Sulle tracce dei figli
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Sulle tracce dei figli

Saverio Abbruzzese

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Sulle tracce dei figli

Saverio Abbruzzese

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Che-cosa-è-successo-oggi-a-scuola-a-mamma? Così, tutto d'un fiato.Quante volte avete fatto questa domanda a vostro figlio?Che cosa c'è di male? Direte voi. Ogni genitore deve interessarsi di quello che succede al figlio.Certo, ci mancherebbe altro.Ma provate a mettervi nei panni di quel ragazzino, che torna da scuola e, appena varca la porta di casa, si sente investito da questa domanda della madre, posta con tono ansioso, ogni giorno. Come se ogni giorno a scuola avvenissero eventi memorabili. Come se questi eventi riguardassero la mamma. Come se a scuola ci fosse la mamma.In questo libro troverete "le parole dei genitori", cioè una rassegna delle modalità comunicative più frequenti utilizzate in famiglia: per riflettere su quello che diciamo, su come lo diciamo e sui livelli di consapevolezza di quello che diciamo. Sono descritti gli errori in cui cadiamo, spesso involontariamente, e gli effetti di queste modalità comunicative sui nostri figli."Ai miei tempi – come spesso dicono i genitori più anziani – c'era un'altra musica". Questo libro cerca appunto di capire cos'è cambiato fra i miei tempi e i giovani d'oggi.Sarete messi in guardia anche da quella forma stucchevole di bontà genitoriale che si trasforma in ricatto affettivo, che produce tanti sensi di colpa nei figli.È giunta l'ora che i genitori si rivestano di autorevolezza e diventino più assertivi. Imparino a utilizzare più punti esclamativi e meno punti interrogativi. Se non è chiaro il concetto, proseguite nella lettura di questo volumetto, una sorta di manuale di sopravvivenza per genitori troppo "buoni".

