PARTE PRIMA
La costituzione
1. Un problema
Leggere
Quando il piccolo Gustave Flaubert, smarrito, ancora «animalesco», emerge dalla prima etĂ , le tecniche lo attendono. E i ruoli. Comincia lâaddestramento: e sembra non senza successo; nessuno ci dice, per esempio, che egli abbia avuto difficoltĂ a camminare. Invece sappiamo che questo futuro scrittore si Ăš impuntato quando si Ăš trattato della prova primordiale, del tirocinio delle parole. Cercheremo di vedere, fra un momento, sâegli ebbe, fin dallâorigine, qualche difficoltĂ a parlare. Quel che Ăš certo Ăš che fece cattiva figura nellâaltra prova linguistica, iniziazione e rito di passaggio, lo studio dellâalfabeto: un testimone riferisce che il bambino imparĂČ molto tardi le lettere e che i suoi lo stimavano allora un bambino tardivo. Per parte sua Caroline Commanville fa il seguente racconto:
«Mia nonna aveva insegnato a leggere al figlio maggiore. Volle fare altrettanto col secondo, e si mise allâopera. La piccola Caroline, accanto a Gustave, imparĂČ subito, egli non ci riusciva, e dopo essersi ben sforzato di capire quei segni che non gli dicevano nulla, si metteva a piangere a calde lagrime. Eppure era avido di conoscere, e il suo cervello non stava inerte⊠(Un poâ piĂč tardi papĂ Mignot gli legge ad alta voce.) Nei drammi suscitati dalla difficoltĂ dâimparare a leggere, lâultimo argomento di Gustave, irrefutabile a suo giudizio, era questo: âPerchĂ© imparare, dal momento che PapĂ Mignot legge?â. Ma lâetĂ del collegio si avvicinava, bisognava per forza sapere⊠Gustave ci si mise risolutamente e, in qualche mese, raggiunse i suoi coetanei».
Questi cattivi rapporti con le parole, vedremo che hanno deciso della sua carriera. E poi, bisogna prestar fede, si dirĂ , alla nipote di Flaubert. E perchĂ© no? Essa viveva nellâintimitĂ di suo zio e di sua nonna: Ăš da costei che le vengono le sue notizie. Tuttavia non si avrĂ gran voglia di farle interamente credito a causa del brio, un poâ calcato, del racconto. Caroline sfronda, semplifica, addolcisce; se invece lâincidente narrato non le sembra compromettente, ci fa un poâ di frangia, sforzando la precisione a spese della veritĂ . Basta una lettura per trovare la chiave di codeste deformazioni doppie e contrarie: lo scopo Ăš di riuscire gradita senza abbandonare il tono salottiero.
Torniamo sul brano che ho appena citato: non avremo la minima difficoltĂ a intravvedere lâinfanzia ingrata di Gustave nella sua veritĂ . Ci dicono che il bambino piangeva a calde lagrime, che era avido di conoscere e che la sua impotenza lo desolava. Poi, un poco piĂč sotto, ci viene mostrato uno svogliato fanfarone, ostinato nel suo rifiuto dâimparare: a che scopo? papĂ Mignot legge per me. Ă il medesimo Gustave? SĂŹ: ma il primo atteggiamento Ăš provocato da una constatazione che fa lui stesso: avversitĂ delle cose, incapacitĂ della sua persona. LâAltro Ăš lĂŹ, naturalmente; Ăš il testimone, Ăš lâambiente che lo forza, Ăš lâesigenza. Ma non Ăš lui a suscitare la pena del bambino, rapporto che si crea spontaneo tra gli imperativi inanimati dellâalfabeto e le sue proprie possibilitĂ . «Debbo ma non posso.» Il secondo atteggiamento suppone un rapporto agonistico tra il bambino e i suoi. Caroline Commanville ci dice, quasi di passata, che accadevano delle scene; e questo ci basta. Tali scene non si verificarono subito. Ci fu il momento della pazienza, poi quello dellâafflizione, finalmente quello dei rimproveri: allâinizio sâincrimina la natura, piĂč tardi si accusa il piccino di cattiva volontĂ . Egli risponde, facendo