1. Lâapparato muscolare scheletrico
Il tessuto muscolare scheletrico è costituito da fibrocellule che, funzionalmente, si suddividono in:
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Fibre rapide
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Fibre intermedie
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Fibre lente
I muscoli che sviluppano grande potenza e velocitĂ sono fondamentalmente composti da fibre rapide. Le caratteristiche delle fibre rapide sono:
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grandezza maggiore,
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reticolo sarcoplasmatico piĂš sviluppato (rilascio piĂš rapido di calcio),
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elevata quantitĂ di enzimi glicolitici,
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minor densitĂ capillare (metabolismo ossidativo ridotto),
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minor numero di mitocondri per il medesimo motivo.
Di contro quelle lente sono:
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piĂš piccole,
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innervate da fibre nervose piĂš piccole,
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piĂš vascolarizzate,
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ad alto numero di mitocondri,
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ad alto contenuto di mioglobina.
Eâ proprio la mioglobina (la cui cinetica di cessione dellâossigeno è ben diversa da quella dellâemoglobina) che conferisce il colore rossastro a queste fibre, alle quali è stato dato il nome di fibre rosse mentre quelle rapide sono dette bianche.
Eâ quindi evidente che le fibre rosse sono adatte alle prestazioni atletiche di durata o al sostegno del corpo contro la gravitĂ (variazioni di tono), mentre le bianche saranno utilizzate per le attivitĂ esplosive di scatto e salto e per le contrazioni muscolari rapide e veloci.
Secondo alcuni non risulta che lâallenamento possa cambiare la proporzione relativa tra fibre lente e veloci: sarebbero quindi fondamentalmente i fattori genetici a dire se un soggetto è piĂš o meno adatto a certe specialitĂ . Nondimeno, agobiopsie sul quadricipite di atleti di alto livello hanno messo in luce queste proporzioni limite:
A partire dai 45 anni lâallenamento permette di mantenere in vita fibre veloci, che tendono a diminuire, trasformandole in fibre lente.
Basi molecolari della contrazione
Le fibre muscolari scheletriche e cardiache presentano la caratteristica striatura, dovuta alla giustapposizione dei sarcomeri, tenuti insieme da proteine strutturali (Strie Z). LâunitĂ funzionale del muscolo scheletrico e cardiaco è il sarcomero. Esso è costituito da filamenti sottili, ancorati alle strie Z e protrudenti verso il centro del sarcomero e da filamenti spessi, a cavallo della linea mediana (Figura). Questi ultimi sono costituiti da fasci di molecole di miosina, unite coda a coda da altre proteine strutturali della linea mediana, e sono rivolte verso il rispettivo emisarcomero. I filamenti sottili sono costituiti da tre proteine: actina, tropomiosina e troponina. Queste due sono dette proteine modulanti o regolatorie e dalla loro situazione sterica dipende la possibilitĂ che lâactina reagisca con le teste della miosina, a formare un ponte trasverso, un legame transiente fra le due (acto-miosina) che permette sia lo scivolamento dei filamenti sottili sugli spessi (con variazione di lunghezza), sia lo sviluppo di forza.
Dal muscolo ai miofilamenti
PerchĂŠ ciò avvenga sono necessari due âattivatoriâ della contrazione:
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lo ione calcio (Ca2+) è lâattivatore del filamento sottile, in quanto, legandosi con la subunitĂ C della troponina, permette la disinibizione del sito attivo dellâactina, fino a quel momento mascherato dalla subunitĂ I, disponibile cosĂŹ a legarsi alla testa della miosina;
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lâADP, prodotto dallâidrolisi dellâATP dallâattivitĂ della testa della miosina, e lâenergia che ne deriva, sono gli attivatori del filamento spesso.
Il Ca2+ entrato attraverso la membrana cellulare grazie al potenziale dâazione stimola la fuoriuscita di Ca2+ dal reticolo sarcoplasmatico e questo fenomeno è responsabile della rapida attivazione delle unitĂ contrattili. LâATP di per sĂŠ ha effetto di rilasciamento, si sganciano cioè i ponti appena formati e solo dopo la demolizione di una nuova molecola ad ADP + Pi (fosfato inorganico) + E (energia) si potranno formare altri ponti. LâATP è dunque responsabile dellâeffetto di rigor.
