1. Come vedere se stessi
Nel 2013 lâOxford English Dictionary scelse come parola dellâanno âselfieâ, ovvero ÂŤuna fotografia di se stessi, solitamente scattata con uno smartphone o una webcam e caricata sul sito web di un social mediaÂť. A quanto pare, tra lâottobre del 2012 e lâottobre del 2013 il termine è stato usato con una frequenza cresciuta del diciassettemila percento rispetto allâanno precedente, in parte grazie alla popolaritĂ di Instagram, il social network di photo-sharing. Nel 2013, solo su questa piattaforma, è stato usato lâhashtag #selfie per centottantaquattro milioni di fotografie.
Se un tempo gli autoritratti erano prerogativa di poche persone molto esperte, oggi chiunque può realizzarne uno con la fotocamera del proprio cellulare. Il selfie è lâesempio piĂš eclatante di come attivitĂ un tempo elitarie siano diventate parte integrante della cultura visuale globale. Esso sviluppa, espande e intensifica la lunga storia dellâautoritratto, genere pittorico che doveva mostrare agli altri lo status della persona raffigurata. Allo stesso modo, la nostra âimmagineâ espressa con il selfie â ovvero come vorremmo che gli altri ci vedessero â non è che la messinscena della quotidiana rappresentazione di noi stessi in tensione con le nostre emozioni interiori, che non sempre riusciamo a esternare come vorremmo. Lâautoritratto ha visto corrispondere a ogni stadio della sua espansione una crescita del numero di persone in grado di raffigurare se stesse. Fino allâepoca attuale, in cui la maggioranza giovane, urbana e interconnessa si è appropriata di questa tradizione rendendo il selfie la prima firma visiva della nuova era globale.
Per la maggior parte dellâetĂ moderna soltanto i facoltosi e potenti avevano avuto la possibilitĂ di vedere unâimmagine di se stessi. Lâinvenzione della fotografia nel 1839 portò presto allo sviluppo di formati fotografici economici che resero il ritratto e lâautoritratto accessibili alla maggioranza della classe operaia delle nazioni industrializzate. Il 10 dicembre 2013, durante il funerale di Nelson Mandela, queste due storie si sono incrociate grazie a un selfie scattato dalla premier danese Helle Thorning-Schmidt, che includeva anche il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e il primo ministro inglese David Cameron.
Per quanto alcuni commentatori abbiano contestato lâappropriatezza del momento scelto, questo selfie ha segnato lâabbandono della fredda fotografia ufficiale in posa a favore di un format popolare. Lâimmagine che ritrae il momento dello scatto del selfie venne riproposta in tutto il mondo, sebbene la fotografia in sĂŠ non fosse stata resa disponibile ai media. Solo un paio di settimane dopo, i piĂš celebri attori del mondo si misero intorno a Ellen DeGeneres alla cerimonia degli Oscar del 2014 comparendo in un selfie scattato da Bradley Cooper, divenuto il tweet piĂš popolare fino a quel momento (definito anche il piĂš popolare âdi tutti i tempiâ). Il selfie è una performance digitale che riunisce lâimmagine di sĂŠ, la tradizione dellâautoritratto dellâartista da eroe e lâimmagine meccanica dellâarte moderna: ha creato un nuovo modo di pensare alla storia della cultura visuale come storia dellâautoritratto.
LâIo imperiale
Queste intersezioni â tra autoritratto, immagine meccanica e tecnologia digitale â hanno precedenti illustri nella storia dellâarte. Il capolavoro del 1656 Las Meninas del pittore spagnolo Diego VelĂĄzquez è un perfetto esempio di come lâaura della maestĂ e quella dellâautoritratto possano essere messe in relazione. Il dipinto consiste in una serie di calembours visivi, giochi e rappresentazioni che ruotano intorno allâautoritratto dellâartista.
Quando ci poniamo di fronte al quadro, VelĂĄzquez sta con i suoi pennelli alla nostra sinistra. La tela a cui lavora ci ostruisce parte del campo visivo. In primo piano scorgiamo le damigelle del titolo, nellâatto di inchinarsi al servizio della bambina in bianco, lâinfanta Margherita, figlia di Filippo IV di Spagna. Notiamo subito che quasi tutti nel quadro guardano qualcosa o qualcuno situato nel punto dâosservazione dello spettatore. Osservando il fondo del dipinto, scorgiamo due figure in una cornice posta sul muro: poichĂŠ è molto piĂš luminoso degli altri cupi dipinti appesi alla parete, deduciamo si tratti di uno specchio che riflette le persone cui tutti stanno rivolgendo lo sguardo. Non persone qualsiasi, ma il re e la regina, e questo spiega perchĂŠ tutti appaiano come paralizzati.
