La tirannia del tempo
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La tirannia del tempo

L'accelerazione della vita nel capitalismo digitale

Judy Wajcman, Daria Restani

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La tirannia del tempo

L'accelerazione della vita nel capitalismo digitale

Judy Wajcman, Daria Restani

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Il pollice che compulsa freneticamente lo schermo dell'iPhone; le notifiche a fare da sottofondo costante; mail inviate e ricevute a qualsiasi ora. L'immagine più comune che abbiamo di noi stessi è quella di persone sempre di corsa, prive del controllo del proprio tempo e ostaggi dello smartphone, che ci avrebbe allontanati dalla "vera comunicazione umana". Niente più che uno stereotipo, sostiene Judy Wajcman: in realtà i device tecnologici hanno anche un potente valore emancipatorio e numerosi studi hanno dimostrato che dagli anni Sessanta a oggi il tempo libero è aumentato, non diminuito. Bisogna invece riconoscere che siamo schiavi di un modello che ci siamo autoimposti, prigionieri del mito dell'accelerazione che pensiamo tipico della nostra epoca ma che in realtà ha una lunga tradizione alle spalle, e di un modello di vita indaffarata che spesso è considerato solo uno status symbol. La tirannia del tempo è un libro che invita a un profondo ripensamento del dibattito sull'equilibrio tra vita privata e lavoro, e sulle dinamiche emergenti della nostra società.

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Information

Publisher
Treccani
Year
2020
ISBN
9788812008193

1

SOCIETÀ AD ALTA VELOCITÀ

Il ritmo della vita sta accelerando?

