La barca era vicina a un ponte, in un piccolo bacino formato dal canale che va da Delft allâAja, e ombreggiato dagli alberi della sponda come un laghetto di giardino.
Le barche che portan passeggieri da una cittĂ allâaltra si chiamano in olandese trekschuiten.
Il trekschuit è la barca tradizionale, emblematica dellâOlanda, comâè per Venezia la gondola. LâEsquiroz la definĂŹ: il genio della vecchia Olanda galleggiante sulle acque. E infatti, chi non ha viaggiato in trekschuit, non conosce lâaspetto piĂš originale e piĂš poetico della vita olandese.
Ă una grande barca occupata quasi tutta da un casotto, della forma dâuna diligenza, diviso in due scompartimenti: quello a prora per la seconda classe e quello a poppa per la prima. Sulla prora è piantata unâasta di ferro con un anello per il quale passa una lunga corda che da una parte si va ad annodare vicino al timone, e dallâaltra a un cavallo di rimorchio montato da un barcaiolo. Le finestrine del casotto hanno le loro tendine bianche; le pareti e le porte sono dipinte; dentro lo scompartimento di prima classe vi son dei sedili con cuscinetti, un piccolo tavolino con qualche libro, un armadio, uno specchietto; ogni cosa lucidissimo. Posando la valigia, lasciai cadere un poâ di cenere di sigaro sotto il tavolino; dopo un minuto rientrai e non ce la vidi piĂš.
Ero solo; non ebbi da aspettare molto tempo; il timoniere fece un cenno, il rimorchiatore montò a cavallo, e il trekschuit cominciò a scorrere mollemente sul canale.
Era unâora dopo mezzogiorno e splendeva un bellissimo sole, ma la barca passava nellâombra. Il canale era fiancheggiato da due file di tigli, di olmi, di salici, e da siepi alte, che nascondevano la campagna. Pareva di navigare a traverso un bosco. A ogni svoltata si vedeva una lontananza profonda, tutto verde e chiuso, e qualche mulino a vento sulla sponda. Lâacqua era coperta di un tappeto di lemna, e in alcuni punti tempestata di fiorellini bianchi, dâiridi, di ninfee, di lenti palustri. Lâalta spalliera di verzura che fiancheggiava il canale, sâapriva qua e lĂ in brevi tratti, e allora si vedeva come da una finestra lâorizzonte lontano della campagna, che subito era rinascosto.
Ogni tanto sâincontrava un ponte. Era bello vedere la rapiditĂ con cui lâuomo a cavallo, e un altro, fisso lĂ di guardia, facevan la manovra delle corde per far passare il trekschuit; e come i due conduttori, quando i trekschuiten sâincontravano, si cedevano il passo, lâuno facendo scorrer la corda sotto quella dellâaltro, senza dire una parola, senza salutarsi neanco con un sorriso, come se la serietĂ e il silenzio fossero obbligatorii. Per tutta la strada non si sentiva altro rumore che il frullo delle ali dei mulini.
Sâincontravano dei barconi carichi di legumi, di torba, di pietre, di botti, rimorchiati con una lunghissima corda da un uomo aiutato qualche volta da un grosso cane con una cordicella al collo. Alcuni erano rimorchiati da un uomo, una donna e un ragazzo, lâuno dietro lâaltro, colla fune legata a una specie di sottopancia di cuoio o di tela; tutti e tre tanto inclinati innanzi da non capire come malgrado il ritegno della fune potessero tenersi in piedi. Altri barconi eran rimorchiati da una vecchia sola. Su parecchi, câera al timone una donna con un bambino al seno; altri bambini intorno; un gatto sur un sacco, un cane, una gallina, dei vasi di fiori, delle gabbie dâuccelli. Su altri la donna faceva la calza dondolando una culla col piede; su altri faceva da mangiare; in alcuni, tutta la famiglia, meno uno che rimorchiava, stava mangiando in crocchio. E non si può dire la pace che spirava nei visi di quella gente, nellâaspetto di quelle case acquatiche, di quegli animali divenuti, in certo modo, anfibii; la placiditĂ di quella vita galleggiante, lâaria sicura e libera di quelle famiglie erranti e solitarie. E cosĂŹ vivono in Olanda migliaia di famiglie che non hanno altra casa che la barca. Un uomo piglia moglie, fra tutti e due comprano un battello, ci sâinstallano e portan le derrate da un mercato allâaltro. I bambini nascon sui canali, sono allevati e crescon sullâacqua; la barca porta le masserizie, il piccolo peculio, le memorie domestiche, gli affetti, il passato, tutto il bene presente e tutte le speranze dellâavvenire. Si lavora, si risparmia, e dopo molti anni si compra un battello piĂš grande, vendendo la vecchia casa a una famiglia piĂš povera, o lasciandola al figlio maggiore che vi condurrĂ una sposa cresciuta sur un altro battello, e adocchiata per la prima volta in un incontro sul canale. E cosĂŹ di barca in barca, di canale in canale, la vita scorre soave e tranquilla, come la casa vagabonda che la ricetta e lâacqua silenziosa che lâaccompagna.