In una famosa analisi del dipinto nel suo volume del 1966 Le parole e le cose, il filosofo francese Michel Foucault osservava come il quadro non raffigurasse soltanto ciò che era visibile al suo interno ma i mezzi stessi per ordinare e rappresentare una societĂ . Soggetto del ritratto sono i modi in cui si possono raffigurare gli esseri viventi secondo una gerarchia che scaturisce dalla presenza del re e va dal cane in primo piano alla ânanaâ che funge da giullare di corte, alle dame di compagnia e agli altri nobili, sino al pittore e ai sovrani. Lâapproccio di Foucault ha contribuito a sua volta a ispirare la cosiddetta ânuova storia dellâarteâ e, in seguito, il concetto di cultura visuale. Egli mostra come il punto che tutti stanno osservando è il centro proprio perchĂŠ il re è lĂŹ, e sottolinea
la triplice funzione che [il centro] occupa in rapporto al quadro. In esso si sovrappongono esattamente lo sguardo del modello nel momento in cui viene dipinto, quello dello spettatore che contempla la scena, e quello del pittore nel momento in cui compone il suo quadro.1
Lo specchio riflette i modelli su cui il pittore rappresentato nel quadro sta lavorando. Rende anche implicitamente visibile il punto da cui il vero Velåzquez lavorava. Ed è lo stesso punto in cui ci troviamo noi ora a guardare il quadro terminato. Foucault osserva:
Il posto in cui troneggia il re con sua moglie è anche quello dellâartista e quello dello spettatore: in fondo allo specchio potrebbero apparire â dovrebbero apparire â il volto anonimo del passante e quello di VelĂĄzquez.2
Lo âspecchioâ dunque non obbedisce tanto alle leggi dellâottica quanto a quelle della maestĂ , come peraltro il dipinto stesso. Del resto, non bisogna dimenticare che nel XVII secolo i monarchi europei rivendicavano un potere assoluto. La cerimonia dellâincoronazione, durante la quale venivano consacrati al pari di sacerdoti, lo esprimeva chiaramente. Coniugando potere secolare e spirituale, i monarchi assoluti erano rappresentanti di Dio sulla terra e rivendicavano un enorme potere incentrato sulla loro stessa persona.
Per dare unâidea di questo status qual era dunque il giusto modo di rappresentare il re? Non tutti gli individui cui capitasse di diventare re o regina possedevano il physique du rĂ´le. E anche i piĂš autorevoli avevano momenti di debolezza, malattia e declino. In difesa della fallibile persona del re, i sovrani europei introdussero il concetto di âcorpo del reâ, ciò che noi definiamo âmaestĂ â. La maestĂ non dorme, non si ammala, non invecchia. Ă visualizzata, non vista. Ogni azione tesa a sminuire la maestĂ era un crimine perseguibile, detto âdi lesa maestĂ â. Divenne un reato penale persino spiegazzare un pezzo di carta su cui fosse scritto il nome del re. Agli attacchi fisici al re si rispondeva con punizioni spettacolari, poichĂŠ si trattava di un duplice attacco, alla persona del re o della regina e allâistituzione della maestĂ .
Las Meninas è totalmente investito di questo potere, che rende lâimmagine del re pari, e per certi versi superiore, al re stesso; per associazione, avanza anche una serie di rivendicazioni sul potere dellâartista. Come abbiamo visto, lo âspecchioâ non è otticamente preciso: storici dellâarte come Joel Snyder hanno dimostrato che la composizione prospettica nel quadro non converge sullo specchio ma sul braccio dellâuomo posto sulla soglia della porta aperta che, rispetto a noi, sta leggermente piĂš a destra.3 Sebbene la scena sembri mostrare uno specchio che riflette il re, in realtĂ mostra lo specchio che riflette il dipinto di VelĂĄzquez del re. Ă possibile che la prospettiva di VelĂĄzquez non fosse molto precisa, oppure che lâartista volesse creare un inganno visivo per il suo pubblico. In ogni caso, lo âspecchioâ mostra qualcosa che lo spettatore normalmente non sarebbe in grado di vedere: secondo lâipotesi di Snyder, il dipinto a cui lâartista sta lavorando, secondo quella di Foucault, il re e la regina in piedi di fronte a esso.