Qualunque tentativo di dare un senso alla condizione umana all’inizio del nuovo secolo dovrà partire dall’analisi dell’esperienza sociale della velocità.
WILLIAM SCHEUERMAN, Liberal Democracy and the Social Acceleration of Time
Il rimo a cui una società si muove è sempre stato considerato un suo tratto saliente. Dalla ruota al microchip, molte invenzioni ritenute cruciali per il progresso sono state progettate proprio per farci andare più veloce. Eppure, mai come nelle riflessioni sulla società di oggi il fenomeno dell’accelerazione ha assunto un ruolo così determinante. La cosiddetta compressione spaziotemporale, l’idea che le tecnologie abbiano drasticamente accorciato le distanze, in termini sia di tempo che di spazio, è un motivo ricorrente, così come l’idea che i mutamenti economici, sociali e culturali avvengano molto più in fretta che in passato. Sembra che oggi tutto proceda a un ritmo forsennato, permeandoci di un nuovo senso del tempo.
In base alla logica comune, questa sensazione di essere sempre di corsa non dovrebbe sorprenderci, visto che viviamo in una società ad alta velocità. La nostra epoca è letteralmente ossessionata dalla velocità: auto più veloci, treni più veloci, banda larga più veloce. Persino in amore, ci si affida allo speed dating. La velocità è sexy, e i dispositivi digitali ci vengono immancabilmente venduti come efficienti e in grado di farci risparmiare tempo, gli strumenti ideali per uno stile di vita adrenalinico e carico d’azione. Risulta in tal senso paradigmatico il software Siri dell’iPhone che, almeno stando a quanto promesso dalla pubblicità, consente di «usare la voce per mandare messaggi, impostare promemoria, fare telefonate e molto altro», magari mentre stai guidando o ti stai allenando. Per questa vita sempre in movimento ci vengono proposti anche braccialetti bluetooth per l’automonitoraggio che registrano dati di ogni tipo, dal battito cardiaco ai ritmi del sonno fino alle fluttuazioni dell’umore.
Questa smania di fare più cose contemporaneamente è sintomatica del ritmo frenetico della vita. La famosa strada di mattoni gialli potrà anche snodarsi per il Googleplex, con le sue belle serre, i campi da pallavolo, le arnie e quei giganteschi palloni colorati, ma ciò non toglie che «over the rainbow» gli ingegneri di Google dichiarano che non avrebbero mai immaginato di dover lavorare così tanto e in modo così smart. Nonostante la velocità e la tempistica siano così cruciali, si ricorre a maestri Zen affinché insegnino agli impiegati a fermarsi un attimo e fare un bel respiro. Il mantra dei Ceo è che la tecnologia ci obbliga ad andare più veloce, perciò dovremo adattarci a nuovi modi di fare impresa in «un mondo in cui sei letteralmente accerchiato da schermi, messaggi, cellulari e informazioni».1
Proprio come nelle aziende, anche nelle scienze sociali si tende a vedere nella tecnologia la vera forza motrice dell’accelerazione. L’idea che la digitalizzazione abbia generato un nuovo concetto di tempo trova larghissimo seguito, e viene descritta in vari modi: tempo istantaneo, tempo senza tempo, compressione spaziotemporale, distanziamento spaziotemporale, tempo cronoscopico, tempo puntinista o tempo della rete.2 Si sente perfino l’esigenza di una nuova scienza della velocità o, per citare Paul Virilio, di una dromologia. Al cuore di tutte queste interpretazioni c’è sempre l’idea che la vita stia accelerando. In particolare, la diffusione delle tecnologie di comunicazione, e il rischio evidente che possano aumentare il passo di una modernità già accelerata, hanno reso ancor più pressante la questione della velocità e di come potrebbero reagire gli esseri umani.
Ma se davvero il nostro universo digitale ruota intorno al concetto di accelerazione, in che cosa si traduce questo esattamente? Nonostante l’incredibile varietà di teorie che descrivono la nostra epoca come caratterizzata da una velocità estrema, la risposta a questa domanda rimane vaga ed elusiva. Come se non bastasse, sia in ambito accademico sia tra i non addetti ai lavori c’è una forte tendenza all’iperbole. Ad aggravare il problema, si aggiunge il fatto che i termini del dibattito sul futuro della tecnologia vengono in larga misura fissati proprio da chi progetta e promuove nuovi prodotti tecnologici.
Ecco perché inizierò il presente capitolo tentando di fare un po’ d’ordine in questo groviglio retorico e di chiarire il rapporto tra l’accelerazione tecnologica e il nostro ritmo di vita. Farò anche una breve panoramica delle teorie più accreditate sulla società della rete ad alta velocità, per farne affiorare il determinismo implicito. Forse è solo uno spiacevole ma inevitabile corollario della portata di tali riflessioni.
Purtroppo, però, ciò che finisce in secondo piano, o va addirittura perduto, è quanto il “virtuale” sia in realtà fatto di cavi, mattoni ed esseri umani, e chi conosce e utilizza (o non utilizza) le cosiddette Ict sono persone in carne e ossa, in scenari fisici e dalle coordinate geografiche ben precise. Per evitare questo rischio, il mio approccio sarà piuttosto quello di radicare saldamente la discussione su come il tempo digitale viene percepito, organizzato e negoziato nella vita di tutti i giorni.
Procedendo nell’analisi, mi avvarrò soprattutto degli studi su scienza e tecnologia (science and technology studies, Sts) che, almeno per un certo periodo, hanno tentato di fornire una visione più sfumata dei tanti modi in cui la tecnologia influisce sulla nostra percezione del tempo. Una prospettiva di questo tipo ci permette di vedere la società come qualcosa che va ben oltre la sua tecnologia, e quest’ultima come qualcosa che va ben oltre il suo repertorio di dispositivi. In altre parole, il mondo sociale non può essere ridotto alla tecnologia di cui si compone. Sia chiaro, però, che non intendo affatto sminuire il ruolo della tecnologia, anzi: solo prestando attenzione alle pratiche sociomateriali potremo iniziare a capire quanto l’interazione tra tecnologia e società possa in realtà rivelarsi fruttuosa.
Un approccio di questo tipo prenderà inevitabilmente le distanze dalle interpretazioni generaliste e lineari – che sanno solo dire che tutto sta accelerando – per far emergere, piuttosto, modelli di esperienza temporale più complessi. Questo ci obbligherà a porci delle domande, per esempio in merito a quando, e in quali ambiti, stiamo effettivamente subendo un’accelerazione (oppure un rallentamento) e quali ne siano le conseguenze sulla qualità della nostra vita.