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Information

Jahr
2011
ISBN
9788861532137

A scuola

“A scuola nessuno capisce mio figlio.”
Il rifiuto
Ci sono bambini che si rifiutano di andare a scuola e piantano un sacco di grane ogni mattina. Le difficoltà, il disinteresse, le frequenti assenze, i malanni vari che compaiono puntualmente ogni mattina, sono indicatori di un malessere che può avere radici a scuola o in famiglia. Facciamo alcuni esempi.
Tempo fa mi occupai di un bambino di prima elementare vittima di dolori addominali lancinanti: era stato ricoverato due volte, avevano fatto tutti gli accertamenti del caso con esito – per fortuna – negativo, ma i dolori non passavano. I genitori erano disperati. Un pediatra consigliò di rivolgersi dallo psicologo. Dopo più di due mesi di peregrinazioni, i genitori mi contattarono per chiedermi quando potevano portarmi il bambino. Dissi che volevo parlare prima con loro. Rimasero interdetti: “Il problema è il bambino, che ha forti dolori di pancia, lo abbiamo ricoverato due volte, all’ospedale ci hanno detto che...”. Li tranquillizzai, dissi che era mia abitudine parlare prima coi genitori per capire bene di cosa si trattasse e che in seguito avrei senz’altro visto il bambino.
Al primo appuntamento mi raccontarono che il bambino frequentava la prima elementare e che i dolori addominali erano iniziati, più o meno, all’inizio dell’anno scolastico. La frequenza della scuola materna era stata molto irregolare. La madre era casalinga e aveva una gran voglia di stare col figlio. Quando lo portava a scuola spesso il bambino piangeva, veniva richiamata e andava a riprenderselo. Raramente passava tutta la giornata a scuola e spesso era la stessa madre che decideva di non portarlo a scuola. Il padre aveva un negozio di abbigliamento e spesso era in giro per motivi commerciali. Da due anni era nata una bella sorellina ed apparentemente il bambino non ne aveva risentito. Da pochi mesi la madre aveva deciso di riprendere a lavorare nel negozio del marito, perché era necessario dare una mano: “Sa com’è. C’è la crisi.”.
La bambina veniva affidata alla nonna materna, il bambino lasciato a scuola e madre e padre andavano a lavorare: questo era il loro disegno, ma a causa dei dolori del piccolo, la madre spesso veniva richiamata a scuola, riprendeva il bambino in lacrime e lo riportava a casa, dove rimaneva a consolarlo. Nessuno riusciva a trovare la causa di questi dolori addominali, avevano pensato al peggio, avevano portato il bambino da Padre Pio a San Giovanni Rotondo. La madre era molto stanca, il padre si sentiva impotente. Feci notare a questi genitori alcune coincidenze: il bambino praticamente non era mai stato abituato a frequentare regolarmente la scuola materna, poi era nata la sorellina, inoltre, dopo pochi mesi, la madre aveva cominciato a lavorare nel negozio di famiglia ed infine il bambino avrebbe dovuto cominciare a frequentare la prima elementare, dove, fra l’altro, non aveva nessun amichetto.
“Che cosa vuole dire?”, mi chiese la madre. “Che suo figlio non vuole andare a scuola, ha avuto troppe fregature, tutte insieme.”
“Che cosa vuole dire?”, ripeté il padre.
Spiegai che probabilmente il figlio era molto arrabbiato. Ingelosito dalla nascita della sorellina, perchĂŠ non aveva piĂš la madre tutta per sĂŠ. Questa mamma, poi, aveva deciso di andare a lavorare e di lasciare il figlio a scuola. Sicuramente il figlio si sentiva trascurato e poichĂŠ aveva giĂ  imparato alla scuola materna che se piangeva la madre correva a prenderlo, utilizzava la stessa strategia anche alla scuola elementare. Visto che la prima volta aveva funzionato, ci stava riprovando.
“Vuole dire che lo sta facendo apposta?”
“Più o meno, ma lui non lo sa.”
Mi dilungai sui vari livelli di consapevolezza presenti nei bambini, ma insistetti sul punto che il figlio era molto arrabbiato con i genitori e aveva deciso di fargliela pagare. E loro ci erano cascati in pieno.
“Vuol dire che non ha niente? Nessuna malattia?”
Dissi che se ci fosse stata una malattia organica, i medici l’avrebbero trovata.
“Vuol dire che non è una malattia organica?” Finalmente i genitori stavano entrando nell’ordine di idee che i malori del figlio avevano un preciso significato relazionale. Quei sintomi psicosomatici per loro erano indecifrabili. Avrete notato quante volte chiedevano “Vuole dire che...?”. In realtà avevano enormi difficoltà ad interpretare correttamente il linguaggio extraverbale del figlio.
Feci capire alla madre che se avesse continuato a correre a scuola ogni volta che il bambino piangeva per i dolori di pancia, quei dolori non sarebbero mai scomparsi.
“Ma cosa posso farci? Quelli della scuola mi chiamano. Posso rifiutarmi di andare?”
In realtĂ  dovevamo affrontare il problema delle maestre, che davanti ad un bambino che si dimenava per i dolori addominali, non trovavano niente di meglio da fare che chiamare la madre. Dissi che le insegnanti dovevano imparare a gestire questi dolori fittizi del bambino e che la madre doveva trovare il coraggio di non correre a scuola. Invitai la signora ad affrontare gradualmente questo nuovo corso. Qualche volta poteva andare a scuola per stare accanto al figlio, ma non doveva portarlo a casa. E comunque il tempo che passava accanto al figlio doveva essere sempre piĂš ridotto.
