Parte prima
Unificazione
Capitolo primo
Regole
Le istituzioni sono le regole del gioco di una societĂ o, piĂš formalmente,
i vincoli che gli uomini hanno definito per disciplinare i loro rapportiâŚ
Sono una guida per i rapporti sociali e quando vogliamo salutare degli amici per strada,
guidare unâautomobile, comprare unâarancia, chiedere un prestito,
seppellire i nostri morti, fare un affare o qualsiasi altra cosa,
sappiamo come comportarci (o possiamo impararlo facilmente).
(North 1997: 23-24)
La definizione di istituzione sociale piĂš famosa e piĂš citata si trova allâinizio di un libro di Douglass North, intitolato Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dellâeconomia. North è stato un grande storico, famoso per il suo lavoro sul commercio e la crescita in Europa allâinizio dellâepoca moderna. I suoi scritti hanno influenzato molti studiosi anche al di fuori del suo ambito di specializzazione, e per questo motivo nel 1993 è stato insignito del premio Nobel per lâeconomia. Sicuramente la concezione delle istituzioni come regole non è unâinvenzione di North: si trovano definizioni analoghe negli scritti di altri grandi scienziati sociali del ventesimo secolo, come Max Weber, Talcott Parsons e Friedrich Hayek. Le teorie basate sulle regole peraltro sono diffuse anche fra i filosofi: una versione originale, proposta da John Searle, sarĂ discussa piĂš avanti nel corso del libro.
La concezione delle istituzioni come regole è intuitiva e si adatta alla nostra comprensione pre-teorica di molti casi paradigmatici. Prendiamo per esempio il matrimonio: essere sposato comporta vari diritti e doveri. Nella maggior parte dei paesi occidentali, sia il marito che la moglie hanno la responsabilitĂ di procurare le risorse necessarie al mantenimento della famiglia e di provvedere al benessere e allâeducazione dei figli. I coniugi condividono, inoltre, un obbligo reciproco di fedeltĂ e di assistenza in caso di bisogno.
In ogni singolo matrimonio, questi principi generali si traducono in regole di comportamento piĂš specifiche che governano la suddivisione del lavoro tra i coniugi nel loro mĂŠnage quotidiano. Alcune regole disciplinano le faccende domestiche (âIo cucino, tu lavi i piattiâ), altre la cura dei figli (âIo gli cambio i pannolini, tu gli dai da mangiareâ). Alcune regole hanno a che fare con la gestione delle finanze, altre con il comportamento sessuale e cosĂŹ via.
Queste regole esistono per una ragione piuttosto ovvia: aiutano marito e moglie a raggiungere degli obiettivi che difficilmente essi riuscirebbero a realizzare se agissero in modo indipendente. Se entrambi dedicassero molto tempo a cucinare, ma nessuno desse da mangiare ai figli, i figli morirebbero di fame. Se entrambi accudissero i bambini ma nessuno andasse a lavorare, non ci sarebbe nulla da cucinare. Per analogia, pensiamo a una squadra di calcio: se i giocatori eseguono gli ordini dellâallenatore (lui corre, tu passi la palla; lei difende, tu attacchi), possono sperare di vincere molte partite, mentre in assenza di regole finiranno per perdere quasi sempre. Un altro esempio ricorrente nei dibattiti sulle istituzioni è quello del codice stradale: le istituzioni regolano le azioni individuali in modo tale che ciascuno possa trarne vantaggio, cosĂŹ come rispettare le regole del codice stradale è generalmente conveniente per gli automobilisti. Se tutti seguono le regole, si evitano eventi spiacevoli â come incidenti, ingorghi, litigi â o quanto meno se ne riduce la frequenza.
Prima di procedere, è bene chiarire due punti. Primo, lâidea che le istituzioni siano vantaggiose è dubbia e forse anche priva di senso se non si specifica un termine di paragone: le istituzioni sono vantaggiose rispetto a che cosa? Secondo, che le istituzioni siano vantaggiose in generale non significa che tutti gli individui ne godano i vantaggi allo stesso modo. Ă facile trovare esempi di istituzioni inique o ingiuste: nei matrimoni tradizionali, per esempio, le donne sono spesso gravate da piĂš doveri e godono di meno diritti degli uomini. Allo stesso modo, nellâistituzione della schiavitĂš, i servitori stanno decisamente peggio dei padroni.
