Le verità balcaniche
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Le verità balcaniche

Andrea Foffano

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Le verità balcaniche

Andrea Foffano

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La sanguinosa guerra civile, che si sviluppò nei Balcani agli inizi degli anni Novanta, vide come protagonisti terribili massacri, spaventosi omicidi di massa e spettrali leader politico-militari, che si susseguirono via via sul palco mediatico di quest'atroce tragedia.

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Information

Verlag
Kimerik
Jahr
2018
ISBN
9788893756983

Capitolo 1
Il contesto storico
La guerra civile bosniaca nacque all’interno di una situazione storica e geopolitica molto particolare. Dopo circa dieci anni dalla morte del Maresciallo Tito, che per più di venticinque ha governato la Repubblica Federale Jugoslava con il pugno di ferro tipico del dittatore, tra il 1991 e il 1995, l’intero paese fu scosso da ferventi sentimenti di rivendicazione nazionalistica e altrettanti moti popolari di carattere secessionistico. Con la morte di Tito, quindi, si esaurì ufficialmente un’epoca storica caratterizzata dalla cosiddetta pax armata, nella quale le diverse etnie sociali e le differenti confessioni religiose hanno convissuto in pace sotto la minaccia di una sanguinosa repressione governativa. La caduta dell’Unione Sovietica contribuì a minare le basi di quella politica comunista di ambiguo allineamento a Mosca, di cui il governo jugoslavo fu un vero e proprio satellite autonomo, volto più all’indipendenza strategica e alla ricerca dello sviluppo economico. Il ruolo geopolitico internazionale, che aveva caratterizzato gran parte della storia della nazione sin dal secondo dopoguerra, iniziò a vacillare pericolosamente. Una volta scomparse le autorità di vertice, iniziò la dissoluzione della struttura federale di base, spinta e incoraggiata soprattutto dai sentimenti nazionalistici di Croazia e Serbia. In misura minore, giocarono comunque un ruolo fondamentale talune aspirazioni personali dei differenti leader politici locali, ansiosi di raggiungere una posizione predominante e indipendente, attraverso il confronto de visu e la vittoria contro un avversario politico appartenente a una diversa etnia sociale o confessione religiosa. Inoltre, non dimentichiamo anche la spinta politica internazionale che giunse dallo schieramento del blocco occidentale, il quale non poté non guardare con favore un’eventuale capitolazione di uno dei bastioni più importanti per il comunismo in Europa.
Andiamo con ordine: raccontiamola tutta e bene questa interessante parte di storia. Dopo la morte del Maresciallo Tito, avvenuta il 4 maggio 1980, la Jugoslavia visse un lungo periodo di apparente serenità. Nonostante la progressiva scomparsa di tutti i protagonisti amministrativi del regime titino, il sistema di potere e la struttura governativa a esso collegata sembrarono reggere il colpo in modo egregio, continuando tranquillamente a svolgere le proprie funzioni esattamente come poco tempo prima. Tito, infatti, ebbe a riunire tutte le minoranze etnico-religiose sotto l’unica insegna del socialismo, garantendo a ogni singolo gruppo una rappresentanza istituzionale, il rispetto dei propri diritti e la tutela della propria cultura. Viceversa, ogniqualvolta il regime si trovò di fronte a pericolose derive secessionistiche o nazionalistiche, Tito ricorse sistematicamente al pugno di ferro tipico del dittatore, soffocando sul nascere ogni tipologia di deriva ritenuta pericolosa per la sicurezza nazionale. Un esempio storico fu la durissima azione di contenimento messa in campo contro i movimenti nazionalisti etnici di origine croata, sorti alla fine degli anni ’60 e duramente repressi nel sangue nella primavera del 1971. Ciononostante, la situazione interna iniziò comunque a mutare dall’estate del 1987, nella quale un neoeletto Presidente della Repubblica Socialista di Serbia, il cui nome era Slobodan Milosevic, dovette iniziare a fare i conti con la crescente insofferenza nazionalista nata in Slovenia. La popolazione dell’area iniziò a dichiarare sul piano internazionale, apertamente e con molto vigore, la propria affinità identitaria e culturale con la Mitteleuropa, considerata la vera regione di appartenenza storica del popolo sloveno. Quasi simultaneamente, anche nella regione del Kosovo la popolazione albanese iniziò a manifestare palesi sentimenti indipendentisti. La tensione con la minoranza serba residente nell’area iniziò a montare in modo rapido e vertiginoso. Nel 1988 Milosevic, attraverso un’abile strategia politica finalizzata a riscrivere la costituzione serba del governo provinciale di Voivodina, riuscì de facto a eliminare l’autonomia regionale del Kosovo, sino a quel momento garantita a livello costituzionale e legislativo. Nel 1989 lo stesso Milosevic si recò di persona nella regione balcanica kosovara, con l’obiettivo politico di cavalcare l’onda nazionalistica serba, che stava manifestandosi in violente proteste e sanguinose manifestazioni, indette per l’occasione in tutta l’area. Contemporaneamente, nello stesso anno, in Croazia si formò il partito politico dell’Unione Democratica Croata (HDZ), di orientamento marcatamente anti-comunista