La madre aveva dubbi sulla sua capacità di eseguire questa consegna. Le dissi che mi rendevo conto che le stavo chiedendo di diventare “cattiva”, ma era necessario per il bene della figlia. La madre fu brava, il padre la sostenne. Nel giro di una ventina di giorni il bambino cominciò a frequentare regolarmente la scuola. Dopo un mese aveva i suoi amichetti e non vedeva l’ora di andare a scuola. Alla fine dell’anno scolastico partecipò alla recita di fine d’anno con enorme soddisfazione dei genitori.
Devo solo aggiungere un particolare: non ho mai conosciuto questo bambino che, peraltro, mi aveva anche incuriosito.
Nel caso appena illustrato era evidente che la famiglia non era stata in grado di organizzare il distacco progressivo del bambino.
Integrazione
In altri casi potrebbero esserci problemi nella socializzazione con i compagni di classe: questo accade quando un ragazzino viene inserito in una classe dove non conosce nessuno. Non è facile inserirsi in una classe dove tutti si conoscono e si frequentano da anni, il nostro ragazzino si sente inevitabilmente emarginato. Di solito accade all’inizio di un ciclo scolastico, in prima elementare, prima media o al primo anno della scuola media superiore. Avrete notato che il passaggio è molto meno traumatico se si è in compagnia. Da soli è più dura, ma non impossibile. La faccenda diventa più complicata quando l’inserimento nella nuova classe avviene a seguito di un trasferimento della famiglia in un’altra città. Spesso ho incontrato ragazzini con un sordo rancore nei confronti del padre che, a causa dei frequenti spostamenti legati al suo lavoro, li aveva costretti a lasciare amicizie consolidate per entrare in un nuovo gruppo classe, in una nuova città, in cui non conoscevano nessuno. In età adolescenziale questo cambiamento è indubbiamente più doloroso: l’importanza delle amicizie in questa età non sarà sottolineata mai abbastanza. L’atteggiamento oppositivo di questi ragazzini difficilmente viene esplicitato, più spesso rimane sotterraneo ed assume le forme di un risentimento apparentemente ingiustificato.
A volte le difficoltà di socializzazione a scuola sono dovute al fatto che il ragazzo ha obiettive difficoltà nel condividere interessi con i coetanei. Sono ragazzi che sono stati abituati a vedere soddisfatti tutti i loro bisogni dai genitori e che credono di poter continuare a vederli soddisfatti, allo stesso modo, anche a scuola. Ovviamente questi adolescenti non riceveranno a scuola tutte le attenzioni a cui sono stati abituati da tempo a casa, quindi si sentiranno emarginati. Questi ragazzini viziati dai loro genitori troveranno enormi difficoltà nei processi di socializzazione. Il rischio dell’emarginazione da parte dei coetanei è molto alto.
Ma come non riconoscere in queste difficoltĂ  dei figli la responsabilitĂ  dei genitori? Viziamoli di meno, rendiamoli autonomi e a scuola sicuramente avranno meno difficoltĂ .
Autoemarginazione
Spesso ho sentito genitori che si lamentavano del fatto che il figlio non voleva andare a scuola perché tutti erano contro di lui. Abbiamo già parlato dei processi di emarginazione da parte degli altri coetanei, che con difficoltà ammettono nel gruppo l’ultimo arrivato, ma non bisogna escludere anche processi di autoemarginazione, di ragazzi cioè che si escludono volontariamente dal gruppo-classe perché non si sentono inseriti, diventando refrattari ad ogni tentativo del gruppo di coinvolgerli in qualche attività. In queste situazioni facilmente emergono sentimenti di persecutorietà da parte di ragazzi, soprattutto ragazze, che si traducono in un vero e proprio rifiuto della vita di gruppo. Uno degli errori più frequenti dei genitori è quello di schierarsi incondizionatamente dalla parte dei figli, dando per scontato che i compagni di classe siano cattivi, ingrati, razzisti, selettivi, fighetti e via discorrendo.
Questo atteggiamento genitoriale alimenta la persecutorietà dei figli, che si emarginano ancora di più. Spesso questi genitori vanno a scuola a chiedere giustizia e non è escluso che telefonino ai genitori dei compagni di classe colpevoli di trascurare il figlio. È bene che questi genitori sappiano che – così facendo – rendono la situazione ancora più critica, rendendosi antipatici e invadenti e rendendo antipatico anche il figlio. Capisco l’ansia dei genitori che vogliono aiutare il figlio, ma per farlo sarebbe sufficiente organizzare una festicciola in casa invitando tutta la classe, le occasioni non mancano. Ed in questo non è necessario avere il consenso del figlio emarginato, che di solito non desidera che la mamma prenda queste iniziative. Fatelo con tranquillità, senza scrupoli. Quando in casa ci sono i compagni, vostro figlio non può tirarsi indietro.
C’è il rischio che i suoi compagni disertino l’invito. Questo accade, diciamolo. Ma in questo caso può essere utile telefonare a casa dei genitori di questi compagni recalcitranti per insistere con l’invito ed assicurarsi la loro presenza. Ma, attenzione, deve rimanere un invito, non un rimprovero o una manaccia. Non commettete questo errore madornale.
Conflitti a scuola
Fra i motivi del rifiuto della scuola da parte dei ragazzi ci può anche essere una relazione conflittuale con qualche docente. Ma anche qui, non diamolo per scontato. Innanzitutto bisogna verificarlo andando a conoscere il docente per ascoltare la sua opinione. Se abbiamo a che fare con un prof che è sinceramente dispiaciuto della marginalità di vostro figlio, allora bisogna schierarsi dalla sua parte e chiedergli cosa fare per aiutare il ragazzino, condividere cioè un progetto educativo. Se invece vi rendete conto che il docente, lui per primo, si arrabbia per il comportamento di vostro figlio, magari attribuendo la colpa a voi, con un atteggiamento intollerante e arrogante, allora è il caso di schierarsi con vostro figlio, che in questo caso ha bisogno di sentirsi sostenuto.