Società dell’accelerazione

È raro che il fenomeno dell’accelerazione venga posto al centro delle analisi sociologiche, eppure è una presenza immancabile nelle riflessioni sulla società di oggi. Se nel campo della fisica abbiamo idee molto chiare in tema di velocità e accelerazione, quando si tratta di descrivere l’esperienza umana del tempo nella società ad alta velocità, gli stessi termini vengono usati in riferimento ai fenomeni più diversi.
Questo, ovviamente, crea una grande confusione poiché il concetto di compressione temporale è estremamente complesso, e se è innegabile che alcuni ambiti esistenziali stanno subendo un’accelerazione, ad altri forse non sta accadendo altrettanto, anzi è addirittura possibile che stiano rallentando.
Un’importante voce fuori dal coro è quella di Hartmut Rosa, che analizza nel dettaglio che cosa significhi definire le società occidentali come società dell’accelerazione. Trovo molto utili la definizione e i distinguo che opera tra i vari aspetti dell’accelerazione, ecco perché ho essenzialmente adottato la sua stessa chiave di lettura.3
Il primo e più misurabile processo di accelerazione è quello che interessa i trasporti, le comunicazioni e la produzione, e può essere definita accelerazione tecnologica. Il secondo è l’accelerazione dei mutamenti sociali, che sottintende che anche il ritmo del cambiamento sociale stia accelerando. Il concetto di fondo è che nelle società tardomoderne la stabilità istituzionale (per esempio, in ambito familiare e occupazionale) sta conoscendo un inesorabile declino. Il terzo processo è l’accelerazione del ritmo di vita, ed è soprattutto su questo che si concentra gran parte delle riflessioni sull’accelerazione culturale e sulla presunta necessità di una decelerazione. Per ritmo di vita (sociale) si intende la velocità e la compressione delle attività e delle esperienze nell’esistenza quotidiana.
L’aspetto più interessante è capire in che modo questi tre tipi di accelerazione interagiscano tra loro. Come sottolinea Rosa, si coglie un paradosso evidente tra il primo e il terzo processo: se l’accelerazione tecnologica comporta un risparmio di tempo (per far fronte a esigenze di produzione, trasporti ecc.), in teoria dovremmo avere più tempo libero a disposizione, il che, a rigor di logica, dovrebbe rallentare il ritmo di vita. Ma allora perché, a noi, di tempo sembra di averne sempre di meno, non di più? Di conseguenza, ha senso parlare di società dell’accelerazione soltanto se «l’accelerazione tecnologica e la crescente scarsità di tempo (ovvero un’accelerazione del “ritmo della vita”) si verificano simultaneamente».4 Questo libro tenterà proprio di fare luce sul paradosso della “pressione del tempo”.
In base a questa definizione, le analisi più generali della società contemporanea possono essere viste come mere varianti della solita teoria dell’accelerazione. In poche parole, queste analisi vedono un nesso causale diretto tra l’accelerazione tecnologica, in particolare la velocità dei sistemi di comunicazione elettronici, e la frenesia della vita quotidiana. Il fatto che le nostre interazioni sociali, sia nell’ambito del lavoro che per quanto riguarda il tempo libero, siano sempre più mediate dalla tecnologia – cioè che viviamo costantemente connessi – è un tema ricorrente. Qui intendo concentrarmi soprattutto su come viene concepito il nesso tra la velocità della tecnologia e il ritmo di vita. Esiste una vasta letteratura sulla cosiddetta compressione spaziotemporale. Come sappiamo, il geografo David Harvey vedeva in questo processo il fulcro della modernità o, se preferite, della postmodernità: «Uso la parola “compressione” perché […] la storia del capitalismo è stata caratterizzata da un’accelerazione nel ritmo della vita […]. Mentre lo spazio sembra rimpicciolirsi fino a diventare un “villaggio globale”».5