il gradasso, che non sente il bisogno dâimparare a leggere; ma Ăš giĂ vinto, giĂ condizionato: pretende di spiegare il suo rifiuto dâistruirsi, dunque lo ammette; i genitori non vogliono saper altro e tutte le loro impazienze sono giustificate. LâumiltĂ disarmata e lâorgoglioso dispetto che induce la vittima ad addossarsi la maligna volontĂ di cui Ăš falsamente accusata, queste due reazioni sono separate da molti anni. Vi fu, in casa Flaubert, un certo malessere quando Gustave, messo di fronte ai suoi primi compiti umani, si mostrĂČ incapace di assolverli. Codesto malessere, accresciuto di giorno in giorno, durĂČ a lungo, sâinasprĂŹ. Si fece violenza al bambino. Una simile violenza, a malapena evocata e tuttavia cosĂŹ leggibile, basta per incrinare quel racconto bonario. Una strana confusione della signora Commanville viene ad accentuare il nostro imbarazzo: essa lascia intendere che Gustave e Caroline Flaubert impararono a leggere insieme. Ora Gustave aveva quattro anni di piĂč della sorella minore. Supponendo che la signora Flaubert abbia cominciato ad istruirlo verso i cinque anni, lâultima nata, di dodici o tredici mesi, assisteva alle lezioni dalla culla. I tre figli di Achille-ClĂ©ophas hanno dunque, uno dopo lâaltro, ricevuto dalla signora Flaubert lezioni private, il secondo nove anni dopo che il maggiore aveva imparato a leggere, la terza quattro anni dopo che il secondo vi si provĂČ per la prima volta. Ecco che tuttavia la signora Commanville, senza spaventarsi di sĂŹ grandi intervalli, convoca nello stesso paragrafo i suoi due zii e la propria madre. PerchĂ©, dal momento che non studiarono insieme? Leggete bene: la signora Flaubert si fece insegnante del brillante Achille; con Gustave, ricomincia lâesperienza. Per la ragione che i suoi primi successi lâavevano convinta dei propri doni pedagogici: Achille dovette essere un fanciullo prodigio. E Caroline, lâultima venuta, madre della narratrice, imparĂČ senza bisogno dâapplicarsi. Ficcato in mezzo tra queste due meraviglie, Gustave, inferiore sia a questa che a quello, fa una misera figura. Come se la signora Commanville si fosse lanciata in un simile paragone â che non sâimponeva affatto â per ricordare al pubblico che le insufficienze del futuro scrittore si trovavano largamente compensate dallâeccellenza dei due altri bambini. Lo zio era maggiorenne quando la nipote venne alla luce; quando Madame Bovary apparve, essa aveva undici anni; non importa; persino a lei, che non ne vide se non il seguito, i primi anni di Gustave parvero inquietanti; egli ebbe quel ritardo, poi la «crisi di nervi» di cui sentĂŹ certamente parlare ben presto, e non ci fu bisogno dâaltro: essa utilizzerĂ codesta gloria ma non ne resterĂ mai abbagliata. La signora Commanville nata Hamard, Ăš una Flaubert da parte di madre; fin nellâelogio funebre di suo zio, essa tiene a ricordare la propria appartenenza alla piĂč celebre famiglia di scienziati della Normandia. Per salvare lâonore dei Flaubert, essa affianca un genio confinante con lâidiozia a due buoni soggetti, due cervelloni, vera progenitura di scienziati. Se codesta stessa signora, mezzo secolo dopo gli avvenimenti, non seppe trattenersi dal paragonare i tre bambini, sâindovina facilmente quel che Gustave dovette affrontare tra il 1827 e il 1830. Ma avremo lâoccasione di tornare a lungo su questi paragoni. Si trattava di mostrare che Gustave, con la sua carenza, si trovĂČ al centro di una tensione familiare, la quale non cesserĂ di accrescersi finchĂ© egli non avesse raggiunto «i ragazzi della sua età ».
