Fede e bellezza
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Fede e bellezza

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Fede e bellezza e un romanzo di Niccolo Tommaseo, scritto in Corsica tra il 1838 e il 1839 e pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1840 e, in versione definitiva, nel 1852.
Diviso in sei libri, il romanzo narra le vicende dell'amore e del matrimonio di Giovanni e Maria. Conosciutisi a Quimper, in Francia, i due si innamorano e cominciano a confidarsi il loro passato, soprattutto le loro esperienze amorose. Superati conflitti e tentazioni i due si sposano, e anche durante il matrimonio continuano a confidarsi ogni piu piccolo moto dell'anima. Nel finale Giovanni rimane ferito durante un duello con un francese che ha insultato l'Italia; riesce a guarire, ma solo per assistere dolorosamente alla malattia di Maria e alla sua morte, a causa della tisi.

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Information

Appendici

IL DIARIO DI GIOVANNI NELL'EDIZIONE DEL 1852

1[1]
2
Sacra cosa il dolore; e l'uomo dee con religione appressarglisi, e temere di non essere immeritevole di comprenderlo. Vedesti le lacrime mie, stringesti la mia mano, anche tu lagrimante: ma nel pianto nostro non era viltà. Non l'offeso orgoglio, ma l'amore ferito traggono lagrime dall'anime generose. Pur nelle lagrime in compagnia de' cari versate, è una virtù sanatrice, che il sorriso de' fortunati non ha.
Tra le ruine del bene, la viltà dell'uom tristo striscia e s'asconde come serpe in terreno di fango. Morde e fugge; fugge e a un tratto si volta; fugge e fischia di lontano, e aspetta aggomitolata entro una macchia, e improvvisa si lancia, e morde veleno.
Non ci irritino ad ira o a disprezzo le sozzure dell'anima umana contaminata. Piangiamo l'ingiustizia, gl'ingiusti amiamo.
3
Riandando coll'anima i luoghi sin dalla mia fanciullezza veduti fin qui, gli è un dolore come sì poche imagini me ne vivano in mente. Il sentimento rimane: ma al desiderio e al bisogno non basta. Vorrei rifare l'educazione de' sensi miei; vorrei dalle grandi acque della natura dedurre più rivi, che più vivi zampillino nel mio pensiero.
4
Il mio cielo natìo mi lasciò delle sue bellezze piuttosto un sentimento indefinito che imagini rilevate e spiranti. Ma questo sentimento primo è il fondo e la forma dell'indole e dell'ingegno. Ora, con la memoria raccapezzo le impressioni tenui dell'infanzia: e più tenui sono, e più la tela che c'intesso mi vien delicata. Quanto ci vuole a formare un'anima! a farla accorta del bello! Quant'è difficile che la bellezza di fuori aggiunga sino in fondo, e, nel passare, non perda!
5 [2]
6
L'affetto è a me fede, le lagrime lingua, patria il dolore. Chi soffre è mio congiunto. E abbracciare gli altrui patimenti m'è ristoro de' miei.
7
Corsica.
Il cielo tutto sereno: non sai se più l'oriente o più l'occidente. Le nubi o d'un ranciato allegro, o d'un bianchiccio mondo, o d'un cenerino vivo; altre quasi lasche che guizzano lucenti nel vano. Tra settentrione e ponente nuota nell'alto un'imagine che par della Vergine col Bambino, tutta d'oro: la luna le sorge rimpetto. Le case paiono scendere frettolose e festive verso la riva. L'aria è tranquilla: il mare, quasi affaticato da interno travaglio, flotta e manda larghe e pacate con rumore lento ai lidi le schiume.
8
Dalmazia.
Singolare nella schiettezza e nella pace sua, la mia vita, in diverse condizioni, trasportata d'un tratto; come soldato che pernotta, ora sul mare agitato, ora tra i bicchieri ed i canti, or fra i terrori di chi fugge e gli aneliti de' morenti.
Voglio un mese dell'anno consacrar la mia voce alla povera gente illirica; ch'amo qui rimanga una qualche scintilla della mia fiamma, e questi colli ignudi echeggino alla buona novella dello universale amore del quale vorrei essere e banditore e martire.
9
Parigi.