Per un pezzo non vidi sulle due sponde che piccole case di contadini; poi cominciai a vedere villette, chioschi e capanni, mezzo nascosti fra gli alberi; e negli angoli piĂš ombrosi, qualche signora bionda, vestita di bianco, seduta, con un libro in mano; o qualche grosso signore avvolto in un nuvolo di fumo, collâaria soddisfatta del negoziante arricchito. Tutta queste villette son dipinte dâun color roseo o azzurrino, hanno i coppi del tetto inverniciati, terrazzi sostenuti da colonnine, e giardinetti davanti o intorno, con aiuole e sentieri da presepio; miniature di giardini, puliti, lisciati, leccati. Alcune case son poste sullâorlo del canale, col piede nell'acqua; e lascian vedere i fiori, i vasi e i mille ninnoli luccicanti dellâinterno delle stanze. Quasi tutte hanno unâiscrizione sulla porta, che è come lâaforismo della felicitĂ domestica, la formula della filosofia del padrone, come: â La pace è denaro. â Piacere e riposo. â Amicizia e societĂ . â I miei desiderii sono soddisfatti. â Senza fastidi. â Tranquillo e contento. â Qui si godono i piaceri dellâorticultura. â Qua e lĂ câera qualche bella vacca bianca e nera, accovacciata sulla sponda, col muso a fior dâacqua, che sollevava placidamente la testa verso la barca. Incontravamo degli stormi dâanitre che si scansavano per lasciarci passare. C'erano di tratto in tratto a destra e a sinistra dei canaletti quasi coperti da due alte siepi che consertavano i rami formando una vòlta di verzura, sotto la quale si vedevano allontanarsi e sparire nellâoscuritĂ delle barchette di contadini. Di tempo in tempo, in mezzo a tutto quel verde, saltava fuori allâimprovviso un gruppo di case, un villaggetto variopinto e lindo, coi suoi specchietti e i suoi tulipani alle finestre; senza unâanima viva; e quel silenzio profondo era rotto da unâarietta allegra dâun campanile che non si vedeva. Era un paradiso pastorale, un paesaggio da idillio, pieno di freschezza e di mistero; unâarcadia chinese, tutta piccoli nascondigli, piccole sorprese, piccoli artifizi innocenti di bellezza, che facevan lâeffetto come di tante voci sommesse di gente invisibile che bisbigliassero: â Siamo contenti.
A un certo punto il canale si biforca; un braccio che si nasconde fra gli alberi va a Leida, lâaltro volge a sinistra e va allâAja. Dopo questo punto, il trekschuit cominciò a soffermarsi ora dinanzi a una casa, ora dinanzi alla porta di un giardino per ricevere involti, lettere e imbasciate a voce da portare allâAja.