Dobbiamo avere il coraggio di ammettere che nella scuola possono capitare queste disavventure. Il docente sbagliato può condizionare la vita di un alunno adolescente. Per fortuna questa evenienza è abbastanza rara. Rara, non impossibile. Per risolvere questo delicatissimo problema dovremmo affrontare la questione della impreparazione dei docenti nell’affrontare le problematiche adolescenziali, della loro intelligenza emotiva, delle loro capacità empatiche, ma questo è un altro discorso. Rimane da fare una triste considerazione: nella formazione dei docenti di scuola secondaria di primo e secondo grado non c’è il minimo accenno al pianeta adolescenziale. Possiamo trovare docenti perfettamente preparati in lettere, in matematica, in educazione artistica, ma senza alcuna preparazione nell’affrontare la dimensione adolescenziale. E non è neanche colpa loro. I programmi ministeriali non lo prevedono.
Raccomandazioni
Ma dobbiamo stare attenti ad un altro pericolo: spesso i genitori si preoccupano di trovare la scuola giusta, i docenti giusti ed i compagni giusti per il figlio. Questa preoccupazione mi sembra più che giustificata, ma a volte si passa il segno, si esagera. Mi riferisco alla pessima abitudine di iscrivere i figli nelle scuole in cui i docenti sono amici, parenti o – ancora peggio – genitori degli alunni. I genitori pensano in questo modo di aver sistemato nel migliore dei modi il figlio, ma in realtà lo hanno messo in una difficile situazione.
Anche in questo caso può sorgere un netto rifiuto della scuola. Andare in una classe dove tutti sanno che il prof è lo zio o è amico di famiglia significa mettere il ragazzino in una situazione antipatica, in cui tutti lo trattano da “raccomandato”, cioè diverso dagli altri. Un buon voto non è mai veramente meritato, pensano i compagni. Un rimprovero è sempre dato in tono amichevole, continuano a pensare i compagni. Insomma, i compagni di classe non si sentono trattati alla stessa maniera e questo rende irrimediabilmente antipatico il raccomandato.
Questo malcapitato alunno brilla di un “effetto alone”, nel senso che tutto ciò che fa brilla di una luce non propria, ma è il riflesso della particolare ed esclusiva relazione che caratterizza il rapporto fra quello studente e quell’alunno. Una situazione molto imbarazzante, che non auguro a nessun ragazzo. Se è bravo, lo è perché è raccomandato. Se non lo è, allora vuol dire che malgrado i docenti schierati dalla sua parte, non riesce a fare nulla di buono: un vero disastro.
Immaginate poi se il docente sia addirittura il genitore di un alunno. Dovrebbe esserci una norma che vieti questa possibilità, perché è una vera e propria calamità per il povero alunno. L’atteggiamento dei compagni, a cui abbiamo già accennato, è ancora più amplificato e il nostro alunno diventa intoccabile e inavvicinabile, perché potrebbe essere la spia del docente genitore. E così viene escluso da una delle attività più frequenti fra compagni da scuola: sparlare del prof.
Viceversa, a volte succede che il genitore-docente sia particolarmente severo con il figlio-alunno, magari proprio per non generare il pregiudizio che quel figlio sia un super raccomandato. Ma ancora una volta il figlio viene messo in una difficile situazione. Per lui non c’è scampo, sia a scuola che a casa deve sopportare lo strapotere genitoriale. E in più deve subire gli sberleffi e le ironie dei suoi compagni, che lo trattano da “figlio di papà” o “figlio di mammà”.
Marinare la scuola
Fare “x” o “sega” o “festa” o “bollo” costituisce ormai una sorta di rito di iniziazione. Non andare a scuola per andare in giro con gli amici a bighellonare significa che sei diventato “grande”, che sei capace di farla in barba ai tuoi genitori, di cui falsifichi la firma sul libretto delle giustifiche a scuola. Per quanto questa condotta irriti e preoccupi i genitori, non bisogna drammatizzare. Anzi, forse è il caso di sottolineare la differenza fra l’essere irritato e l’essere preoccupato. Nel primo caso il genitore non sopporta di essere stato preso in giro, turlupinato, raggirato. Nel secondo caso è impensierito dalla condotta del figlio che potrebbe cacciarsi in qualche brutto guaio. Nel primo caso l’atteggiamento genitoriale sembra dettato da una ferita narcisistica, dal fatto cioè che sta perdendo il suo ascendente sul figlio. Nel secondo caso l’atteggiamento sembra più altruistico e ansioso.
Chiariamo subito una cosa. I genitori fanno bene a preoccuparsi e quando vengono a sapere che i figli hanno marinato la scuola, devono arrabbiarsi. Ma senza esagerare. Innanzitutto devono informarsi. Dove e con chi sono stati e cosa hanno fatto. Dopodiché devono incominciare a controllare il libretto delle assenze a scuola, verificando quante assenze sono state fatte e di chi è la firma. Devono chiedere a scuola di comunicare le assenze ingiustificate e di comunicare anche le assenze molto frequenti, indipendentemente dal fatto che siano – apparentemente – giustificate. Insomma, devono far sentire il fiato sul collo ai figli, i quali a loro volta devono capire che non possono farla franca. ...

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