Quindi lo specchio falsa la realtĂ , ma rivela al tempo stesso un mondo di possibilitĂ . Las Meninas rivendica con forza il potere dellâartista, in maniera sia letterale sia metaforica, mettendo in chiaro che il pittore è in grado di realizzare imprese di cui altri non sarebbero capaci. Se solo ventâanni prima doveva pagare sulla sua arte lo stesso tipo di imposta richiesta a un ciabattino per le sue scarpe, ora VelĂĄzquez reclama per lâarte il potere della maestĂ ; la croce rossa posta sul proprio abito sta a indicare la sua pretesa allo status di nobile, prima ancora di potersi fregiare di tale titolo nella vita reale. Oggi è normale vedere quadri venduti per milioni e persino centinaia di milioni di dollari, e lo statuto elitario dellâartista è dato per assodato. Si tratta, però, di unâidea relativamente recente e inusuale, comparsa per la prima volta nelle nazioni imperiali del mondo moderno.
Las Meninas gioca con ciò che possiamo e non possiamo vedere. Cela alla vista la fonte del potere e dellâautoritĂ della monarchia spagnola, ovvero il suo impero nelle Americhe. Luigi XIV, il re assoluto di Francia che sposò la sorellastra maggiore dellâinfanta ritratta in Las Meninas, nel suo cabinet de curiositĂŠs aveva uno specchio in ossidiana che si diceva fosse stato sottratto allo stesso Montezuma, lâultimo imperatore azteco che regnò tra il 1502 e il 1520. Lâossidiana, un materiale generato dal raffreddamento della lava, è al tempo stesso nera e riflettente. Lâartista messicano Pedro Lasch, che ha lavorato con lo âspecchio neroâ, sottolinea che
nellâAmerica precolombiana, come in molte altre culture, gli specchi neri erano comunemente usati per la divinazione. [âŚ] Gli aztechi associavano direttamente lâossidiana a Tezcatlipoca, il tremendo dio della guerra, della stregoneria e della trasgressione sessuale.4
Se in Europa lâimmagine riflessa nello specchio era un luogo di potere, il suo equivalente americano aggiungeva allâimperiale miscela violenza, mitologia e ambiguitĂ sessuale.
Sia nelle Americhe precolombiane che nellâEuropa medievale lo specchio era uno strumento di divinazione, in grado di predire il futuro e di mettere in contatto con i morti e con altri spiriti: lo specchio è un ponte visivo tra passato, presente e futuro.
Il ritratto imperiale dellâera assolutista (1600-1800) non era mai, quindi, soltanto unâimmagine: raffigurava sia la maestĂ del sovrano sia il potere della rappresentazione stessa; dâaltra parte lâautoritratto dellâartista dichiarava che lâarte era unâattivitĂ nobile, e non artigianale. Il riflesso nello specchio può essere quello del re e della regina in carne e ossa, o il loro ritratto dipinto. Oppure, in un senso non propriamente logico ma perfettamente comprensibile, entrambi. Lo specchio nero e lo specchio dipinto otticamente impreciso ci mostrano lo stato delle cose, ma sono anche una porta dâaccesso al passato e al futuro, costituendo una combinazione di teatralitĂ , magia, costruzione di sĂŠ e propaganda â una combinazione essenziale a rafforzare il potere monarchico.
Il ritratto e lâeroe
Quando le vecchie monarchie crollarono nel corso di quella che può essere considerata la lunga etĂ delle rivoluzioni (1776-1917), una nuova âfrenesia del visibileâ accompagnò e incentivò la trasformazione sociale.5 In questâepoca, le sensazionali invenzioni di nuovi media, come la litografia, per non parlare della fotografia â nel duplice espediente di ritratto e autoritratto â parvero rivoluzionare la sfera del visibile, che assunse una portata piĂš democratica. Sino ad allora, lâuomo comune poteva aver visto immagini solo nelle chiese, sulle monete, o durante processioni e carnevali. A metĂ dellâOttocento erano nati nuovi musei dâarte, circolavano riviste e giornali illustrati e si potevano acquistare a buon mercato biglietti da visita con fotografia. Si iniziò a immaginare e rappresentare visivamente nuovi modi dâessere, incluso il moderno âgenioâ artistico che, al di lĂ di qualche eccezione, era sempre di sesso maschile. Lâartista-eroe si appropriava di parte dellâaura del re (o della regina) e la trasferiva su di sĂŠ. Riportato sulla terra, lâautoritratto si trasformava nel ritratto di un eroe.
Il nuovo ordine era visibile giĂ durante gli ultimi anni dellâassolutismo. Lâartista di corte Ălisabeth VigĂŠe-Lebrun dipinse diversi ritratti della regina di Francia Maria Antonietta, e realizzò anche parecchi autoritratti. Prendendo in prestito il ragionamento di John Berger, chi saprebbe distinguerli?