Questâultimo esempio è particolarmente controverso: come può la schiavitĂš essere considerata âvantaggiosaâ dal momento che lâistituzione stessa è la causa principale delle disgrazie degli schiavi? La risposta è che non dobbiamo confrontare il benessere degli schiavi in questa terribile condizione con il benessere di cui potrebbero godere in un assetto istituzionale piĂš umano. Il confronto corretto è con il benessere di cui potrebbero godere in un assetto non istituzionale. Storicamente, la schiavitĂš ha avuto la tendenza a svilupparsi quando lâasimmetria di potere tra due gruppi sociali era cosĂŹ grande che uno di essi avrebbe potuto facilmente sterminare lâaltro. Lâasservimento degli indigeni americani nel Sedicesimo secolo, per esempio, è stato una conseguenza della superioritĂ militare, dellâorganizzazione e della resistenza alle malattie dei conquistatori europei. La schiavitĂš è stata quindi âvantaggiosaâ solo nel senso molto sgradevole che lâalternativa per gli indigeni americani sarebbe stata il genocidio. Dunque, la morale è semplicemente che lâistituzione migliora la vita delle persone rispetto a una situazione priva di istituzioni, in cui ci si comporta in modo del tutto indipendente, senza farsi guidare dalle regole. In breve, le istituzioni sono meglio del caos.
Detto questo, è del tutto possibile che molte persone starebbero meglio in un assetto istituzionale alternativo. Ă raro che ci sia un unico modo di regolamentare le nostre vite. In una squadra di calcio io potrei fare il terzino e tu il centravanti, oppure il contrario. In una famiglia, il marito può stare a casa mentre la moglie va al lavoro, o viceversa. Ogni istituzione ripartisce gli oneri in modo diverso â specificando chi fa cosa, chi svolge quale ruolo â e di conseguenza è normale che alcuni preferiscano un tipo di istituzione a un altro. Può anche accadere che un assetto istituzionale diverso sia meglio per tutti. A volte le persone si trovano intrappolate in cattive istituzioni perchĂŠ non riescono a decidere di cambiare le regole in vigore, o perchĂŠ non sono sicure che un nuovo sistema di regole verrebbe preso sul serio, o semplicemente perchĂŠ non riescono a immaginare lâesistenza di unâistituzione migliore.
Prima di procedere, devo fare unâultima osservazione riguardo al termine âvantaggiosoâ: il termine si riferisce solo al gruppo di persone il cui comportamento è regolato dallâistituzione. Dal momento che le istituzioni spesso escludono parecchie persone, è possibile che i vantaggi che esse conferiscono ai membri di un gruppo siano controbilanciati dagli effetti negativi che hanno sui membri di un altro gruppo (gli esterni). Un caso tipico è la mafia, unâistituzione governata da regole di segretezza, cooperazione e obbedienza, che avvantaggia i mafiosi ma nuoce alle loro vittime. Ma anche alcune istituzioni legali, come lâesercito, possono avere simultaneamente conseguenze positive per alcuni (i soldati, le persone che proteggono) ed estremamente negative per altri (i nemici e i civili uccisi in guerra, per esempio).
Detto questo, è difficile negare che in generale la capacitĂ di disciplinare il comportamento collettivo costituisca una straordinaria risorsa della nostra specie. Lâimpressionante crescita demografica dellâHomo sapiens e la sua supremazia sulla Terra sono dovute in gran parte alle sue abilitĂ sociali e alla sua duttilitĂ organizzativa. Gli storici delle istituzioni come North hanno studiato in particolare il ruolo svolto dalle istituzioni nellâagevolare la crescita economica. Lâidea â confermata da una massa di dati empirici â è che le regole possano aiutare a superare gli ostacoli che limitano la produzione, lo scambio, e piĂš in generale intralciano il benessere di una societĂ . (Gli economisti chiamano questi impedimenti âcosti di transazioneâ.) Le nuove regole possono essere create da un gruppo influente, per esempio da un sovrano o un governo illuminato, ma possono anche emergere ed evolversi autonomamente, senza che nessuno in particolare ne pianifichi o preveda gli effetti. Se hanno successo, le istituzioni vengono spesso copiate spontaneamente e disseminate tra diversi gruppi sociali. Ma non possiamo esserne certi: le idee intelligenti talvolta restano trascurate.
Per ragioni storiche e culturali, gran parte della ricerca portata avanti nel secolo scorso tendeva a evidenziare la spontaneitĂ dellâemergere e del diffondersi delle istituzioni. Si trattava in parte di una reazione a un precedente approccio alle politiche sociali che enfatizzava lâintervento del governo e la pianificazione centralizzata. Gli studiosi interessati allâevoluzione spontanea delle istituzioni di solito introducono una distinzione tra regole istituzionali formali e informali. âFormaleâ in questo contesto significa formulato esplicitamente, codificato in un insieme di leggi, principi e diritti che vengono resi pubblici e sono conosciuti, o quantomeno sono conoscibili, dai membri della societĂ in questione. Queste regole possono essere trasmesse oralmente, sebbene nelle societĂ complesse siano solitamente preservate in forma scritta. Le regole informali, invece, non sono codificate esplicitamente e si manifestano perlopiĂš attraverso i comportamenti individuali.
Lâamicizia, per esempio, è interamente governata da regole informali: anche se nessuna norma scritta ti proibisce di baciare il ragazzo della tua amica, si ritiene in generale che non si debba fare, e una trasgressione può costarti cara.