Quel tratto tra di campagnolo e di vecchio, indizio d'anima schietta e forte, fermò gli occhi miei sopra te. Alle prime parole noi due selvaggi fummo insieme domestici: te dal primo presentii amico immutabile. Oh le serate non gaie, ma liete d'intendente sorriso e d'alti desiderii e di lacrime! In te la potente semplicità dell'affetto. Ne' tuoi colloquii trovai la parola che va rotata e diritta nel segno. Per lodare un concetto e' diceva: "grande!"; per lodare un'anima, e' la chiamava fonda. Me non lodava in parole, ma col sorriso, quasi involontario, delle labbra e degli occhi. E i difetti miei tanti pativa, egli sdegnoso. Oh che severa e sicura e candida tenerezza!
Visitai, lui lontano, i suoi be' colli natii, là dove il Tirolo s'ingentilisce e s'allegra nel baciare l'Italia, ed è, Italia già. Visitai la sua casa; conobbi sua madre: egli, in sapendolo, pianse.
Mentre tu nel tuo villaggio ti pasci della Bibbia e di Dante, o scorri cacciatore ne' monti, o contempli le patrie colline scendere adagio e salire nell'orizzonte sereno; e mentre io sfango per sentire con ribrezzo le serve parole di qualche professore del Collegio di Francia; mentre beo questo latte ch'è amido, e questo vino ch'è acquavite allungata; e mentre d'un raggio di sole che tra scossa e scossa faccia capolino e dispaia, ringrazio Iddio come di gioia miracolosa; le nostr'anime, spero, si rincontrano in via, e come uccelli da diverso vegnenti, si parlano in loro linguaggio, e volano.
10 [3]
11
Val d'Arno.
Vidi da Santa Maria a Monte discendere coll'Arno la lieta campagna, lieta di paeselli e di ville, com'anima gentile di pensieri gentili. E vidi il fiume dall'alto; e passeggiai quindi nella rigogliosa ombra delle sue rive: e pensai gli anni avvenire non così procellosi né ardenti come corsero a me.
12 [4]
13[1]
14
Chi mi dà correre teco, Samuele, la tua dolce Brianza, teco salire il monte che San Girolamo Miani sceglieva a tempio d'intendente carità: e redivivi vedere, tra le ruine di minacciosi castelli, i signori orridi di ferro e d'orgoglio, e lasciare libero il volo (come il cuore lo spinge) all'ardita parola? Tu, Samuele, que' secoli del medio evo, a me bui, illuminasti sì, ch'io vi lessi tra lampi il nome di Cristo: e per te le voci della natura mi sonarono dentro men gaie ma più profonde: e intesi le torri antiche, e la croce lampeggiante tra l'armi, e le donne struggentisi in amore illibato, e le voluttà selvagge del cacciatore ch'ha il suo cuore ne' monti. Rammento le sere passeggiate ne' dolci colloquii sotto la splendida pace del cielo, nel prospetto dell'ampia campagna: rammento la quiete dell'anime riposanti insieme abbracciate alla fede comune, la fede ai misteri insegnatici dalle madri nostre, creduti dalle nostre sorelle: rammento le preghiere da te singhiozzate nella memoria di tuo padre morto, quando nel duomo buio per la notte cadente stavamo inginocchiati, tre anime concordi, io di tutte men pura. E debbo a te se più mesi mi furono consolati dalle cure materne di donna tenera e santa. Oh spirito lamentoso, a cui dall'ingegno cadde ombra sul cuore, pace sia teco!
15
Fortunato chi muore prima che mondana viltà gli contamini la dignità dell'affetto; prima che i dolci pericoli gli preparino pentire tardo. Più fredda che la pietra della sepoltura è la freddezza dell'uomo spietato. La morte ti ferisce una volta, la lingua del fratello tuo sette al dì. Che dico: ferisce? Non è la morte scheletro con falce, che miete dal mondo i conforti e semina guai; è vergine che va tra' fiori, e coglie or questo ora quello e li mette nelle mani degli angeli: noi miseri, aggrappati a una tavola fluttuante, paventiamo la calma del porto. O porto degli addolorati, o degli stanchi riposo, o libertà de' prigioni, o Morte, io t'adoro.
16
Conoscere alquanto a fondo le cose straniere giova a non disprezzare le proprie, e a nazionalmente promuoverle. Io di questa varietà son troppo forse invaghito: ma le varietà sempre più m'innamorano di questa Italia e della possente sua lingua. E dopo lungo errare mi è dolce riposarmi nel seno di lei: e rammentare le gioie rare che, miste agli antichi dolori, andavano in quelli come fiori nel turbine.