Un vecchio signore uscĂŹ da una villa e salĂŹ accanto a me. Parlava francese, attaccammo discorso. Era stato in Italia, sapeva qualche parola dâitaliano, aveva letto Les fiancĂŠs; mi domandò dei particolari sulla morte di Alessandro Manzoni: dopo dieci minuti, lâadoravo. Da lui ebbi dei ragguagli sul trekschuit. Per capire la poesia di questa barca nazionale, bisogna fare dei viaggi lunghi, in compagnia di gente del popolo. Allora ognuno ci sâinstalla come in casa sua, le donne lavorano, gli uomini salgono a fumare sul tetto; desinano tutti insieme; dopo desinare, si adagiano fuori del casotto per vedere tramontare il sole; i discorsi si fanno piĂš intimi, la brigata diventa una famiglia. Vien la notte; il trekschuit attraversa come unâombra dei villaggi immersi nel silenzio, scivola sui canali inargentati dalla luna, si nasconde nelle macchie, esce nellâaperta campagna, rasenta le case solitarie in cui brilla la lucerna del contadino, e incontra barche di pescatori che gli passano accanto come fantasimi. In quella pace profonda, in quellâandar lento ed eguale, uomini e donne sâaddormentano a poco a poco gli uni accanto agli altri e la barca non lascia piĂš dietro di sè che il bisbiglio confuso dellâacqua e dei respiri.
Via via che sâandava innanzi, i giardini e le ville spesseggiavano. Il mio compagno di viaggio mi accennò un campanile lontano, e mi nominò il villaggio di Ryswijk, dove fu firmato nel 1697 il celebre trattato di pace tra la Francia, lâInghilterra, la Spagna, lâAlemagna e lâOlanda. Il castello del principe dâOrange, dove convennero i firmatari, non esiste piĂš, e fu alzato in suo luogo un obelisco.
Tuttâa un tratto, il trekschuit uscĂŹ di mezzo agli alberi, e vidi una vasta pianura, un gran bosco e una cittĂ coronata di torri e di mulini a vento.
Era lâAja.
Il barcaiolo mi chiese e ricevette i denari in un sacchettino di cuoio. Il rimorchiatore stimolò il cavallo. In pochi minuti arrivammo in cittĂ , e dopo un quarto dâora io mi trovavo in una stanza luccicante dellâAlbergo Turenna, chi sa! forse nella stanza medesima dove il celebre maresciallo aveva dormito da giovanetto quando era al servizio dellâOlanda.
LâAja â in olandese SâGravenhage o SâHage, â la capitale politica, la Washington dellâOlanda, della quale Amsterdam è la New-York, â è una cittĂ mezza olandese e mezza francese, con larghe strade senza canali; vaste piazze piene dâalberi, case signorili, alberghi splendidi, e una popolazione composta in gran parte di ricchi, di nobili, dâimpiegati, di letterati, dâartisti; e dâun popolino piĂš raffinato che quello delle altre cittĂ olandesi.
Nel primo giro che feci per la cittĂ , quello che mi colpĂŹ di piĂš furono i quartieri nuovi, dove abita il fiore dellâaristocrazia danarosa. In nessuna cittĂ , nemmeno nel sobborgo Saint-Germain a Parigi, mi sentii tanto povero diavolo come in quelle strade. Sono strade larghe e diritte, fiancheggiate da palazzini di forme snelle e di colori gentili, con grandi finestre senza persiane, per le quali si vedono i tappeti, i vasi di fiori e i mobili sontuosi delle sale a terreno; con tutte le porte chiuse; e non una bottega, non un annunzio sui muri, non una macchia, non una festuca a cercarla con centâocchi. Quando passai per quelle strade, vâera un silenzio profondo. Solo di tratto in tratto incontravo qualche carrozza aristocratica che scorreva sul pavimento di mattoni quasi senza far rumore, e vedevo qualche lacchè impalato dinanzi a una porta, o qualche testa bionda di signora dietro a una tendina. Passando rasente le finestre, osservavo colla coda dellâocchio il mio meschino vestiario di viaggiatore riflesso spietatamente dalle grandi vetrate, mi pentivo di non aver portato i guanti, provavo una certa umiliazione di non essere almeno cavaliere di nascita, e mi pareva di udire qua e lĂ delle voci sommesse che dicessero: â Chi è quel pezzente?