Unâistituzione complessa come il matrimonio, invece, è costituita da regole sia formali che informali. Câè unâimportante asimmetria tra istituzioni informali e formali: mentre le istituzioni âpuramenteâ informali sono piuttosto comuni, è difficile trovare esempi di istituzioni che consistono esclusivamente di regole formali. Perfino i codici giuridici scritti si affidano a pratiche informali per lâinterpretazione e lâapplicazione delle leggi. Il fatto che una certa regola sia inclusa formalmente nel corpus di principi che costituiscono il diritto di un Paese ha di per sĂŠ uno scarso significato pratico. Molte leggi non vengono mai seguite e la loro trasgressione non è mai punita, anche se nessuno si è mai preoccupato di abrogarle formalmente.
Nel maggio del 2010 dieci ministri francesi proposero di abrogare una legge che vietava alle donne di indossare i pantaloni. La legge era in vigore dal 1799, ma per lungo tempo nessuno ci aveva fatto caso. Quando infine, nel 2012, fu riconosciuta come non valida, lâatto ufficiale del Parlamento francese ebbe un significato puramente simbolico. Le regole come il divieto francese sui pantaloni sono non effettive. La distinzione tra regole effettive e non effettive è molto significativa dal punto di vista teorico, in quanto è strettamente collegata a un problema profondo della concezione delle istituzioni come regole, che ci terrĂ occupati per il resto di questo capitolo.
Le regole effettive sono importanti per le riforme sociali, in quanto le istituzioni sono fattori causali che possono essere manipolati per raggiungere determinati obiettivi, modificando il comportamento delle persone. Per esempio, lâintroduzione di unâistituzione che fornisca unâassicurazione ai contadini potrebbe cambiare il loro modo di lavorare e migliorare lâefficienza delle loro imprese. Lâintroduzione di una regola di igiene potrebbe ridurre la mortalitĂ infantile e migliorare la fertilitĂ delle donne, e cosĂŹ via. Lâapproccio basato sulle regole, però, non spiega perchĂŠ le persone si conformino alle regole. PerchĂŠ vengono seguite alcune regole e non altre? Non si tratta di una domanda puramente filosofica, ma di una questione pratica estremamente importante: se la ignorassimo rischieremmo di progettare istituzioni fallimentari, sistemi di regole che non saranno seguite da nessuno.
Un altro modo di porre la questione è il seguente: le regole sono asserti linguistici, ma asserire una regola â dire âfai questoâ o âfai quelloâ â non basta per creare unâistituzione. La legge francese è un esempio evidente. In quel caso la legge era stata semplicemente dimenticata, ma il problema è ben piĂš serio, al punto che alcune regole non vengono applicate pur essendo note a tutti. In molti Stati americani, per esempio, il limite di velocitĂ ufficiale in autostrada è di sessantacinque miglia orarie. Ciononostante, la maggior parte delle automobili viaggia tra le sessantacinque e le settantacinque miglia orarie. Quindi, chiaramente, la regola formale non è effettiva â la regola reale, informale, fissa il limite intorno alle settantacinque miglia orarie. Ma dire che il limite di sessantacinque miglia orarie non è la regola ârealeâ lascia molte domande senza risposta: che cosa distingue le regole ârealiâ da quelle ânominaliâ? Qual è la differenza fra la regola delle sessantacinque e quella delle settantacinque miglia orarie? PerchĂŠ la gente applica la seconda e non la prima?
Una spiegazione plausibile potrebbe essere questa: anche se la regola formale fissa il limite a sessantacinque miglia orarie, ci sono dei vantaggi nellâapplicarla con una certa tolleranza. Un automobilista che vada a una velocitĂ di sessantacinque miglia orarie potrebbe per esempio dover accelerare rapidamente per evitare un incidente. Se qualsiasi eccezione alla regola fosse multata, per quanto piccola, lâautomobilista potrebbe esitare, con conseguenze catastrofiche. Dato che le regole del codice stradale sono state concepite per ridurre il numero degli incidenti e migliorare la sicurezza, è ragionevole lasciare un piccolo margine di manovra attorno al limite di velocitĂ ufficiale.
In secondo luogo, câè un problema di misurazione: gli strumenti di rilevazione sono imprecisi. Questo vale sia per gli strumenti a disposizione degli automobilisti sia per quelli usati dalle forze di polizia. Multare le automobili che vadano a sessantasei miglia orarie genererebbe moltissimi contenziosi, appelli, mugugni, accuse di ingiustizia. Può quindi essere saggio da parte della polizia sanzionare solo le violazioni evidenti del codice stradale. In pratica, la polizia potrebbe adottare una strategia del tipo: multare tutte le automobili che viaggiano oltre le settantacinque miglia orarie; multare qualche automobile tra le settanta e le settantacinque; non multarne nessuna tra le sessantacinque e le settanta. Questa strategia funzionerebbe abbastanza bene e assicurerebbe che la maggior parte delle persone guidi attorno alle settanta miglia orarie. Al tempo stesso, quelli che venissero beccati ad andare oltre le settantacinque non potrebbero lamenta...