Quell’episodio di sottomissione volontaria avrebbe riempito il figlio di delusione e rabbia: «Ciò non mi sembrò eroico da parte di quell’uomo grande e robusto che mi teneva per mano.»12 La sopravvalutazione dei genitori così tipica dei giovani, di cui Freud stesso parla nel suo breve saggio del 1908 Il romanzo familiare dei nevrotici, si mutò in quella circostanza in disillusione.13 Freud in quell’occasione si ripromise di opporsi ai provocatori, in caso fosse incappato in una situazione del genere da adulto. «Nemo me impune lacessit» («Nessuno mi infastidisce impunemente»): fece suo il motto della nobiltà britannica e italiana del Rinascimento, come avrebbe ricordato anni più tardi a C.G. Jung.14 La massima era citata nel racconto di Edgar Allan Poe Il barile di Amontillado (1846), che mette in scena il dipanarsi di una tremenda storia di vendetta ambientata a Roma nel periodo del carnevale. Il motto, che avrebbe colpito anche l’allieva di Freud Marie Bonaparte, a sua volta lettrice di Poe, tradisce un orgoglio destinato a diventare il segno distintivo dell’atteggiamento di Freud.15 Non voleva essere vittima, come il padre, ma al contrario padrone della situazione, difendendosi dalle ingiustizie. Ormai anziano, a 82 anni, Freud sottolineava che non era stato lui il responsabile della dissoluzione dell’originario coraggio ebraico nella storia dell’assimilazione.16
Nel 1855, dopo la morte prematura della moglie, Jakob Freud sposò l’attraente Amalia Nathanson, di vent’anni più giovane. Che tra il primo matrimonio e questo ce ne fosse stato un altro con una donna chiamata Rebekka, annullato secondo il costume ebraico per mancanza di figli, risulta dall’anagrafe di Freiberg.17 Se davvero il padre di Freud era stato sposato con Rebekka, come risulta dall’anagrafe, si trattò di un episodio di breve durata, su cui più tardi mantenne il silenzio. Amalia Nathanson, la nuova moglie, veniva da Brody, in Galizia orientale, e aveva vissuto da bambina a Odessa, per poi stabilirsi con la famiglia a Vienna. Lì Jakob Freud aveva conosciuto Jakob Nathanson, padre di Amalia, di cui era diventato socio in affari. Il matrimonio fu probabilmente parte di un accordo economico; se Nathanson avesse dei debiti con Freud o si fosse impoverito non è dato sapere. In ogni caso, il matrimonio con la giovane Amalia, che avrebbe potuto essere figlia di Jakob e sorella dei suoi figli maggiori, rappresentò un evento piuttosto insolito. Sigmund si rese conto sin dagli anni dell’infanzia della differenza di età tra i genitori, anche perché il fratellastro Philipp viveva a casa con loro. Come età si trovava più vicino ad Amalia che a Jakob, che veniva da un’altra generazione.
Nel corso degli anni Jakob Freud si liberò degli antichi vincoli religiosi che lo avevano segnato negli anni in cui aveva lavorato come rappresentante di commercio. Dopo il matrimonio con Amalia, rinunciò a indossare il tradizionale caftano e le visite alla sinagoga si diradarono. Suo padre, Schlomo Freud, dovette essere profondamente adirato dal suo atteggiamento. Probabilmente dietro questo cambiamento covava un conflitto piuttosto pesante – e non sarebbe stato l’ultimo conflitto intergenerazionale in famiglia. Jakob Freud del resto aveva imparato l’ebraico alla perfezione ed era in grado di leggere i testi sacri in lingua originale. La sua padronanza della lingua si avvicinava a quella del tedesco ed era in grado di esprimersi con eleganza.18 Le annotazioni con cui ricordava sulla sua Bibbia gli eventi più significativi, come la nascita dei figli e le circoncisioni, sono in ebraico. A suo figlio non avrebbe trasmesso questa conoscenza in modo sistematico, in quanto chiaramente ritenuta di secondaria importanza.19 Negli anni dell’infanzia gli avrebbe spesso letto il libro di Mosè, senza però accompagnarlo a insegnamenti religiosi. Quando Sigmund fu un po’ più grande, gli regalò un esemplare della Bibbia israelitica, nella prima edizione del 1844 stampata da Ludwig Philippson, che conteneva accanto al testo in lingua originale la traduzione tedesca di Lutero.20 I rabbini preferivano la traduzione di Leopold Zunz, di cui però il padre non condivideva più la rigida ortodossia, ragion per cui aveva scelto l’edizione di Philippson.