Della cittĂ antica, la parte piĂš considerevole è il Binnenhof, un gruppo di vecchi edifizi di differenti stili dâarchitettura, che da due lati guarda su due vaste piazze, e da un altro sopra un grande stagno. In mezzo a questo gruppo di palazzi, di torri, di porte monumentali, dâun aspetto medioevale e sinistro, vâè uno spazioso cortile, nel quale sâentra per tre ponti e tre porte. In uno di quegli edifizi risiedevano gli Statolderi, e ora vâè la seconda Camera degli Stati generali; dalla parte opposta, vâè la prima Camera, i Ministeri e diversi altri uffici dâamministrazione pubblica. Il ministro dellâinterno ha il suo ufficio in una piccola torre bassa, nera, lugubre, che pende a filo sulle acque dello stagno.
Il Binnenhof, la piazza che si stende ad occidente chiamata Buitenhof, e unâaltra piazza di lĂ dallo stagno chiamata Plaats, nella quale si giunge passando sotto una vecchia porta che faceva parte dâuna prigione, furono il teatro dei piĂš sanguinosi avvenimenti della storia dâOlanda.
Nel Binnenhof, fu decapitato il venerando Van Olden Barneveldt, il secondo fondatore della repubblica, la piĂš illustre vittima di quella lotta secolare tra il patriziato borghese e lo statolderato, tra il principio repubblicano e il principio monarchico, che travagliò cosĂŹ miseramente lâOlanda. Il patibolo era innalzato dinanzi allâedifizio dove sedevano gli Stati generali. Dalla parte opposta vâè la torre dalla quale si dice che Maurizio dâOrange, non visto, assistesse al supplizio del suo nemico. Nella prigione châè fra le due piazze, fu torturato Cornelio De Vitt accusato ingiustamente dâaver tramato contro la vita del principe dâOrange. Nel Plaats furono trascinati dal popolo furioso, laceri e insanguinati, Cornelio e Giovanni De Vitt, il gran pensionario, e lĂ sputacchiati, calpestati, uccisi a colpi di picca e di pistola; e poi mutilati e vilipesi i loro cadaveri. Nella stessa piazza fu pugnalata Adelaide di Poelgest, amante dâAlberto, conte dâOlanda, il 22 settembre del 1392; e si mostra ancora la pietra sulla quale cadde spirando.
Queste memorie funeste, quelle porte massiccie e basse, quel gruppo disordinato di edilizi cupi, che la notte, quando la luna batte sulle acque del lago morto, presentano lâaspetto dâun castello enorme e inaccessibile, destano in mezzo a quella cittĂ allegra e gentile, un sentimento di tristezza solenne. Il cortile, di notte, non è rischiarato che da qualche raro fanale; le poche persone che passano, sâaffrettano come se avessero paura; non si sente il rumore dei passi, non si vede una finestra illuminata; vi si entra con una vaga inquietudine e se nâesce quasi con piacere.
Fuor di questo, lâAja non ha monumenti considerevoli nè antichi nè moderni. Vi sono parecchie mediocri statue di diversi principi dâOrange; una cattedrale vasta e nuda e un palazzo reale modesto. Su molti edilizi pubblici si vede scolpita una cicogna, châè lâanimale araldico della cittĂ . Parecchi di questi uccelli passeggiano liberamente nella piazza del mercato dei pesci, mantenuti a spese del municipio come gli orsi di Berna e le aquile di Ginevra.
Il piĂš bell'ornamento dellâAja è il suo bosco; una vera meraviglia dellâOlanda e uno dei piĂš magnifici passeggi del mondo.
Ă un bosco dâontani, di querele e dei piĂš grandi faggi che si vedano in Europa, del circuito di piĂš dâuna lega francese, posto ad oriente della cittĂ , a pochi passi dalle ultime case; una vera oasi deliziosa in mezzo alla malinconica pianura olandese. Appena vi sâè entrati, appena si sono oltrepassati i padiglioni, le casette svizzere, i chioschi sparsi in mezzo ai primi alberi, par di essersi smarriti in una foresta sterminata e solitaria. Gli alberi sono fitti come un canneto, i viali si perdon nel buio; ci son laghi, canali quasi nascosti dalla verzura delle sponde; ponti rustici, crocicchi di sentieri abbandonati, recessi chiusi, oscuritĂ profonde e fresche in cui par di respirare lâaria dâuna natura vergine e dâessere infinitamente lontani dai rumori del mondo.
