Deliciae Fictiles IV
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Deliciae Fictiles IV

Architectural Terracottas in Ancient Italy. Images of Gods, Monsters and Heroes

Patricia S. Lulof, Carlo Rescigno, Carlo Rescigno

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Deliciae Fictiles IV

Architectural Terracottas in Ancient Italy. Images of Gods, Monsters and Heroes

Patricia S. Lulof, Carlo Rescigno, Carlo Rescigno

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Über dieses Buch

In Ancient Italy, temples were adorned with full-figure architectural terracotta images such as acroteria, statuary groups and high reliefs. These terracottas mostly show complex scenes of gods and heroes, legendary battles and mythical animals, as well as large volutes and palmettes. The fourth edition of the Deliciae Fictiles conferences focused on this specific class of mostly handmade terracotta roof decoration from Etruria and Central Italy, Campania, Magna Graecia and Sicily. The volume contains sixty contributions, publishing new material, new findings and many new reconstructions of this highly rare material from all over Italy from the Archaic period into the Hellenistic times. A vast bibliography and over seven hundred illustrations, many of which in colour, provide reference material for scholars and students of archaeology, ancient architecture and technique, art history and iconography.

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Information

Jahr
2011
ISBN
9781842176092

1
GENERAL SUBJECTS

FICTILIA TECTA
RIFLESSIONI STORICHE SULL’ARCAISMO ETRUSCO E ROMANO

MARIO TORELLI*

Il dominio assoluto1 della struttura familiare nell’Italia protostorica è documentato a sufficienza da un’urna a capanna di provenienza sconosciuta2 (fig. 1). L’edificio riprodotto, che incarna tutti i valori del dominio esercitato dal paterfamilias sul gruppo, presenta sulla sommità della fronte una figuretta maschile schematica dal capo coperto dal berretto di un tipo, che ritorna in una serie di raffigurazioni in piccola plastica in bronzo di VIII secolo a.C. di area tirrenica3 e che forse va riconosciuto come l’antenato del galerus di epoca storica: l’immagine non può che celebrare il defunto stesso o un suo antenato di prestigio, così come nella regia laurentina di Latino descritta da Virgilio4 la fronte dell’edificio è ornata dalle figure di Picus e Faunus, antenati mitici del re. La dominanza delle strutture patriarcali nell’ideologia etrusca e latina dell’età del Ferro è così assoluta e di tanto lungo periodo, che il messaggio della rozza figuretta dell’urna a capanna ritorna secoli dopo in forme appena modificate nelle straordinarie sculture che decoravano la sommità dei kalypteres hegemones della residenza regale dell’anonimo centro etrusco di Murlo5 (fig. 2), raffiguranti in dimensione monumentale gli antenati maschili e femminili dei reges della sottostante regia. Stratagemma comunicativo di prim’ordine è l’enfasi creata dalla collocazione delle sculture sulla sommità del tetto, che può essere realizzata nell’urna a capanna attraverso un’incombente visione frontale attribuita all’immagine, oppure nella regia di Murlo mediante una lettura apparentemente narrativa e ‘distesa’ della lunga sequenza di impressionanti figure ancestrali intervallate ad immagini di leoni, sfingi e forse ancora altri animali reali e fantastici decoranti il tetto, con un tipo di organizzazione della raffigurazione sulla quale tornerò più avanti. Com’è noto, nel mondo greco, la rappresentazione è tutta indirizzata verso il mito. In ambito etruscolatino l’intento confirmatorio dell’assetto sociale vigente viene espresso, in forma diretta e senza alcuna mediazione, attraverso la rievocazione delle immagini degli antenati, dai quali derivano sicurezza, stabilità e protezione, compiti che in terra greca vengono affidati allo strumento indiretto del mito. Per la cultura ellenica arcaica alla leggenda vengono infatti attribuite le medesime funzioni rassicuranti, senza però che si faccia menzione esplicita della struttura sociale e della stabilità e immutabilità dei suoi vertici, al centro invece del coevo immaginario etrusco-latino. In Grecia il vasto e complesso armamentario del racconto mitico risulta pienamente in grado di riaffermare la struttura sociale esistente e i suoi valori: e così, se il compito di risvegliare istinti identitari tra gli spettatori è affidato al richiamo di prestigiose discendenze da eroi comuni, sono le immagini di divinità saldamente insediate in quelle terre ad assicurare, con la loro presenza fisica aldisopra e all’interno dei templi, una speciale protezione degli abitanti dei luoghi, esattamente come la riaffermazione delle certezze dei comportamenti e dei modelli etici condivisi viene