Fabellae: nella scuola, per la scuola
Se è vero che il legame di un auctor con un genere riconduce a quello più complesso della cultura e della civiltà – e di una civiltà letteraria – che gli hanno dato forma e l’hanno nutrito, resta ugualmente indiscutibile che la circolazione dei testi in determinati contesti implica propulsione e vitalità di idee e valori, più o meno condivisi. In questa prospettiva, la scuola si carica dell’ulteriore onere e responsabilità di garantire – ed aver garantito –, insieme all’educazione in sé, la circolazione di testi e dei valori che questi veicolano.
Tra Antichità e Tarda Antichità, la scuola del grammaticus (insieme, poi, a quella del rhetor) garantì a specifici auctores e generi la fortuna e alla critica letteraria un orientamento579. L’assenza di Fedro nelle classi del grammaticus non significò, però, l’assenza della favola dal campionario di generi dal quale attinsero i maestri: la favola, al contrario, rappresentò per i grammatici uno strumento privilegiato attraverso il quale coniugare apprendimento linguistico ed etico e garantire che l’insegnamento elementare, trasmettesse, al tempo stesso, da un lato, modelli di vita e di morale e, dall’altro, di scrittura e di composizione. La favola che penetra nelle classi dei maestri e nei manuali di progimnasmi latini, però, è quella di tradizione greca di ‘Esopo’ e Babrio, e nullo sembra essere lo spazio lasciato al solo auctor di favole latine; d’altro canto, l’originalità di Fedro è tutta nell’aver piegato una tradizione consolidata e dalle antiche radici a finalità e bisogni mutati: la sua favola diventa strumento di satira e censura, incomprensibile se astratta dal tempo e dallo spazio che generarono la riflessione (politico‐)letteraria del favolista latino580.
La favola avrebbe, innanzitutto, rappresentato il veicolo di un messaggio morale (e politico) determinato581, e questo emerge in modo evidente dal campionario latino e bilingue latino-greco delle scuole orientali tardoantiche, benché tanto frammentario. Babrio era maestro di caratterizzazione psicologica ed il suo successo in ambiente educativo fu enorme, ed il fatto che sia stato scelto per l’esercizio di traduzione in lingua latina del P.Amh. II 26 poco sorprende: la favola de fele et gallo avrebbe rappresentato un ammonimento alla prudenza, quella de anicula et lupo a non prestare ascolto a facili promesse, e quella de vulpe ignifera ad accontentarsi di quanto si possiede già. Quest’ultimo insegnamento è trasmesso dalla favoletta de cane del P.Oxy. XI 1404, la quale illustra come l’avidità sia spesso punita; punita è anche la vanagloria, quella dell’uomo che si pavoneggia con un leone nella favola de homine et leone, ‘esopica’ e approdata nella tradizione bilingue degli Hermeneumata Pseudodositheana attraverso una fase testuale tardoantica di cui il PSI VII 848 è testimone. Esopica è ugualmente la favola de hirundine et ceteris avibus del P.Mich. VII 457 + P.Yale II 104, assente dal corpus fedriano ma arrivata fino al Romulus; il non aver ascoltato i saggi suggerimenti della rondine è per gli altri uccelli causa di pene ed invita a far tesoro degli insegnamenti prudenti altrui.
Ammonimenti di tale genere dovettero, perciò, essere implicitamente suggeriti a chi si avvalse di queste favolette per esercitarsi nell’apprendimento di una L2: in equilibrio instabile tra il terreno del grammaticus e quello del rhetor, infatti, la favola esopica non fu semplicemente un progimnasma ed uno di quei temi privilegiati per lavorare e rilavorare sulla ‘forma’ di un testo, ma fu anche strumento attraverso il quale apprendere – quale che ne fosse lo stadio formativo – una lingua altra rispetto alla propria lingua madre, impiegata, perciò, da ellenofoni nelle classi dei grammatici dell’Oriente tardoantico.
In bilico tra l’esercizio di riscrittura e progimnasmatico noto da Quintiliano a Prisciano e l’essenza di strumento lessicale bilingue, i frammenti di favole latine e bilingui latino-greche di tradizione diretta della Tarda Antichità hanno una duplice potenzialità: da un lat...