e nazionalista, guidato da un ex-generale dell’esercito di Tito, Franjo Tudman. Nel 1990 l’ultimo congresso della Lega dei Comunisti di Jugoslavia finì nel modo peggiore: sloveni e croati abbandonarono il tavolo dei lavori dopo che, complice anche una mordente tensione economica e una altrettanto severa svalutazione del dinaro, la tensione tra i vari gruppi etnici era salita alle stelle. Il 25 giugno 1991 la Slovenia annunciò al mondo intero la propria indipendenza dalla Federazione Jugoslava, dopo aver preso atto del risultato di un referendum popolare, in cui più dell’80% dei votanti aveva espresso il proprio desiderio di raggiungere l’indipendenza e la sovranità. Due giorni dopo, il 27 giugno 1991, si poté assistere alla risposta dell’Armata Popolare Jugoslava (JNA), con l’ingresso in Slovenia di un contingente militare formato da circa 2.000 reclute, alle quali fu affidato il compito di riprendere il controllo dei confini federali armata manu. La risposta del Ministero della Difesa sloveno fu quella di abbozzare in fretta e furia una linea di tutela del territorio, cecando di compattare tutte le milizie titine sorte anni addietro in chiave anti-sovietica. La “guerra dei dieci giorni”, come le parole stesse suggeriscono, durò ben poco e sancì de facto la sconfitta della Repubblica Federale Jugoslava nei confronti del governo di Lubiana. Il popolo sloveno, etnicamente compatto, poté così raggiungere la tanto desiderata autonomia da Belgrado, anche grazie all’importante supporto politico internazionale fornito dal Vaticano, dall’Austria e dalla Germania, che si impegnarono sin da subito a riconoscere gli effetti politici della dichiarazione d’indipendenza. Ben presto i restanti stati nazionali aderenti alla CEE si accodarono alle posizioni austro-tedesche. Nonostante avesse perso il controllo della frontiera italiana e austriaca, nonché di tutte le basi militari dell’esercito federale presenti sul territorio, il neonato governo sloveno costrinse i militari jugoslavi a ripiegare da tutta l’area. I soldati inviati da Belgrado dovettero ripartire disarmati e transitare via mare attraverso Capodistria.
Il 1991 fu anche l’anno della Croazia. Il 19 marzo si svolse una consultazione referendaria pubblica per l’indipendenza della nazione croata, boicottata dalla minoranza serba della regione della Krajina. I cittadini serbi, che vivevano in questa zona, il 2 settembre dell’anno prima avevano proclamato la propria volontà d’indipendenza tramite un proprio referendum ad hoc, molto criticato dalla maggioranza croata, ma sostenuto energicamente da Belgrado. Franjo Tudman, ex generale croato dell’esercito federale jugoslavo, insediatosi a capo dell’esecutivo provvisorio croato, diede ordine di armare quanti più uomini possibili e fondò il primo esercito croato indipendente (Guardia Nazionale Croata), tramite un valido supporto logistico fornito dagli Stati Uniti attraverso la CIA. Il 25 giugno 1991 fu il giorno nel quale fu proclamata l’indipendenza della Croazia da quel che restava della Jugoslavia. Belgrado non ci mise molto a scendere in campo, intervenendo a tutela della minoranza serbo-croata. La guerra d’indipendenza croata si risolse lasciando sul campo migliaia di vittime civili, colpite dalle campagne di pulizia etnica condotte da entrambe le parti, nonché dai massacri indiscriminati che i due eserciti compirono, nel disperato tentativo di conquistare una volta per tutte il terreno perduto. L’assedio della città di Vukovar passò alla storia come uno dei più cruenti e dei più sanguinosi condotti sin dalla fine del secondo conflitto mondiale. Le milizie paramilitari di entrambi gli schieramenti, anche in questo caso, la fecero da padrone. La cornice situazionale nella quale avvennero gli eccidi fu propria di una guerra “sporca”, senza precise regole d’ingaggio e di tutela nei confronti di civili o prigionieri. Lo stesso generale croato Janko Bobetko, eroe della Croazia libera e autonoma, nel corso di un’operazione militare tesa a scacciare alcune fazioni serbe nell’area della Krajina, si macchiò di numerosi e terribili crimini contro l’umanità, arrivando persino a ordinare l’uccisione di undici operatori militari dell’ONU. Le operazioni militari “Lampo” e “Tempesta”, finanziate e approvate dagli Stati Uniti di Bill Clinton e dalla Germania del cancelliere Helmut Kohl, provocarono un vero e proprio genocidio in seno al popolo serbo, con circa 1.400 morti fra i civili e il conseguente sfollamento di migliaia di profughi verso i territori controllati da Milosevic. Il supporto tattico e d’intelligence dei servizi segreti statunitensi, la CIA e la DIA, si dimostrò essenziale per la riuscita delle azioni militari.
La situazione fu molto diversa e più complessa in Bosnia-Erzegovina. Quest’ultima era una regione in cui, per molti anni, tutte e tre le etnie avevano convissuto in pace e senza creare problemi. La Bosnia era una Jugoslavia nella Jugoslavia, con una capitale morale (Sarajevo) nella quale tre differenti religioni vivevano in un clima di armonia e rispetto del culto altrui. I moti nazionalistici dei primi anni novanta, però, non tardarono a colpire anche l’area bosniaca e ben presto iniziarono a sorgere i primi gruppi etnici di attività politi...

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