Ă tuttavia sicuro che il bambino non sapesse leggere prima dei nove anni? Quando vi si volesse credere, come ammettere che Gustave sapesse scrivere da cosĂŹ poco tempo quando indirizzava a Ernest Chevalier, il 31 dicembre 1830, ossia a nove anni, la lettera stupefacente di cui avremo altre occasioni di riparlare? A rileggerla essa colpisce per la sua fermezza: frasi concise e vigorose, vere; lâortografia Ăš un poâ fantasiosa: non piĂč del necessario. Non câĂš dubbio: lâautore Ăš padrone delle sue figurazioni grafiche. Propone dâaltronde al suo amico Ernest di «mandargli le sue commedie». Il brano non Ăš molto chiaro: si tratta di commedie che ha giĂ scritto o di quelle che conta di scrivere quando Ernest «scriverĂ i suoi sogni»? In ogni caso la parola scrivere ha giĂ per lui il doppio significato che ne costituisce tutta lâambiguitĂ : designa insieme il semplice atto di tracciare parole su un foglio e lâimpresa singolare di comporre «scritti». Pensavamo di trovare un ex-idiota appena uscito dalle nebbie: cadiamo su un letterato. Impossibile. Ă vero: un diverso ambiente, lâintelligenza di unâeducatrice, i consigli di un medico, tutto puĂČ servire ai bambini ritardati; basta loro unâoccasione. E per molti di lento comprendonio, lâaccesso al mondo della lettura si presenta come una vera e propria conversione religiosa, a lungo e insensibilmente preparata, di colpo resa attuale. Ma sono progressi improvvisi, che compensano i ritardi di unâannata. Di due, a rigore, non piĂč. Gustave, a credere a sua nipote, aveva da riguadagnarne quattro o cinque.
No: analfabeta a nove anni, il bambino sarebbe troppo gravemente menomato perchĂ© si possa concepire il suo sprint finale. Gustave seppe leggere nel 1828 o â29, cioĂš a dire fra i sette e gli otto anni. Prima, il suo ritardo non avrebbe preoccupato altrettanto; dopo, egli non avrebbe mai potuto riguadagnarlo.
Quel che rimane vero Ăš che i Flaubert sono in pensiero. A lungo, Gustave non ha potuto cogliere i legami elementari che fanno di due lettere una sillaba, di piĂč sillabe una parola. DifficoltĂ , queste, che se ne portano dietro altre: come far di conto senza saper leggere? Come ricordare i primi elementi di storia e geografia se lâinsegnamento resta orale? Di ciĂČ oggi non ci si preoccupa: i metodi sono piĂč sicuri e, soprattutto, si accetta lâallievo cosĂŹ comâĂš. In quellâepoca câera un ordine da seguire e il bambino doveva piegarvisi. Dunque, Gustave era in ritardo su tutta la linea.
IngenuitĂ
Non interamente, perĂČ: papĂ Mignot gli leggeva ad alta voce, il bambino assorbiva una cultura diffusa, giĂ letteraria; i romanzi ne eccitavano lâimmaginazione, la fornivano di nuovi schemi, egli imparava come si adoprano i simboli. Un bambino, se sâincarna per tempo in Don Chisciotte, inserisce in se stesso, a propria insaputa, il principio generale di tutte le incarnazioni: sa ritrovarsi nella vita dâun altro, vivere come un altro la propria vita. Sfortunatamente niente di tutto ciĂČ era visibile. Lâacquisito, trasparenze nuove, radure dellâanima, riflessi, era di tal natura da moltiplicare il numero dei suoi stupori: in ogni caso non lo riduceva. La signora Flaubert non seppe niente di questi suoi esercizi. E cominciĂČ a nascere il dubbio: Gustave non sarebbe per caso un idiota? Ritroviamo i suoi allarmi nello spigliato racconto della signora Commanville:
«Il bambino era di unâindole tranquilla, meditativa, e dâuna ingenuitĂ di cui ha conservato qualche traccia tutta la vita. Mia nonna mi ha raccontato che restava lunghe ore con un dito in bocca, assorto, con unâespressione quasi sciocca. Quando aveva sei anni, un vecchio domestico, Pietro, divertendosi della sua innocenza, gli diceva, per non essere importunato dal piccolo: âVa a vedere⊠in cucina se io ci sonoâ. E il bambino andava a interrogare la cuoca: âPietro mâha detto di venire a vedere se Ăš quiâ. Non capiva che volevano imbrogliarlo e, alle risate, restava pensieroso, intravvedendo un mistero».
