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GENERAL SUBJECTS
FICTILIA TECTA
RIFLESSIONI STORICHE SULLâARCAISMO ETRUSCO E ROMANO
MARIO TORELLI*
Il dominio assoluto1 della struttura familiare nellâItalia protostorica è documentato a sufficienza da unâurna a capanna di provenienza sconosciuta2 (fig. 1). Lâedificio riprodotto, che incarna tutti i valori del dominio esercitato dal paterfamilias sul gruppo, presenta sulla sommitĂ della fronte una figuretta maschile schematica dal capo coperto dal berretto di un tipo, che ritorna in una serie di raffigurazioni in piccola plastica in bronzo di VIII secolo a.C. di area tirrenica3 e che forse va riconosciuto come lâantenato del galerus di epoca storica: lâimmagine non può che celebrare il defunto stesso o un suo antenato di prestigio, cosĂŹ come nella regia laurentina di Latino descritta da Virgilio4 la fronte dellâedificio è ornata dalle figure di Picus e Faunus, antenati mitici del re. La dominanza delle strutture patriarcali nellâideologia etrusca e latina dellâetĂ del Ferro è cosĂŹ assoluta e di tanto lungo periodo, che il messaggio della rozza figuretta dellâurna a capanna ritorna secoli dopo in forme appena modificate nelle straordinarie sculture che decoravano la sommitĂ dei kalypteres hegemones della residenza regale dellâanonimo centro etrusco di Murlo5 (fig. 2), raffiguranti in dimensione monumentale gli antenati maschili e femminili dei reges della sottostante regia. Stratagemma comunicativo di primâordine è lâenfasi creata dalla collocazione delle sculture sulla sommitĂ del tetto, che può essere realizzata nellâurna a capanna attraverso unâincombente visione frontale attribuita allâimmagine, oppure nella regia di Murlo mediante una lettura apparentemente narrativa e âdistesaâ della lunga sequenza di impressionanti figure ancestrali intervallate ad immagini di leoni, sfingi e forse ancora altri animali reali e fantastici decoranti il tetto, con un tipo di organizzazione della raffigurazione sulla quale tornerò piĂš avanti. Comâè noto, nel mondo greco, la rappresentazione è tutta indirizzata verso il mito. In ambito etruscolatino lâintento confirmatorio dellâassetto sociale vigente viene espresso, in forma diretta e senza alcuna mediazione, attraverso la rievocazione delle immagini degli antenati, dai quali derivano sicurezza, stabilitĂ e protezione, compiti che in terra greca vengono affidati allo strumento indiretto del mito. Per la cultura ellenica arcaica alla leggenda vengono infatti attribuite le medesime funzioni rassicuranti, senza però che si faccia menzione esplicita della struttura sociale e della stabilitĂ e immutabilitĂ dei suoi vertici, al centro invece del coevo immaginario etrusco-latino. In Grecia il vasto e complesso armamentario del racconto mitico risulta pienamente in grado di riaffermare la struttura sociale esistente e i suoi valori: e cosĂŹ, se il compito di risvegliare istinti identitari tra gli spettatori è affidato al richiamo di prestigiose discendenze da eroi comuni, sono le immagini di divinitĂ saldamente insediate in quelle terre ad assicurare, con la loro presenza fisica aldisopra e allâinterno dei templi, una speciale protezione degli abitanti dei luoghi, esattamente come la riaffermazione delle certezze dei comportamenti e dei modelli etici condivisi viene ancorata alla rievocazione di vicende leggendarie dai chiari significati in termini di premi e castighi. In tutti e due i mondi, in quello etrusco-latino come in quello greco, è comunque essenziale la collocazione delle immagini nel monumento. Per tutta lâepoca arcaica lâedificio, che nello specifico ordinamento ideologico occupa una posizione centrale, la residenza gentilizia in Etruria e nel Lazio, il tempio in area greca, viene decorato nellâun caso con immagini di antenati mitici, nellâaltro con raffigurazioni di dei, di eroi o di racconti leggendari: dellâedificio queste immagini dominano la fronte e in particolare il centro di tale fronte. Solo in area tirrenica a questa accentuazione della rappresentazione frontale si affiancano prospettive di lettura non centralizzate, concepite per visioni laterali, comunque dominanti, che nel caso delle regiae hanno il loro punto di vista fondamentale nei vasti cortili, sede dei rituali e delle riunioni del gruppo, un poâ come nel mondo greco sono le metope a svolgere analogo compito di strumento di letture laterali, benchĂŠ dotate di ben minore enfasi.