Un fattore chiave delle riflessioni di Harvey sulle dinamiche spaziotemporali del capitalismo è l’idea che i processi economici stiano accelerando. A suo parere, le forze motrici dell’accelerazione sociale sono rappresentate dalla globalizzazione e dalle innovazioni nelle Ict che favoriscono il rapido turnover dei capitali in tutto il pianeta. A differenza del capitalismo industriale, basato sullo sfruttamento della forza lavoro tramite una cieca obbedienza al tempo dell’orologio e ai modelli organizzativi di matrice fordista come la catena di montaggio, l’accumulazione flessibile richiede di concepire il tempo in modi del tutto nuovi. Harvey osserva che l’accelerazione generale nel tempo del turnover dei capitali accentua la natura volatile ed effimera di merci e capitali. Il cosiddetto capitalismo veloce annulla lo spazio e il tempo. Le distanze che una volta rallentavano il commercio globale sarebbero diventate meno importanti da quando gli esseri umani tendono sempre più a comunicare tramite tecnologie “in tempo reale”. Se, in un mondo fatto di eventi istantanei e simultanei, il concetto di distanza scompare, il tempo andrà fuori controllo. L’accelerazione, dunque, si riflette nelle temporalità concretamente vissute dell’esistenza umana, in particolare nella sempre più forte sensazione di una compressione spaziotemporale nella vita di tutti i giorni.
In linea di massima, queste riflessioni sull’accelerazione si rifanno all’interpretazione marxista del capitalismo, alla costante necessità di velocizzare la circolazione dei capitali. Più in fretta il denaro saprà tradursi nella produzione di beni e servizi, e più i capitali potranno espandersi e fruttare. Con il capitalismo, il tempo diventa letteralmente denaro, e «quando il tempo è denaro, “più in fretta” diventa sinonimo di “meglio”»: la velocità si trasforma in un bene indiscusso e indiscutibile.6 Le innovazioni tecnologiche giocano un ruolo chiave in quanto il trasferimento di informazioni, beni e persone riduce i costi e i tempi di circolazione dei capitali in tutto il pianeta (di fatto, quello che Marx definiva l’«annullamento dello spazio per mezzo del tempo»). Marx, però, non aveva previsto l’effettiva portata di questa compressione spaziotemporale.
I progressi nella velocità dei trasporti e delle comunicazioni hanno di fatto rimpicciolito il pianeta, dalla carrozza alle imbarcazioni a vela fino ai nostri aeroplani. Eppure, fu soltanto con l’invenzione del telegrafo negli anni Trenta dell’Ottocento che il trasporto fisico su ruota, nave e rotaia fu sfidato dal trasporto di messaggi a una velocità prima di allora impensabile. Grazie al telegrafo, un messaggio poteva giungere a destinazione in una minuscola frazione del tempo richiesto per recapitarlo fisicamente.
Tale fenomeno è cresciuto in misura esponenziale con l’avvento della comunicazione elettronica. L’esempio più eclatante è la velocità delle negoziazioni finanziarie automatizzate, che sta passando dai millisecondi ai microsecondi (milionesimi di secondo). Stiamo parlando di una velocità che supera di gran lunga i tempi di reazione umana, che si aggirano sui 140 millisecondi per gli stimoli uditivi e 200 millisecondi per quelli visivi. In un contesto del genere, perfino una pausa di 5 secondi può sembrare un tempo lunghissimo.7 Di fatto, la crescita esponenziale nella velocità di trasmissione, che nell’arco degli ultimi cent’anni ci ha portato fino a Internet, sta accelerando a tal punto che oggi si possono trasferire dati a un ritmo continuo di 186 gigabyte al secondo, il che si traduce in una trasmissione di dati pari a 2 milioni di gigabyte in un solo giorno.8
La nostra percezione del tempo è stata profondamente alterata dalla convergenza delle tecnologie della telefonia, della capacità di calcolo e della telecomunicazioni in un ambiente permeato di informazioni e comunicazioni istantanee e simultanee. Non sorprende, dunque, che a dispetto di una fase così intensa di compressione spaziotemporale, e della nuova percezione del tempo che ne è derivata, molti scienziati sociali stiano annunciando l’alba di un nuovo ordine sociale.
Come vedremo, il problema è che le teorie sull’accelerazione sociale risultano troppo schematiche per poter cogliere la molteplicità di orizzonti temporali (timescapes), veloci o lenti che siano, tratteggiati dai dispositivi digitali. Sembra che tutto ruoti esclusivamente intorno a reti “virtuali” e a un’ubiquità informatica, concepite come spazi eterei e privi di confini e un altrettanto eterea temporalità istantanea. Una chiave di lettura di questo tipo finisce per farci del tutto perdere di vista le dimensioni tangibili del tempo umano e sociale della vita quotidiana, racchiudendole «nell’involucro del banale, del ripetitivo, del triviale».9 In altre parole, viene messo del tutto in ombra il tempo quotidiano dell’intersoggettività, in cui donne e uomini in carne e ossa coordinano le rispettive pratiche temporali.