L'armonia che esce impensata dalle cadute e da voli, da' sonni e dalle battaglie, da' patimenti e dalle meditazioni della vita, vedute nella memoria tranquilla e nella coscienza severa è delle più arcane cose che umilino ed esaltino l'anima. Pare fortuito il riscontro di certe parole e atti e sensi in tempi lontanissimi e in quasi contrarii stati: ed è naturale. Gli è il seme medesimo che si svolge in tronco ed in fiori, e in polloni trapiantati via in altre terre; gli è il medesimo fiume, che or povero or abbondante, va per dirupi, per valli, per piani, passeggia, precipita, si perde, riesce, straripa, s'incanala, impaluda. Ma l'animo si compiace del ritrovare in qualche atto o parola degli anni primi il germe d'una feconda idea; la sorgente d'un proposito generoso; si compiace del sentire il passato echeggiar l'avvenire. Così nel viso infantile sono i lineamenti che sola la morte sfigurerà. E questa gioia è più umile che orgogliosa; perché alla natura, all'educazione, a Dio, reca il merito d'ogni bene; e dallo sforzo che il male ci costò, sentiamo ch'egli è fattura propria nostra! E pensando degli anni ne' quali le facoltà sue si vennero aprendo, l'uomo talvolta si maraviglia del non rammemorare il luogo né il modo: così la donna innamorata vorrebbe riandare passo passo le rapide vie del suo cuore, e in que' bagliori tenebrosi si perde con vertigine simile a sogno.
17
Da queste tombe solitarie il pensiero vola ad altre tombe calcate la notte da me giovanetto ne' chiostri del Santo di Padova. Quivi entro i' avevo una stanza; lieta del fiume corrente sotto coll'onda quieta tra il verde vivo. In essa avevo pensati i primi concetti di filosofia, e in essa i primi d'amore; ivi goduto de' quotidiani colloquii d'uomo innamorato dell'antica bellezza, che della bellezza il sentimento affinò in me, disgombrandolo dalla nebbia del secolo. E quest'uomo, a taluni dispetto, io l'amai: e una sera ch'e' mi pareva accasciato, pensando alla sua morte, piansi. Rammento il luogo dove lasciai lui lasso, io intenerito: là presso al ponte alle Torricelle, all'uscire d'un portico. Forse non ama tanto egli me quant'io lui. Ma quando, travolto da un giovanile amore, io correvo risico di perire, e' mi scrisse lettera senza rimprovero, addolorata, con parole che l'ingegno non crea ma il cuore ha.
18
Trovo in vettura una madre che colle solite carezze educa a molli amori sin dall'infanzia la sua bambina e le chiede un bacio, dicendo: "io languisco" — e avuto che l'ebbe: "un solo? Gli è come nulla".
I baci, né le parole, non hanno più valore oramai. Ma il sorriso n'ha più: perché dice più cose, e più indeterminate; che l'imaginazione e l'affetto possono nobilitarle, ampliarle.
19
S. Nicolò vicin di Padova.
Il sole scherza con gioia quasi giovanile nell'acque e sull'erba novella; e moltiplica l'erba nelle acque pure, e in esse tuffa i suoi raggi tremoli, serpeggianti, a fasci, a zampilli; e in vortici variati li gira.
Desino nella casa d'un vecchio venerando, che l'esperienza della città vicina congiunge alla semplicità campagnuola. Voce schietta, guardatura serena, canizie lieta, discorso distinto di proverbi e di sentenze; autorità indubitata ed amata sui figli, e sui figli de' figli. Vita vera.
20
Genova.
Genova è piacente città: e dalla riviera sua si diffonde letizia sul mare: e gli uomini in essa animosi, e le donne, belle; e pronti con la favella, gl'ingegni: e se l'accorgimento è di molto, molto anche il senno. — Perché mai le corone dell'arte ti mancano? Ma le avrai
21
Dell'origine illirica e della italiana un misto era in te che temprasti, Giuseppe, a piacevolezza fra mesta o sdegnosa e scherzevole l'ingegno mio. Tu, ingegno sereno, anima tetra, occhio torbo, labbro arridente: esempio tra tanti, come la facezia sia lampo sovente di nuvola minacciosa. Molto debbo io a te che poco m'amasti. Quando sedevamo alla mensa inornata ma ricca degli eletti doni della terra d'Italia, e sul fiore delle antiche cose e delle moderne volava la parola festevole e snella; o quando con una carrozza guardavamo in Padova i cavalli correnti e gli uomini applaudenti alle bestie; o quando seduti dinanzi a un'osteria di campagna, i raggi cadenti luccicavano nel tuo non avaro bicchiere; o quando a Milano, in vedermi una dolce mattina di primavera entrare nel duomo, tu sclamavi celiando, che questo mio fallo avresti confessato nello scrivere la mia vita, e mi mostravi per tempio la distesa de' cieli; né tu pensavi né io al torrentello che, non lontano da Trieste, doveva riceverti vivo, e renderti a tua madre cadavere. E tua madre è morta: e nessuno più si ricorda di te se non l'uomo del quale tu sprezzasti in sul primo la fede e le semplici apparenze; del quale poi l'ingegno indovinasti, non l'animo.