Analizzando un esempio di ciascuno di essi, notiamo che entrambe le donne rivolgono lo sguardo allo spettatore, stagliandosi su uno sfondo sfumato, trattato liberamente, che non rappresenta nulla. Sono tutte e due vestite come eleganti donne moderne, nello stile dalle linee morbide del periodo, con fusciacche finemente tratteggiate che rivelano lâabilitĂ dellâartista. Ă forse lâinformalitĂ dellâatto di posare con la bambina a permetterci di riconoscere VigĂŠe-Lebrun nel suo Autoritratto con la figlia Julie del 1789. Peraltro, il ritratto di Maria Antonietta di qualche anno prima aveva fatto scandalo per la sua eccessiva informalitĂ . Riducendo le differenze tra regina e artista, VigĂŠe-Lebrun rivendicava un nuovo livello di equivalenza tra le due figure.
Nel loro ormai classico saggio del 1981 Old Mistresses (Grandi maestre) â il titolo gioca sullâespressione old masters (grandi maestri), che dĂ per assodato che gli illustri artisti del passato fossero solo uomini â Roszika Parker e Griselda Pollock hanno preso in esame la storia delle donne artiste. Per le due studiose, lâautoritratto di VigĂŠe-Lebrun con la figlia è un quadro doppiamente provocatorio per il fatto di essere dipinto da una donna e di raffigurare una donna artista in unâepoca in cui, in base ai pregiudizi comuni, non era neppure contemplato che le donne potessero esserlo.
La novitĂ [del dipinto] risiede nel risalto dato allâelemento secolare e familiare, la Madonna col Bambino dellâiconografia tradizionale sostituita da una madre con una bambina strette in un abbraccio affettuoso. [âŚ] Questo ritratto dellâartista con la figlia elabora un nuovo concetto di donna, sottolineando che si tratta di una madre.6
Quella di VigĂŠe-Lebrun è una rilettura secolare e in chiave contemporanea dellâimmagine della Vergine Maria col Bambino GesĂš. A stupirci è il piglio sicuro dellâartista e della figlioletta, i cui sguardi diretti allo spettatore ben si discostano da quelli tradizionalmente abbassati delle Madonne ritratte da artisti come Raffaello. Eppure, Parker e Pollock segnalano un paradosso. Nel celebrare il suo ruolo di madre, insolito in un periodo in cui i figli venivano affidati alle balie, VigĂŠe-Lebrun riproduce nel suo quadro quello che a uno sguardo contemporaneo sembra un clichĂŠ. In realtĂ , il claustrofobico retaggio della donna come angelo del focolare tutta dedita ai figli e non attiva professionalmente fu una creazione del XIX secolo. Alle moderne femministe che tentavano di sottrarsi alla âmistica della femminilitĂ â, secondo la fortunata formula di Betty Friedan,7 VigĂŠe-Lebrun sembrava a un primo sguardo incarnarla alla perfezione. Solo un esame piĂš attento del contesto e del dettaglio consentirono a Parker e Pollock di leggere la sua opera in termini diversi.
Se il XIX secolo considerava le donne come angeli del focolare, la loro controparte era la figura idealizzata del âgrande uomoâ o dellâeroe, come lo immaginava lo storico Thomas Carlyle, secondo il quale sono i grandi uomini a fare la storia.8 Anche gli artisti, per certi versi, si vedevano come tali. Ma che aspetto aveva il moderno artista-eroe? Fu Hippolyte Bayard â anchâegli inventore di un procedimento fotografico capace di âfissareâ unâimmagine su una superficie fotosensibile al pari di quello inventato nel 1839 da William Henry Fox Talbot e Louis-Jacques-MandĂŠ Daguerre, anche se fu poi soprattutto questâultimo a prendersene il merito â a scattare il primo selfie ante litteram nel suo Autoritratto da annegato che è, al contempo, il primo falso fotografico poichĂŠ, ovviamente, non era morto davvero.
Come molti eroi romantici prima di lui, seguendo le orme del protagonista goethiano dei Dolori del giovane Werther (1774), Bayard finse di preferire la morte al disonore. La sua fotografia è ciò che la scrittrice Ariella Azoulay ha definito un âeventoâ:9 presuppone che la comunitĂ che la guarda possa immaginare il racconto eroico del suicidio dellâautore comprendendone la delusione. Alcuni pensarono addirittura che Bayard fosse veramente morto sostenendo che la pelle scura delle mani e del volto fosse la conseguenza dellâannegamento e non dellâesposizione al sole.
Il pittore Gustave Courbet, che allâepoca viveva a Parigi e quasi certamente conosceva quella foto, si appropriò dellâidea del suicidio dellâartista nellâUomo ferito, il suo autoritratto. In esso, infatti, il pittore sembra essersi pugnalato, ma ha trovato il tempo di appoggiare la spada allâalbero dietro di sĂŠ. Ovviamente non siamo tenut...