ancorata alla rievocazione di vicende leggendarie dai chiari significati in termini di premi e castighi. In tutti e due i mondi, in quello etrusco-latino come in quello greco, è comunque essenziale la collocazione delle immagini nel monumento. Per tutta l’epoca arcaica l’edificio, che nello specifico ordinamento ideologico occupa una posizione centrale, la residenza gentilizia in Etruria e nel Lazio, il tempio in area greca, viene decorato nell’un caso con immagini di antenati mitici, nell’altro con raffigurazioni di dei, di eroi o di racconti leggendari: dell’edificio queste immagini dominano la fronte e in particolare il centro di tale fronte. Solo in area tirrenica a questa accentuazione della rappresentazione frontale si affiancano prospettive di lettura non centralizzate, concepite per visioni laterali, comunque dominanti, che nel caso delle regiae hanno il loro punto di vista fondamentale nei vasti cortili, sede dei rituali e delle riunioni del gruppo, un po’ come nel mondo greco sono le metope a svolgere analogo compito di strumento di letture laterali, benché dotate di ben minore enfasi.
fig. 1. Roma, Museo Pigorini. Urna a capanna di provenienza sconosciuta (da BARTOLONI 1987).
Fig. 2.* Murlo, Siena, veduta ricostruttiva del palazzo dall’interno del cortile (da WINTER 2009a).
Ecco allora che la figura centrale sulla fronte dell’urna a capanna propone allo spettatore una precisa e assoluta suggestione di alto dominio, la stessa che in area greca occidentale, soprattutto siceliota, viene suggerita dalle numerose figure acroteriali centrali di cavaliere6, da quello notissimo da Camarina7 (fig. 3), ai molti, di epoca sia arcaica che classica, non tutti pubblicati, da Gela8, da Siracusa9, da Agrigento, da Monte Casale-Casmene e dal centro indigeno ellenizzato di Monte San Mauro10, figure peraltro ben note anche in Magna Grecia, con il pur notissimo cavaliere del Tempio di Casa Marafioti a Locri e un altro monumentale esemplare, purtroppo ancora inedito, da Metaponto. Su tutte queste statue acroteriali ci dirà più avanti in maniera più ampia e documentata la collega A. Moustaka11. La grande popolarità in area greco-occidentale del soggetto del giovane cavaliere come decorazione del vertice della fronte di templi, di thesauroi e forse anche di edifici non di carattere primariamente sacro, a buon diritto ha sempre fatto parlare di immagini di Dioscuri: tuttavia la sua presenza in città, nelle quali il culto dei Dioscuri non è specificatamente attestato, fa pensare che la motivazione di tanta frequenza nasca dalla particolare valenza posseduta dall’ippotrofia in ambienti dorici, dove le locali aristocrazie assegnavano un ruolo di primo piano, militare e politico, ai loro giovani, inseriti nei ranghi equestri: si pensi alla posizione attribuita agli hippeis nella Megara Iblea dei pacheis, dei ‘grassi’, ossia della ristretta aristocrazia arcaica12, ben illustrata da due troppo spesso dimenticati gruppi equestri13 in pietra che ornavano grandiosi sepolcri aristocratici della città. Il peso di queste immagini (e dunque di ciò era a queste dietro, di esplicito e di non esplicito) era talmente grande che le classi dominanti dell’area indigena della Sicilia, notoriamente ellenizzate in profondità sin da epoca remota, riprendono il modello dell’acroterio equestre per le loro architetture religiose, che, come documentano le terrecotte architettoniche arcaiche di siti come Monte San Mauro, assumevano spessissimo una struttura di tipo perfettamente greco: della cosa è prezioso documento il modellino fittile di tempio14 da uno dei centri più vivaci di area sicula, Sabucina (fig. 4), nel quale l’usuale acroterio a disco assume lo stesso rivestimento equestre degli esempi appena ricordati dalle grandi città siceliote.
Fig. 3. Siracusa, Museo Regionale ‘Paolo Orsi’. Acroterio fittile in forma di cavaliere, da Camarina (da PUGLIESE CARRATELLI 1985).
Con l’iniziale VI secolo a.C. la grande innovazione greca dei frontoni animati da una potente fantasia creatrice, da subito all’opera per dare spazio alla rappresentazione figurata del mito, divide in maniera radicale i due mondi, quello greco da quello etruscolatino, dove si conoscono solo marginali esperimenti di frontone scolpito, come nel caso delle pantere del tempio romano di S.Omobono15. I due mondi troveranno una formale unità soltanto in epoca ellenistica, quando l’area tirrenica, pur restando fedele alla duttile argilla, accetterà un’autentica decorazione dei frontoni: come è noto, tra il tardo arcaismo e l’avanzato ellenismo le rappresentazioni mitiche restano confinate agli acroteri o alla quadreria composta dalle placche di rivestimento del columen e dei mutuli.
Fig. 4. Enna, Museo reg...

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