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Uno dei più amari desiderii della mia vita viene dal non avere, quant'io potevo, sin da' primi anni, contemplata la bellezza delle cose, avere di toni fatta siepe alla campagna, ombra al sole. Ma il ronzio delle parole acchiappate ne' libri non m'assordi in tutto alla modesta favella delle creature mute, maestre grandi di stile. Giovano a questo i viaggi, rinnovando l'aria che il pensiero respira, facendolo co' paragoni più destro, mostrando l'unità terribile, e l'elegante varietà delle cose. La mente allora dall'osservazione traendo sentimenti, si compiace nella fecondità propria, e osserva quindi con più intento volere. E i templi, i monti, le statue, le nubi, le acque, i visi umani, ogni cenno delle cose e dell'uomo, è loquela. Tra la natura e l'arte scopronsi insperate armonie: e dell'una i diletti con quelli dell'altra s'innalzano e affinano: s'educa il criterio del sentire, il gusto del cuore
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Ha ciascuno stato le gioie sue; tutte di tutti unire, impossibile: e a questo impossibile l'avida anima tende.
L'abitudine ha le sue gioie; ha la novità le sue; questa scuote più forte, quella penetra più profondo. Infelice chi presume godere i beni d'entrambe le vite, cogliere i fiori e gustare le frutta. Io sovente bramai congiungere le dolcezze della quiete e del movimento: ma la nave nella bonaccia non corre, né nella fortuna può il nocchiero sdraiato dormirsene in sulla prua. Allorché siedi a un ruscello che scende per l'erbe novelle, non puoi ritrovarti rannicchiato in gondola nera che voga per la notte serena. Divisi beni io confondo in un desiderio; e quegli che ho, e que' che mi mancano, sono angustia all'animo dall'agilità soverchia affaticato. Non è veramente il bene nemico del bene; ma le corte braccia dell'uomo non possono abbracciare ogni cosa. Conviene scegliere: e che il cuore insaziato restringa in pochi oggetti la terribile forza sua.
Ma i frutti della quiete insieme e del movimento cogliere in parte si può. Ogni giterella è viaggio, pur che scuota il pensiero. E, fatto l'abito, anco nel luogo medesimo rimanendo, è viaggio ogni passo; viaggi sono le memorie, i colloquii, ogni novello atteggiarsi, innanzi a noi, delle cose.
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Confine turco sopra Knin.
Un assito mal commesso è dunque barriera alla morte? Quel turco ch'io veggo di là grande e bello della persona, e semplice e grave, col fucile a armacollo, e tre coltelle e due pistole in cintola, ha forse la peste; domani forse sarà cadavere nero. Da questa parte salgono il pianoro squallido su brenne e ronzini, portando acquavite e metallo lavorato, e i ciondoli della civiltà: dall'altra scendono l'ignuda montagna, chi lesto a piede; chi lento dietro il passo sonante de' greggi e degli armenti; chi a tutta corsa in sul cavallo fumante, e non men bello del barbaro cavaliero. Contrattano a cenni, e un cenno al Turco è giuramento: scorre l'acquavite in docciettine di legno: il danaro si purga nell'aceto, i buoi in una vasca. E se la peste non salta il confine, se non distende il suo fiato sulla Dalmazia, l'Italia, l'Europa, ringraziatene… Chi? Il tavolato che la tiene addietro?
Si desina in una baracca. Accanto a un Croato tarpàno, dal viso fegatoso, siede una giovane donna, di grandi forme e belle, di languido candore sparso di lentiggini voluttuose, che, posta giù ogni vergogna, riposa il capo sulle larghe spalle del vecchio, e lo accarezza: ed egli vorrebbe arrossire e contenerla, ma la dolcezza lo vince, e il timore di dispiacere a lei, che addossata all'uomo, rivolge intorno gli sguardi, e par lieta.
Dall'alto di questo colle inameno ...

Table of contents

  1. Titolo
  2. Libro primo
  3. Libro secondo
  4. Libro terzo
  5. Libro quarto
  6. Libro quinto
  7. Libro sesto
  8. Appendici
  9. Note a pie' di pagina