Questo bosco, che come quello della cittĂ di Haarlem, si vuol che sia un resto dâunâimmensa foresta che copriva anticamente quasi tutta la costa dellâOlanda, è rispettato dagli Olandesi come un monumento della loro storia nazionale. Nella storia dâOlanda, in fatti, si trovano moltissimi atti che gli si riferiscono, e che provano che in ogni tempo si ebbe una cura gelosa della sua conservazione. Gli stessi generali spagnuoli rispettando questa specie di culto nazionale, preservarono il bosco sacro dalle offese dei soldati. In piĂš dâunâoccasione di gravi strettezze finanziarie quando il governo sarebbe stato disposto a decretarne la distruzione per vender le legna, i cittadini scongiurarono il pericolo con una oblazione volontaria. Mille ricordi sono legati a questo bosco diletto: ricordi dâuragani spaventosi, ricordi dâamori principeschi, di feste celebri, di avventure romanzesche. Alcuni alberi portano il nome di re e dâimperatori, altri di elettori germanici; un faggio ha la fama dâesser stato piantato dal gran pensionario e poeta Giacobbe Catz; altri tre, dalla contessa dâOlanda, Giacomina di Baviera; e si accenna ancora il luogo dove essa soleva riposare delle sue passeggiate. E ci lasciò il suo ricordo anche il signor Voltaire, che ci ebbe non so che ripesco galante con la figliuola dâun parrucchiere.
In fondo al bosco, dove la piccola vegetazione presa da una sorta di furia conquistatrice, sâalza, sâammucchia, sâarrampica su per gli alberi, sâintreccia sopra i sentieri, si stende sulle acque, e intercetta da tutte le parti il passo e la vista, come se volesse celare i misteri di qualche dimenticata divinitĂ silvestre, si nasconde un palazzetto reale, chiamato la Casa del Bosco, una specie di Casa del labrador della villa dâAranjuez, eretta nel 1647 dalla principessa Amelia di Solms in onore di suo marito Federico Enrico lo Statoldero.
Quando andai a visitare questo palazzo, mentre stavo cercando cogli occhi la porta dâentrata, vidi uscire e salire in carrozza una signora dâaspetto nobile e benevolo, che presi per una viaggiatrice inglese, che avesse terminata la sua visita. La carrozza mi passò accanto, mi levai il cappello, la signora fece un cenno del capo e scomparve.
Seppi un momento dopo da una cameriera del palazzo che quella ÂŤviaggiatriceÂť era niente meno che sua maestĂ la Regina dâOlanda.
Mi sentii una leggera scossa al sangue. La parola ÂŤreginaÂť mâha fatto sempre, indipendentemente dalla persona a cui si riferisca, questâeffetto; e non saprei dirne chiaramente il perchè. Forse perchè mi ricorda certe visioni luminose e confuse dellâadolescenza. Lâimmaginazione amorosa dâun ragazzo di quindici anni qualche volta striscia sulla terra e qualche volta si slancia con desiderii mostruosamente audaci a unâaltezza vertiginosa. Sogna delle bianchezze sovrumane, dei profumi che danno il delirio e delle voluttĂ che fanno cader fulminati, e suppone che tutto questo si ritrovi nelle creature misteriose e inaccessibili che la fortuna ha poste in cima della scala sociale. E fra i mille casi strani, insensati, impossibili, che sâavvicendano nella sua mente nelle notti febbrili, sogna anche di superare nelle tenebre, colla sua agilitĂ infantile, muri altissimi, cancellate formidabili, fossi profondi, di sospingere porte misteriosamente aperte, di passar per corridoi senza fine, in mezzo a gente assopita, per sale immense, nel silenzio; di salire per scale aeree, di arrampicarsi su pei rilievi dâuna torre, rischiando la vita, a una tremenda altezza, sopra i grandi alberi dâun giardino illuminato dalla luna; e infine di giungere spossato e insanguinato sopra un balcone, e lĂ sentir da una voce sovrumana parole dâuna pietĂ profonda, e rispondere con altre parole dâuna tenerezza immensa, scoppiare in pianto, invocar Dio, curvar la fronte sul marmo, coprir di baci disperati un piede scintillante di gemme, abbandonar il viso nei rasi profumati, e sentirsi fuggir la ragione e la vita in un amplesso piĂš forte della natura umana.