Mentre gli ebrei cosiddetti dei «tre giorni», sempre più laici, festeggiavano almeno Rosch ha-Schana (anno nuovo), Pessach (ricordo dell’esodo dall’Egitto) e Jom Kippur (giorno del perdono), a casa Freud ci si limitava alla festa di Seder e alla vigilia di Pessach. Occasionalmente veniva celebrato anche il Purim in ricordo della liberazione degli ebrei persiani, come Freud attesta in una lettera giovanile a Emil Fluss del 17 marzo 1873; le sorelle più giovani in quell’occasione mettevano in scena piccole rappresentazioni teatrali e suonavano tutte quante insieme.21 Pur se autodidatta, Jakob Freud aveva conoscenze non indifferenti in fatto di religione, mistica e storia. Il suo più grande desiderio, come ricorda Max Schur, era che Sigmund potesse diventare un «cercatore di verità».22 Nella vita quotidiana, tuttavia, aveva rinunciato a ogni forma di sottomissione al credo dei padri che rappresentava la base delle sue conoscenze. Invece di educare il figlio in modo rigidamente religioso, gli raccontava storie della Bibbia e quelle barzellette ebraiche basate su giochi di parole che più tardi avrebbero contribuito alla creazione della teoria psicoanalitica. Della tradizione religiosa rimanevano così le forme esterne e un fondo ormai completamente privo del significato originario. Quando Freud nell’ultima fase della sua vita si rivolse per certi versi all’ebraismo, questo ritorno avvenne nel segno di un legame di tipo psicologico. Si rese conto di non poter sfuggire a quella religione divenutagli estranea, perché la sua logica, il suo orgoglio, le storie e l’umorismo erano profondamente radicati nel suo intimo. Non da ultimo anche le radici familiari e le tradizioni legavano Freud alle origini ebraiche.23 Divenne consapevole del suo essere ebreo soprattutto nell’ambito delle esperienze personali, nel privato, mentre non sviluppò mai interesse per il sionismo, nelle sue varie manifestazioni tra Herzl, Buber e Rosenzweig. Quando la religione diventava politica o idealismo, Freud rimaneva distante; quando invece era fondata sulla fede autentica, la rispettava pur senza seguirla.
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FIGURA 1.1 Jakob Freud con il decenne Sigmund.
Anche se suo padre non aveva mai frequentato alcun istituto di istruzione superiore, era un uomo di notevoli capacità intellettuali, stimolante e sorprendente. Lo stesso Freud non l’avrebbe mai negato da adulto, nonostante il processo di emancipazione non fosse stato facile e alcuni comportamenti paterni risultassero discutibili. Allo stesso tempo dall’esterno il padre appariva forte e vitale, aveva una corporatura robusta e un fisico non indifferente – «una roccia», come lo avrebbe chiamato scherzosamente il figlio più tardi.24 Dietro la facciata di capofamiglia attivo ed energico si nascondevano però tratti contraddittori, che si rivelarono a Freud solo nel corso della propria autoanalisi del 1896 – dopo la morte del padre. Nelle zone buie, su cui è difficile fare luce, rientra il lavoro, di cui moglie e figli poco sapevano. Jakob Freud viveva di affari che probabilmente erano al limite della legalità. Il fatto che non avesse mai informato i familiari sull’origine del proprio denaro rivelava non tanto discrezione quanto paura – parleremo più nel dettaglio dei retroscena. C’erano anche tendenze sessuali discutibili. Dopo la propria autoanalisi, Freud finì per considerare il padre, a posteriori, un pederasta, i cui tentativi di abuso avevano scatenato gravi nevrosi nei fratelli. Retrospettivamente, ombre pesanti si stendevano su quell’apparente clima di idillio familiare: «Purtroppo mio padre stesso è stato un perverso e ha causato l’isteria di mio fratello (tutti i sintomi del quale sono identificazioni) e di una delle mie sorelle minori.»25 Freud non riuscì mai a provare la sua teoria; se vada invece interpretata come motivata dell’odio verso il padre e quindi come un’altra faccia di un rapporto incestuoso con la madre non è dato sapere. Così come non è possibile sapere in che misura la moglie sospettasse gli abusi o le infedeltà coniugali.26 Freud mantenne al riguardo una posizione volutamente poco chiara e rivelò soltanto che il padre aveva messo in piazza la propria vita sessuale in un modo che destava sospetti – ostentando gesti intimi, allacciando relazioni con le cameriere o seducendo i propri stessi figli. La vaghezza con cui avrebbe formulato i propri sospetti è tipica del rapporto di Freud con il padre. C’era una diffidenza diffusa, frutto di un atteggiamento ambivalente in cui si mischiavano recriminazione e ammirazione. L’ambiguo patriarca era un gigante fasullo che il figlio combatteva anche se non avrebbe dovuto sentirsi minacciato da lui. «Ora, il nostro atteggiamento verso padri e maestri», affermò Freud nel suo discorso in occasione del conferimento del premio Goethe nel 1930, «è di natura ambivalente, in quanto la nostra venerazione nei loro confronti nasconde di regola una componente di ostilità e di rifiuto.»27

LA MADRE E IL CONTINENTE OSCURO

Nel 1926, nello studio sulla psicoanalisi condotta da non medici, Freud riconobbe che, nonostante l’intensa analisi, il sesso femminile era rimasto un continente oscuro per la psicologia.28 Davanti a Marie Bonaparte si trovò a dire: «Il grande interrogativo a cui non si è mai data risposta e a cui non sono stato ancora in grado di rispondere, nonostante i trent...

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