Testo curioso e menzognero; sotto il buon umore di Caroline, fa capolino la veritĂ : Gustave era un povero di spirito, dâuna inverosimile credulitĂ patologica; piombava spesso in lunghe ebetudini, i genitori lo scrutavano in viso e temevano che fosse idiota. Non si puĂČ ammettere che tali confidenze fossero fatte gaiamente, in un sollievo trionfale; sarebbe un conoscer male la madre di Gustave: essa non ha mai creduto al genio, e neppure al talento, di suo figlio. In primo luogo queste parole per lei non avevano senso: vedova di un cervellone, soltanto i cervelloni avevano diritto alla sua stima; spirito pratico, non riconosceva dellâingegno che agli uomini capaci e stimati per tali, perchĂ© la capacitĂ consentiva loro di vendere i propri servizi al prezzo piĂč alto. Da questo punto di vista doveva apprezzare il figlio maggiore piĂč del secondo. Ed Ăš ciĂČ che probabilmente faceva, pur senza volergli troppo bene. Col cuore inclinava verso lâaltro; e poi aveva qualche contrasto con la nuora. Ma pensava di restare a Croisset per dovere: Gustave era un malato, sarebbe morto o diventato pazzo senza le cure materne. Non câĂš nulla di piĂč strano di questa coppia di solitari feriti, ognuno dei quali si rintanava lontano dagli uomini in quella casa in riva allâacqua e pretendeva di non restarvi che per soccorrere lâaltro. Ma la gelida sollecitudine della signora Flaubert dimostra la poca stima che essa aveva di suo figlio; prima lâidiozia, poi lâallarme del padre, placato per un momento, poi allâimprovviso risorto quando Gustave ebbe diciassette anni, gli anni sterili di Parigi e, infine, la crisi di Pont-lâEvĂȘque, il mal caduco, finalmente lâisolamento volontario e lâoziositĂ , tutti codesti infortuni le sembravano collegati da un filo segreto: nel cervello del piccino qualcosa si era guastato, forse fin dalla nascita: lâepilessia â era il nome che veniva dato alla «malattia» di Flaubert â era, insomma, lâidiozia perdurante. Egli parlava, grazie a Dio, ragionava, ma non per questo era meno incapace in assoluto di esercitare un mestiere, ciĂČ che si era temuto di dover prevedere fin dal suo sesto anno. Scriveva, certamente, ma cosĂŹ poco: che cosa faceva lassĂč, nella sua camera? Sognava, si gettava sul divano, sopraffatto da un nuovo attacco, oppure ricadeva nelle sue vecchie ebetudini. Lavorava, diceva, a un nuovo mostro che chiamava «la Bovary»; la madre, prevedendo che corresse incontro a uno smacco, si augurava che egli non terminasse mai la propria opera. Mai voto fu piĂč saggio: ella se ne rese conto quando apprese che quegli osceni scarabocchi stavano per disonorare la famiglia e che lâautore sarebbe stato trascinato sul banco dellâinfamia. La piccola Caroline Hamard era allora sui dodici anni e i particolari che essa ci riferisce, la sua nonna glieli comunicĂČ negli anni che seguirono allo scandalo. Ă chiaro che la vedova aveva il sentimento di confidarle un doloroso segreto, apprensioni malauguratamente ribadite: «Fin da bambino tuo zio ci ha dato un mucchio di preoccupazioni». La signora Flaubert fu una madre che non capiva il figlio, perchĂ© era vedova dâun marito che essa non aveva capito: esasperĂČ Â«lâirritabilità » del figlio minore addossandosi per devozione tutti i giudizi sbagliati che quello Sposo adorabile aveva espresso su di lui. Caroline fu la sua confidente: Gustave traeva una gioia vendicativa dal fare lâeducazione di sua nipote: io, il forzato dellâabbecedario, istruito dalle mie sofferenze, illustro il mondo a questa bambina