La teoria consolidata e comunemente accettata della contrazione muscolare è quella cosiddetta dello scorrimento dei miofilamenti (Sir Andrew Huxley). I ponti trasversi si formano a una determinata velocitĂ , che sarĂ poi proporzionale alla velocitĂ di contrazione del muscolo in toto, che dipende, a sua volta, dalla velocitĂ di idrolisi dellâATP. Di conseguenza le fibre veloci possiederanno unâattivitĂ enzimatica delle teste della miosina (ATPasi miosinica) mediamente piĂš veloce che quella delle fibre lente. In effetti la miosina, come tante proteine, è rappresentata in piĂš isoforme, dalle lente alle veloci, e sono queste che condizioneranno la velocitĂ di contrazione e quindi la potenza, in quanto Forza x VelocitĂ = Potenza.
Il rapporto fra forza, velocità e potenza di contrazione muscolare è ben rappresentato nel diagramma Forza/Velocità .
Figura da https//www.corebosport.com: Relazione Forza/VelocitĂ .
Il diagramma ci dice che la velocità è massima quanto piĂš basso è il carico, il che significa passare da una velocitĂ massima (vmax), virtualmente a carico zero, ma, in realtĂ un carico esiste sempre ed è dato dalla quota-peso dellâarto o segmento corporeo mossi dal muscolo, a una velocitĂ zero, quando la forza sviluppata è massima (curva spezzata). La massima forza di un muscolo si sviluppa in contrazione isometrica (v. infra), dove la velocitĂ di accorciamento esterno del muscolo è proprio nulla. Moltiplicando punto a punto i valori di forza e velocitĂ si ottiene il profilo della potenza (curva blu), che sarĂ vicina a zero quando forza o velocitĂ sono vicine a zero e raggiungerĂ il suo massimo quando la forza è allâincirca al 30% di Fmax. Questo è un dato da tener presente quando si desidera allenare e potenziare un muscolo. In Fisiologia muscolare la forza (F) viene piĂš spesso riportata come tensione (T), che è la forza riferita alla sezione trasversa del muscolo e permette di confrontare la prestazione di muscoli di tutte le dimensioni. Questo ci porta al diagramma Tensione/Lunghezza, che rappresenta il meccanismo cardine della contrattilitĂ scheletrica e cardiaca (Figura).
Figura da Internet: http://www.molecularlab.it: Relazione Tensione/Lunghezza.
Le fibre muscolari sviluppano forza in funzione della loro lunghezza iniziale e il sarcomero, unitĂ funzionale del muscolo, si presta a rappresentare bene questo concetto. Esiste un ambito di lunghezze iniziali del sarcomero che permette di produrre la massima tensione. Al di sotto e al di sopra di questo ambito, la tensione sviluppata è inferiore e tende verso zero. Ciò si spiega con la probabilitĂ di formazione dei ponti trasversi acto-miosinici; una sovrapposizione eccessiva fra i filamenti (lunghezze inferiori allâottimale) o filamenti troppo sgranati (lunghezze superiori allâottimale) intercettano valori di tensione piĂš bassi perchĂŠ diminuisce il numero dei ponti trasversi efficaci.
Tipologie di contrazione
La contrazione del muscolo striato è stata studiata da molto tempo, in vivo, in vitro, con modelli matematici, sullâuomo e su animali da esperimento, dagli aspetti piĂš macroscopici sul campo a quelli a livello dei sarcomeri in laboratorio.
Sostanzialmente si fa riferimento a due tipi di contrazione che hanno luogo in vivo e possono essere ricreate in vitro: la contrazione isotonica e la contrazione isometrica.