In quel palazzo, chiamato il Palazzo del Bosco, vâè, fra le altre cose considerevoli, una sala ettagona coperta dal pavimento alla vòlta di pitture dei piĂš celebri artisti della scuola del Rubens, fra le quali uno smisurato quadro allegorico del Jordaens che rappresenta lâapoteosi di Federico-Enrico; una sala piena di preziosi regali dellâimperatore del Giappone, del vicerè dâEgitto e della Compagnia delle Indie; e unâaltra elegante saletta decorata di pitture a chiaroscuro che si scambiano, anche considerate attentamente, per bassorilievi: opera di Jacob De Witt, pittore che acquistò in quellâarte corbellatrice una grande rinomanza sul principio del secolo scorso. Le altre son sale piccine, belle, ma senza fasto, e piene di tesori che non dan nellâocchio, come si convengono alla grande e modesta casa dâOrange.
Mi parve strano quellâuso di lasciar entrare gli stranieri nel palazzo nel momento stesso che la Regina ne usciva; ma non mi fece piĂš specie quando conobbi altre consuetudini, altri tratti popolari, il carattere, in una parola, della famiglia reale dâOlanda.
Il re, in Olanda, è considerato quasi piĂš come statoldero che come re. V'è in lui, come diceva del duca dâAosta quel tal repubblicano spagnuolo, la minor quantitĂ di re possibile. Il sentimento che il popolo olandese nutre per la famiglia reale non è tanto di devozione per la famiglia del monarca quanto di affetto per quella casa dâOrange che partecipò a tutti i suoi trionfi e a tutte le sue sventure, che visse, per cosĂŹ dire, della sua vita per lo spazio di tre secoli. Il paese, in fondo, è repubblicano, e la sua monarchia è una sorta di presidenza coronata, senza alcun fasto monarchico. Il Re pronunzia dei discorsi ai banchetti e nelle feste pubbliche come da noi i ministri; e gode anzi la fama di oratore, poichè parla allâimprovviso, con una voce potentissima e un certo impeto dâeloquenza soldatesca, che eccita un indicibile entusiasmo nel popolo. Il principe ereditario, Guglielmo dâOrange, studiò allâUniversitĂ di Leida, sostenne esami pubblici e prese la laurea dâavvocato. Il principe Alessandro, secondogenito, sta studiando ora nella stessa UniversitĂ , è membro del Club degli studenti, e invita a pranzo i suoi professori e i suoi compagni di scuola. AllâAja, il principe Guglielmo entra nei caffè, discorre coi vicini, sâaccompagna per la strada coi giovani suoi conoscenti. Nel bosco, la regina si mette a seder sur una panca accanto a una povera donna. E non si può dire che usin cosĂŹ, come altri principi, per acquistare popolaritĂ , poichè la famiglia dâOrange non ne può nè acquistare nè perdere, non essendoci in quel popolo, per natura e per tradizione repubblicano, nemmeno un indizio di fazione, non dico che voglia la repubblica, ma che ne pronunzi il nome. Per contro, quel popolo, che ama e venera il suo re, che nelle feste in onor suo gli stacca i cavalli dalla carrozza ed esige che tutti portino una coccarda color dâarancio in omaggio al nome dâOrange, nei tempi ordinari non si occupa punto dei fatti suoi e della sua famiglia. AllâAja mi ci volle molto per sapere che grado avesse nellâesercito il principe ereditario. Uno dei primi librai della cittĂ , al quale rivolsi quella domanda, si meravigliò della mia curiositĂ che gli parve puerile, e mi disse che probabilmente non avrei trovato in tutta lâAja cento persone che sapessero darmi una risposta.
La sede della corte è allâAja; ma il re passa una buona parte dellâestate in un suo castello nella Gheldria, e va ogni anno a star qualche giorno in Amsterdam. Il popolo dice che vâè uno statuto il quale obbliga il re a passare in Amsterdam dieci giorni allâanno, e il municipio di quella cittĂ a fargli le spese per quei dieci giorni; suonata la mezzanotte dellâundecimo, un fiammifero che bruci Sua MaestĂ per accendere il sigaro, è a carico suo.
Tornando dalla villa reale allâAja, trovai il bosco animat...