senza che le costi una lagrima. Ma la nonna aveva prevenuto contro di lui la nipotina, che prevenuta rimase, qualunque cosa egli facesse, e, incapace di apprezzare lo zio, meglio si applicĂČ a utilizzarlo che a volergli bene. Per dare al brano citato tutto il suo senso, bisogna vedervi la trascrizione in stile edificante del malevolo chiacchiericcio di due comari, una delle quali Ăš una donna lagnosa che sta invecchiando, lâaltra una piccolo-borghese, e neanche tanto buona, dai dodici ai quindici anni: costoro sbranano lâinquilino del piano di sopra, lâuna per disperazione, e spesso per suscettibilitĂ ferita, lâaltra per giovanile malignitĂ conformista. Ed Ăš la nonna che ha potuto dire: «UnâingenuitĂ di cui ha conservato qualche traccia». Caroline Ăš incapace di fare una riflessione cosĂŹ giusta; dâaltronde bisogna aver visto coi propri occhi, nella sua realtĂ , lâinnocenza del bambinetto per ritrovarla nellâadulto sotto vari travestimenti. Venendo dalla signora Flaubert, e sostenuta sullâaneddoto che conosciamo, lâintenzione Ăš chiara: questo romanziere, che pretende di leggere nei cuori, non Ăš che un babbeo, un credenzone che ha conservato nellâetĂ matura lâeccezionale credulitĂ dellâinfanzia. Quanto allâesempio riferito, sorprende. A sei anni, i bambini «normali» si orientano non senza fatica nello spazio e nel tempo: sullâessere, sullâio, esitano, la loro ragione si confonde. Ma questo vecchio che vedono, che toccano e che discorre con loro, qui ed ora, non si darĂ loro a bere che sia nel medesimo istante al capo opposto dellâappartamento. A sei anni, no. NĂ© a cinque, e neppure a quattro: se «vanno a vedere in cucina», gli Ăš che non possiedono del tutto lâuso delle parole, che non le avranno capite che a metĂ o che si precipitano senza troppo ascoltare, per la gioia di correre a perdifiato. Invero, lâunicitĂ dei corpi e la loro localizzazione sono caratteri semplici e manifesti: occorre un lavoro della mente per riconoscerli, ma che cosa farĂ esso se non rendere interiori le sintesi passive dellâesteriore? Lo sdoppiamento, al contrario, o lâubiquitĂ di un essere individuato, sono punti di vista della mente, contraddetti dallâesperienza quotidiana e che nessuna immagine mentale puĂČ puntellare. Infatti tali nozioni sono caratterizzate dalla loro stessa complessitĂ : non si puĂČ estrarle se non dalla disintegrazione dellâidentitĂ ; per concepire un simile gemellarsi dallâidentico, bisogna essere adulti e teosofi. Un bambino tardivo puĂČ conservare a lungo una visione confusa dellâindividualitĂ localizzata, ma egli ne sarĂ allontanato sempre piĂč da queste dicotomie: perchĂ© soltanto per pensare che un individuo si sdoppi bisogna dapprima saperlo individualizzare. Gustave Ăš dunque lâeccezione? Sarebbe grave: tanto piĂč che egli arriva fino a interrogare la cuoca e che, anche dopo la beffa, non si accorge di esser stato preso in giro. Per fortuna, la regola Ăš rigorosa, come ho appena mostrato, e non tollera neppure la famosa eccezione che la confermerebbe. Altrimenti detto, questa storia Ăš unâinvenzione pura e semplice.
La fiducia come spiegazione
Questo esempio di ingenuitĂ non Ăš che un simbolo. Caroline ne ha trovato rassicurante la balordaggine e gli ha dato il colpo di pollice che ci voleva. Simbolo di che? Dâun mucchio di piccoli avvenimenti familiari, troppo «privati», secondo lei, per essere raccontati. PerchĂ© il bambino credesse al suo interlocutore, non ebbe mai bisogno, stiamo pur sicuri, dâuna simile distorsione mentale: gl...