La società in rete

L’analisi più nota di questo fenomeno è probabilmente il saggio di Manuel Castells La nascita della società in rete. A suo parere, la rivoluzione nelle Ict ha dato origine a una nuova età dell’informazione, una società in rete in cui forza lavoro e capitale vengono appunto rimpiazzati da reti di informazioni e di conoscenza. Le informazioni sono l’ingrediente base delle organizzazioni aziendali, e i flussi di messaggi e immagini elettronici tra le reti costituiscono ormai la trama stessa della nostra struttura sociale. Castells definisce lo spazio dei flussi come la possibilità tecnologica e organizzativa di praticare la simultaneità senza la contiguità. Tali circuiti finiscono per avere la meglio, al punto che le reti e la loro interazione con altre reti diventano più importanti dei luoghi in sé. Per Castells, l’età dell’informazione, in cui la virtualità diventa una dimensione imprescindibile del reale, segna l’inizio di un’era del tutto nuova nell’esperienza umana.
Ai fini del nostro discorso, ciò che risulta particolarmente pregnante nella sua interpretazione è il concetto di sparizione del tempo: ci stiamo allontanando sempre di più dal tempo dell’orologio, tipico dell’epoca industriale; quel tempo che serviva a delineare i contorni e a mettere in successione gli eventi.10 Castells sostiene che il mondo si stia sempre più organizzando come uno spazio dei flussi: flussi di merci, di persone, di denaro e di informazioni tramite reti sparse e distribuite. La mera velocità e l’intensità di tali flussi, interazioni e reti globali finiscono per dissolvere il tempo, sfociando nella simultaneità e nell’istantaneità delle comunicazioni, ovvero in quello che Castells definisce un tempo senza tempo. Sebbene questo concetto abbia fatto la sua prima comparsa nell’ambito dei mercati finanziari, sta ormai dilagando in ogni sfera della vita. Sempre secondo Castells, dunque, non sorprende che l’esistenza stessa si sia trasformata in una corsa affannosa in cui, grazie alla tecnologia, gli individui si dedicano a più cose contemporaneamente, a più vite contemporaneamente, per raggiungere un «tempo senza tempo: la pratica sociale che punta a negare la sequenzialità fino a immergerci in una simultaneità perenne, in una simultanea ubiquità».11 In una retorica chiaramente postmoderna, dunque, la nostra società è quella dell’eterno e al tempo stesso dell’effimero, poiché lo spazio...

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