Contrazione isotonica
Questa modalitĂ indica un carico costante; il muscolo può dunque accorciarsi, cioè variare la propria lunghezza, mentre sostiene un carico. Come si è detto, in natura non esiste un carico nullo, mentre in laboratorio si può generare una contrazione isotonica a carico zero. Il muscolo si accorcia dunque, ad esempio, per flettere un avambraccio: il carico è rappresentato dal peso del segmento corporeo, che, ovviamente non varia, e questo gesto può essere compiuto a una determinata velocitĂ , che è la massima consentita. Man mano che io sostengo con la mano pesi crescenti, la velocitĂ di accorciamento è destinata a diminuire e il muscolo deve prima sostenere una fase in cui pareggiare la forza peso, sviluppando una tensione che chiameremo isometrica. Deve cioè prima raggiungere quella tensione a lunghezza costante e poi, con lâenergia contrattile residua, spostare il segmento corporeo appesantito. Aumentando il carico si può arrivare a un peso talmente alto che, pur facendo sviluppare la massima forza al muscolo, non può piĂš essere spostato. Con questo tipo di contrazione a carico crescente ci siamo spostati da una contrazione del tutto isotonica a una contrazione del tutto isometrica.
Contrazione isometrica
Questa modalitĂ indica una lunghezza costante; il muscolo sviluppa forza in funzione del carico fino alla sua massima tensione isometrica. La velocitĂ di accorciamento è nulla e il muscolo rimane alla lunghezza iniziale. Come si concilia questa tipologia di contrazione con la teoria dello scorrimento dei filamenti? Se il muscolo non varia la propria lunghezza non dovrebbero variarla nemmeno i sarcomeri, ma allora, come si può sviluppare forza? La risposta è che è la lunghezza esterna del muscolo a non cambiare, mentre allâinterno i sarcomeri piĂš centrali si accorciano a spese di quelli piĂš distali, che vengono stirati, trasmettendo la forza ai capi del muscolo e permettendogli di sostenere un carico anche elevato.
Mentre la contrazione isotonica delle grandi masse muscolari (ad esempio gli arti inferiori) svolge il lavoro di pompa muscolare, aiuta cioè il ritorno venoso verso il cuore, consentendo cosĂŹ il mantenimento di una gittata cardiaca proporzionale allâesercizio dinamico, la contrazione isometrica opera una spremitura a valle, ma contestualmente può bloccare lâafflusso arterioso a monte, o ridurlo considerevolmente, date le tensioni sviluppate. La contrazione isometrica (statica) prosegue fondando il fabbisogno sullâaumento dellâestrazione di ossigeno dallâemoglobina e può essere necessario lâintervento della mioglobina, quando lâemoglobina desossigenata aumenta molto.
Contrazione isocinetica
Una contrazione isocinetica è una contrazione isotonica, ma a velocitĂ costante, il che significa anche a potenza costante. Per fare un esempio, la differenza fra isotonica e isocinetica e quella che esiste fra l'esecuzione di 60 piegamenti sulle braccia e l'esecuzione di 60 piegamenti sulle braccia in 1 minuto: nel primo caso non câè limite di tempo e la potenza può variare, in diminuzione probabilmente; nel secondo il gesto deve essere scandito dal tempo e la potenza deve rimanere costante, il che è piĂš faticoso.
Fasi dellâisotonia
Durante la fase di accorciamento isotonico i vettori forza e lunghezza variano consensualmente: ad esempio in una flessione dellâavambraccio sono rivolti tutti e due verso lâalto: la lunghezza diminuisce avvicinando i capi muscolari e la forza sostiene il carico; viceversa nella fase di allungamento, mentre la lunghezza torna verso il valore iniziale, la forza rimane costante per continuare a sostenere il carico. La prima fase prende il nome di fase concentrica; la seconda fase prende il nome di fase eccentrica. Questâultima, se ripetuta a lungo da grandi masse muscolari, può anche essere dannosa. Fasi eccentriche importanti si manifestano nei muscoli quadricipiti femorali, durante il cammino o la corsa in discesa, dove il quadricipite, muscolo antigravitario, deve sostenere la sua quota di peso corporeo anche in allungamento. Una ricerca di molti anni fa aveva dimostrato che la corsa in discesa fa diminuire la massima tensione isometrica dei quadricipiti; un prelievo bioptico mostrava microlesioni a livello del reticolo sarcoplasmatico con minor disponibilitĂ di Ca2+ per la contrazione.
Meccanismi energetici muscolari
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Ana...