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Civiltà e cultura. La dignità umana
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Civiltà e cultura. La dignità umana
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"Fra il nulla e l'uomo più umile, la differenza è infinita; fra quest'ultimo e il genio, molto meno di quello che una naturalissima illusione ci fa credere" (Unamuno)
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Information
Publisher
Pieffe EdizionieBook ISBN
9788899508159Topic
PhilosophySubtopic
Philosophical EssaysDignità o miseria della natura umana?
David Hume
Ci sono certe sette che segretamente si formano nel mondo colto, così come le fazioni nella politica; e sebbene a volte non arrivino a un’aperta rottura, esse danno una direzione differente al modo di pensare di coloro che ne hanno preso parte.
Il più notevole di questo tipo sono le sette fondate sui differenti sentimenti riguardo la dignità della natura umana, la quale è un punto che sembra aver diviso i filosofi e i poeti, così come i teologi, dall’inizio del mondo sino ad oggi. Alcuni esaltano la nostra specie fino al cielo e rappresentano l’uomo come una sorta di semidio che deriva la sua origine dal paradiso e mantiene evidenti segni del suo lignaggio e discendenza. Altri insistono sulle parti oscure della natura umana e non possono scoprire altro se non la vanità nella quale l’uomo supera gli altri animali, i quali tanto disprezza. Se un autore possiede il talento della retorica e della declamazione, egli solitamente parteggia con i primi. Se invece volge verso l’ironia e il ridicolo, egli naturalmente si spinge verso l’altro estremo.
Sono lontano dal pensare che tutti coloro che hanno disprezzato la nostra specie siano stati nemici della virtù e abbiano esposto la fragilità dei loro simili per qualche cattiva intenzione. Al contrario sono consapevole che un delicato senso della morale, specialmente quando è unita a un temperamento insofferente (splenetic temper) è atto a dare a un uomo il disgusto del mondo e fargli considerare il comune corso delle cose con eccessiva indignazione.
Devo comunque essere dell’opinione che il sentimento di coloro che sono inclini a pensare favorevolmente all’umanità siano più vantaggiosi per la virtù, rispetto ai principi contrari che ci danno [invece] una misera opinione della nostra natura. Quando un uomo è investito da un’alta nozione del suo rango e carattere nella creazione, egli sarà naturalmente spinto ad agire di conseguenza e sdegnerà di compiere un’azione bassa o viziosa che potrebbe abbassarlo al di sotto di quella figura che si è fatto nella sua immaginazione. Concordemente con ciò, troviamo che tutti i nostri moralisti raffinati e alla moda insistono su questo tema e si sforzano di rappresentare il vizio come indegno dell’uomo così come per se stesso odioso.
Non si trovano nuove dispute che non siano fondate su qualche ambiguità nell’espressione e io sono persuaso che la presente disputa che concerne la dignità o miseria della natura umana non ne sia meno esente rispetto alle altre. Sarà dunque opportuno considerare che cosa è reale e che cosa è solo verbale in questa controversia.
Che ci sia una naturale differenza fra merito e demerito, virtù e vizio, sapienza e follia, nessun uomo ragionevole lo negherà ed è evidente che nel fissare il termine che denota o la nostra approvazione o la nostra riprovazione noi siamo comunemente più influenzati dalla comparazione che non da ogni inalterabile standard fissato nella natura delle cose. In maniera simile, quantità, estensione e dimensione sono da tutti ritenuti essere cose reali, ma quando noi chiamiamo qualche animale grande o piccolo noi formiamo sempre una segreta comparazione tra questo animale e gli altri della stessa specie ed è questa comparazione che regola il nostro giudizio concernente la sua grandezza.
Un cane e un cavallo possono essere della stessa identica taglia, ma mentre uno è ammirato per la grandezza della sua dimensione l’altro lo sarà per la sua piccolezza.
Per questo quando sono presente a qualche disputa io considero sempre tra me stesso se ci sia o meno una questione di comparazione alla base della controversia e, nel caso che ci sia, se i disputanti comparino insieme gli stessi oggetti o parlino di cose molto differenti.
Nel formare la nostra nozione della natura umana noi siamo soliti fare una comparazione tra gli uomini e gli animali, le sole creature dotate di pensiero che siano alla portata dei nostri sensi. Certamente questa comparazione è favorevole all’umanità.
