Le palle cozzarono insieme due volte, forte.
“Tac tac!” fece il conte Perlotti guardandole correre attento, con il gesso nella destra e la stecca nella sinistra.
“Santo diavolo!” esclamò il senatore. “Non c'è taglio. Che stecche avete, contessa Tarquinia? Non si può giuocare.”
“E dàlli!” disse la contessa, sottovoce, fra un gruppo di signore.
“Genero mio benedetto” soggiunse allargando le braccia, “piú che scrivere e riscrivere che me ne mandino!”
Si voltò alla Perlotti che sorrideva silenziosamente guardando il tempo dall'uscio a vetri.
“Bello, sai” brontolò. “Sarà la ventesima volta che me lo dice. Vuole che le faccia io le stecche?”
“Che tempo!” disse la signora, prudente. “Fa paura.”
In faccia all'uscio a vetri il grande cipresso morto, avvolto nel glicine sino alla punta, rizzava il suo chiaro verde nel cielo livido; radi goccioloni macchiavano la ghiaia.
“Eh, sí signora, paura. Proprio, anche: paura. Paura, non è vero? Paura, sipo.”
Era un coro di quattro o cinque fra signore e signorine in fronzoli, molto serie, molto irrigidite dal grande onore di trovarsi in casa della contessa Tarquinia Carrè.
“Sei punti a me!” gridò il senatore.
“Quanti?” rispose un personaggio invisibile.
“Sei, sei, sei! Siete sordo?”
“No, ma i preti ah!”
“Già; è un baccano! Fate un poco tacere a quei preti, contessa Tarquinia!”
I preti giuocavano a tresette nella stanza del piano, vociavano, schiamazzavano.
“Scusate caro voi, Grigioli” disse la contessa a un giovane che parlava con la baronessa Elena Carrè di Santa Giulia, seduta sul canapè vicino. “Andate a pregare i reverendi, con buona maniera, di non far tanto chiasso.”
Quegli s'inchinò.
“Benedetta la Sicilia” gli disse piano la contessa.
“A proposito, mi raccomando, eh!”
“Cosa, contessa?”
“Dove avete la testa? Cortis.”
“Eh sí, va benone, contessa. Cinquanta voti sicuri, qui. Lo dicevo adesso alla baronessa Elena.”
“Non parlate, caro voi, di queste cose a mia figlia, che non sa cosa siano né la destra né la sinistra. Andate là, andate là da quei reverendi… Dov'è Cortis?” diss'ella a sua figlia, poi che il giovane si fu allontanato.
“Andate, andate, giovinotto, fate tacere a preti” disse il senatore a colui che passava lungo il biliardo. “Dite che imparino un poco da questi altri signori. Fate tacere a don Bartolo!”
Presso un'altra porta a vetri della gran sala a crociera un gruppo d'uomini discorreva di qualche argomento molto misterioso, pareva, e molto importante.
Uno di loro chiamò:
“Dottor Grigiolo!”
“Comandi!” rispose il giovane. “Vengo subito.” E tirò avanti verso la stanza del piano.
“È medico quel giovinotto?” disse il senatore al suo compagno.
“No signore, dottore in legge” disse questi ossequiosamente.
I preti avevano smesso di giuocare. Il cappellano don Bortolo teneva un foglio in mano e declamava dei versi tra le risate dei colleghi.
“La permetta, don Bortolo” disse l'ambasciatore.
“Bravo, dottore” rispose don Bortolo. “La venga qua, La senta anche Lei:
El sindaco risponde: a ghí rason.”
“No, La permetta.”
“Ma La perdoni, La senta!”
Il dottor Grigiolo si rassegnò fremendo ad ascoltare un'altra strofa che finiva cosí:
E el sindaco: anca vú gaví rason.
“Va bene, ma La permetta.”
“Ma La perdoni, perché non La sa. Adesso viene il bello.”
Don Bortolo, riscaldato da parecchie tazzette, come le chiamava, continuò a declamare una satira anonima, la descrizione di un battibecco fra certi consiglieri comunali intorno a un sindaco che dava ragione a tutti.
El sindaco tasea col collo storto.
E po infin l'à concluso: a no ghí torto.
Scoppiarono risate in tutti i toni.
“Bella, bellissima, arcibellissima” esclamò indispettito il dottor Grigiolo, “ma, caro cappellano benedetto, non vedo poi la necessità di rompere i timpani al prossimo. Capisce bene, di là ci sono tante signore e proprio la contessa pregherebbe… ”
“Le femmine?” rispose don Bortolo. “Perché non ne sanno fare del chiasso, le femmine!”
“Zitto, zitto, andiamo, state quieto, cappellano” dissero i colleghi.
“Bravi, mi raccomando; anche per il conte Lao, che sta poco bene.”
Il dottor Grigiolo guardò il piú vecchio di quei sacerdoti, l'arciprete, con una faccia tra seria e compunta.
“Venga qua” esclamò l'incorreggibile don Bortolo, “venga qua, dottore, non stia a combattere colle femmine e beva una tazzetta con noi. Cosa mi conta del conte Lao? Non La capisce che la sua camera è dall'altra parte? Non La sa che il conte Lao sta meglio di Lei e di me? Non La sa che è matto?”
“Fate tacere a don Bartolo!” gridò il senatore dalla sala.
“Oh, hanno capito?” sussurrò il dottor Grigiolo con gli occhi fuori della testa. “L'Etna, corpo! Capace di venir qua con la stecca, perdia!”
“Campanile!” fece il cappellano.
La sua uscita e il suo comico sgomento misero nella brigata una cosí clamorosa, irrefrenabile ilarità, che Grigiolo scappò via con le mani nei capelli, mentre don Bortolo, rinfrancato, si accingeva a leggere la chiusa del poema, quest'apostrofe agli elettori:
E se no sí na massa de marson,
Spetèi sti fioi de pipe a le elezion,
A man che i ve vien soto parei fora,
E mandèi tuti oto a la malora.
“Fiasco, Grigioli!” gridò da lontano la contessa Tarquinia. Un'altra voce partí dal gruppo dei cospiratori:
“Viene, dottor Grigiolo?”
Egli rispose “un momento; vengo subito” e tirava via; ma il senatore barone di Santa Giulia gli piantò sullo stomaco una mano da San Cristoforo e lo fermò di botto.
“Rispondi!” diss'egli con il suo vocione tonante. “Sei Grigioli o Grigiolo?”
Lo smilzo e garbato giovinetto trasalí, diede un passo indietro e guardò il senatore come avrebbe guardato Attila.
“Grigioli, veramente” rispose, “ma il popolo… ”
“Il popolo L'aspetta se La si degna” disse colui che l'aveva chiamato prima.
“Ah, il popolo! Ho capito” disse il barone. “Voi non avete saputo far tacere a Bartolo.”
“Impossibile, senatore. Impossibile, contessa. Il Suo vin bianco è troppo generoso. Ci vorrebbe una pompa e dell'acqua. A momenti ne vien giusto giú un diluvio.”
“Credete, sí?”
“Oh sí, contessa.”
“Non vi pare che si alzi un poco, il tempo?”
“Non vedo, contessa.”
“Avete guardato bene?”
“Contessa sí.”
“E non vedete?”
“Contessa no.”
“Santo diavolo, che contessamento in questo paese!” borbottò fra i denti il se...