Ecco allora che la figura centrale sulla fronte dellâurna a capanna propone allo spettatore una precisa e assoluta suggestione di alto dominio, la stessa che in area greca occidentale, soprattutto siceliota, viene suggerita dalle numerose figure acroteriali centrali di cavaliere6, da quello notissimo da Camarina7 (fig. 3), ai molti, di epoca sia arcaica che classica, non tutti pubblicati, da Gela8, da Siracusa9, da Agrigento, da Monte Casale-Casmene e dal centro indigeno ellenizzato di Monte San Mauro10, figure peraltro ben note anche in Magna Grecia, con il pur notissimo cavaliere del Tempio di Casa Marafioti a Locri e un altro monumentale esemplare, purtroppo ancora inedito, da Metaponto. Su tutte queste statue acroteriali ci dirĂ piĂš avanti in maniera piĂš ampia e documentata la collega A. Moustaka11. La grande popolaritĂ in area greco-occidentale del soggetto del giovane cavaliere come decorazione del vertice della fronte di templi, di thesauroi e forse anche di edifici non di carattere primariamente sacro, a buon diritto ha sempre fatto parlare di immagini di Dioscuri: tuttavia la sua presenza in cittĂ , nelle quali il culto dei Dioscuri non è specificatamente attestato, fa pensare che la motivazione di tanta frequenza nasca dalla particolare valenza posseduta dallâippotrofia in ambienti dorici, dove le locali aristocrazie assegnavano un ruolo di primo piano, militare e politico, ai loro giovani, inseriti nei ranghi equestri: si pensi alla posizione attribuita agli hippeis nella Megara Iblea dei pacheis, dei âgrassiâ, ossia della ristretta aristocrazia arcaica12, ben illustrata da due troppo spesso dimenticati gruppi equestri13 in pietra che ornavano grandiosi sepolcri aristocratici della cittĂ . Il peso di queste immagini (e dunque di ciò era a queste dietro, di esplicito e di non esplicito) era talmente grande che le classi dominanti dellâarea indigena della Sicilia, notoriamente ellenizzate in profonditĂ sin da epoca remota, riprendono il modello dellâacroterio equestre per le loro architetture religiose, che, come documentano le terrecotte architettoniche arcaiche di siti come Monte San Mauro, assumevano spessissimo una struttura di tipo perfettamente greco: della cosa è prezioso documento il modellino fittile di tempio14 da uno dei centri piĂš vivaci di area sicula, Sabucina (fig. 4), nel quale lâusuale acroterio a disco assume lo stesso rivestimento equestre degli esempi appena ricordati dalle grandi cittĂ siceliote.
Con lâiniziale VI secolo a.C. la grande innovazione greca dei frontoni animati da una potente fantasia creatrice, da subito allâopera per dare spazio alla rappresentazione figurata del mito, divide in maniera radicale i due mondi, quello greco da quello etruscolatino, dove si conoscono solo marginali esperimenti di frontone scolpito, come nel caso delle pantere del tempio romano di S.Omobono15. I due mondi troveranno una formale unitĂ soltanto in epoca ellenistica, quando lâarea tirrenica, pur restando fedele alla duttile argilla, accetterĂ unâautentica decorazione dei frontoni: come è noto, tra il tardo arcaismo e lâavanzato ellenismo le rappresentazioni mitiche restano confinate agli acroteri o alla quadreria composta dalle placche di rivestimento del columen e dei mutuli.