Da una parte noi vediamo una natura i cui pensieri non sono limitati da stretti confini o di luogo o di tempo; che porta le sue ricerche nelle più distanti regioni di questo globo e, oltre questo globo, ai pianeti e ai corpi celesti; che guarda indietro per considerare l’origine prima, o perlomeno la storia della razza umana; che punta l’occhio avanti per vedere l’influenza delle proprie azioni sulla posterità e il giudizio che sarà formato sul suo carattere fra un migliaio d’anni. Una creatura che traccia cause ed effetti a grande distanza e complessità (intricacy), che estrae principi generali da apparenze particolari; che migliora grazie alle proprie scoperte, che corregge i propri sbagli e fa profitto dei suoi stessi errori.
Dall’altra parte ci si presenta una creatura che è l’esatto rovescio di questa. Limitata nelle sue osservazioni e che ragiona su pochi oggetti sensibili che lo circondano; senza curiosità, senza previdenza; ciecamente condotta dall’istinto e che raggiunge in un breve tempo la sua perfezione oltre la quale non è mai in grado di avanzare di un singolo passo.
Che enorme differenza c’è fra queste creature! E che nozione esaltante dobbiamo trarre dalla prima in comparazione all’ultima!
Ci sono due modi comunemente impiegati per distruggere questa conclusione. Il primo, facendo una scorretta rappresentazione del caso e insistendo solo sulla debolezza della natura umana. E, secondo, formando una nuova e segreta comparazione fra l’uomo ed esseri della più perfetta sapienza.
Fra le altre eccellenze dell’uomo c’è anche quella che egli può formarsi un’idea di perfezione che va molto oltre ciò di cui ha esperienza in se stesso e non è limitato nelle sue concezioni della sapienza e della virtù. Egli può facilmente esaltare le sue nozioni e concepire un grado di conoscenza che, quando comparato con il suo proprio, lo farà apparire molto disprezzabile e di conseguenza le differenze tra questa e la sagacità degli animali finiranno per scomparire e svanire.
Ora, c’è un punto sul quale tutti concordano, cioè che l’intendimento umano è infinitamente minore della sapienza perfetta; è appropriato sapere che quando abbia luogo questo tipo di comparazione non dovremmo disputare dove non c’è reale differenza nei nostri sentimenti. L’uomo è molto meno lontano dalla sapienza perfetta, e anche dalla propria idea di sapienza perfetta, di quanto gli animali lo siano dall’uomo; tuttavia quest’ultima differenza è così notevole che solo il compararla con la precedente la può fare apparire di poco momento.
È anche usuale comparare un uomo con un altro e trovandone molto pochi che possiamo chiamare sapienti o virtuosi tendiamo a trarne una nozione disprezzabile della nostra specie in generale. Per accorgerci della fallacia di questo tipo di ragionamento possiamo osservare che gli appellativi onorevoli di sapiente e di virtuoso non si applicano in alcun grado particolare alle qualità della sapienza e della virtù; al contrario, appaiono sempre a partire dalla comparazione che facciamo tra un uomo e un altro. Quando constatiamo che un uomo è giunto ad un tale alto grado di sapienza che è molto raro, noi lo chiamiamo uomo sapiente: sicché dire che ci sono al mondo pochi uomini sapienti è davvero dire nulla, dal momento che proprio dalla loro scarsità essi meritano questo appellativo.
Quando anche l’infimo della nostra specie fosse sapiente come Cicerone o Lord Bacon, avremo ancora ragione di dire che ci sono pochi uomini sapienti, poiché in questo caso esalteremmo la nostra nozione di sapienza e non concederemmo alcun omaggio a chi non si fosse particolarmente distinto per i suoi talenti. Ugualmente io ho sentito persone sconsiderate osservare che ci sono poche donne caratterizzate dalla bellezza in comparazione a coloro che ne aspirerebbero, senza tener conto che diamo l’epiteto di bella solo a coloro che possiedono un grado di bellezza comune a poche. Lo stesso grado di bellezza che in una donna è chiamato deformità, è ritenuto reale bellezza in uno del nostro sesso.
Come è usuale nel formarsi una nozione della nostra specie il compararla con altre specie sopra o sotto di essa, o comparare gli individui delle specie fra di loro, così spesso lo è anche il comparare insieme differenti motivi o principi dell’attività della natura umana, in modo da regolare il nostro giudizio su di essi. E, certamente, questo è il solo tipo di comparazione che merita la nostra attenzione o decide ogni cosa sulla ...
Table of contents
- Pagina Titolo
- Pagina Copyright
- Indice
- Civiltà e cultura
- La dignità umana
- CAMMEO
- Nota ai testi
- La collana MiniMix