Impianti per il controllo della contaminazione aeroportata
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Impianti per il controllo della contaminazione aeroportata

Utilizzo e progettazione

Leonello Sabatini

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Impianti per il controllo della contaminazione aeroportata

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Leonello Sabatini

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Manuale di teoria e pratica sulla progettazione delle camere bianche ocleanrooms. Il volume si compone di tre parti: nella prima vengono introdotti i concetti di contaminante e di controllo della contaminazione, nonchĂŠ la classificazione e la descrizione delle tipologie di impianto e delle loro applicazioni a seconda dei settori. La seconda parte, piĂš pratica, affronta la progettazione e il controllo di questi impianti, mentre la terza si focalizza sul loro dimensionamento e sull'impatto energetico.

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Information

Verlag
Hoepli
Jahr
2021
ISBN
9788836005703
1 La contaminazione aerotrasportata

1.1.Contaminanti e applicazioni: aspetti generali

1.1.1.Contaminanti

In molte attività lavorative occorre che l’aria degli ambienti di produzione soddisfi sia i requisiti termoigrometrici e di pulizia idonei alla buona riuscita del ciclo di produzione, sia quelli legati al benessere degli operatori.
Quando ciò viene realizzato si dice che l’installazione è a contaminazione controllata.
Quali siano i contaminanti da controllare è strettamente dipendente dal processo produttivo. Per esempio se viene lavorata una polvere igroscopica, l’impianto di condizionamento dovrà garantire un valore limite per l’umidità specifica ambientale, valore che sarà funzione del tempo di esposizione del prodotto e del valore massimo di acqua che esso può assorbire pur rimanendo accettabile dal punto di vista qualitativo.
Se è invece necessario mantenere delle condizioni interne di accettabile polverosità dell’aria, è intuitivo pensare che l’impianto di ventilazione debba essere dotato di adeguati sistemi di filtrazione, atti a garantire almeno la pulizia dell’aria in ingresso negli ambienti. Vedremo che questa condizione è necessaria, ma non è generalmente sufficiente. Il termine “accettabile polverosità” non deve trarre in inganno, in quanto in moltissimi campi dell’attività produttiva, di ricerca o in generale a elevata tecnologia, ciò può comportare contenuti di contaminanti particellari in aria talmente bassi da necessitare di sensibilissimi strumenti per la loro misura.
È altresì evidente che i contaminanti da limitare e controllare non possono essere solo quelli menzionati, ma possono comprendere tutti quei gas o vapori che sono presenti perché utilizzati nell’attività produttiva (solventi, gas di anestesia ecc.) o perché introdotti con l’aria esterna ma che possono arrecare un danno al prodotto, all’operatore o alle attrezzature.
Da un punto di vista fisico essi possono essere suddivisi in:
•particelle (solide o liquide);
•gas o vapori.
In funzione della tipologia del danno che possono determinare, i contaminanti si possono ulteriormente suddividere in:
•inerti;
•biologicamente attivi;
•chimicamente attivi;
•radioattivi.
È opportuno considerare come i problemi che il particolato aerotrasportato può creare dipendono sia dalla natura della particella sia dal bersaglio, ovvero che non esiste in generale un contaminante a priori avulso dal bersaglio che può danneggiare. Per esempio, in campo elettronico qualsiasi particella, indipendentemente dalla sua natura, cadendo su di un microcircuito altererà le condizioni locali di resistività elettrica e potrà creare un danneggiamento (corto circuito).
Alcuni esempi presi dall’industria elettronica sono indicati nella figura 1.1.
Figura 1.1 – Esempi di corto circuiti causati da particelle contaminanti in micro circuiti elettronici[1]
In campo farmaceutico molti prodotti sono costituiti con principi ad alta attività quali ormoni, antibiotici o antitumorali citotossici. Tutte sostanze in grado di dare reazioni allergiche, sensibilizzazioni o assuefazioni. In altri casi il particolato può contenere veleni chimici veri e propri, tossine o prodotti per terapia cellulare. In questi casi sarà necessario proteggere sia gli operatori sia i prodotti, oltre all’ambiente esterno.
Esiste, però, una categoria di particelle, frazione delle totali presenti in aria, assai importante per tutti quei processi che richiedono condizioni di controllo della contaminazione biologica. Sono le cosiddette Unità Formanti Colonia (UFC), che possono essere semplici spore o particelle ospitanti un microrganismo. Nella letteratura anglosassone sono indicate con il termine Colony Forming Units (CFU).
Queste particelle, se finiscono su un adeguato bersaglio, possono originare una colonia e quindi infettare una ferita o contaminare un prodotto sterile o una coltura selezionata di batteri o cellule. Cadendo, invece, su di un substrato non idoneo non daranno luogo a una colonia e si comporteranno a tutti gli effetti come un non contaminante biologico. È da tener presente che, a eccezione delle spore, i microrganismi, virus compresi, non sopravvivono in aria se non ancorati a un supporto che ne permetta la sopravvivenza. Esempi tipici di queste particelle sono le microgocce di saliva (droplet), le squame della pelle, i peli, gli aerosol di plasma, sangue, acqua, olio ecc. Per conseguenza le UFC avranno dimensioni mediamente piÚ grandi dei microrganismi trasportati, ma il loro comportamento in aria sarà del tutto simile a quello delle particelle inerti.
Conseguenza importante è che il controllo del particolato totale aerotrasportato si traduce anche nel controllo dei microrganismi presenti nell’aria e questo spiega l’ampia diffusione di questi impianti nell’industria farmaceutica, alimentare o, più in generale, in campo biologico. Giova ricordare che una delle massime fonti di inquinamento biologico è sicuramente rappresentata dagli operatori. Per diminuirne l’impatto entro limiti definiti si ricorre a una serie di tecniche che vanno dalla regolamentazione delle azioni da svolgere al tipo di vestiario da indossare, fino al controllo dello stato di salute. Considerando che lo sforzo fisico aumenta notevolmente l’emissione di UFC da parte degli operatori, è giocoforza necessario che negli ambienti di lavoro vengano mantenute condizioni termiche idonee e costanti con un attento controllo dell’umidità, visto l’impatto che questa determina sulla sudorazione.
Oltre alle emissioni dell’operatore e del processo, in un’installazione vi possono essere molte altre sorgenti di contaminanti che vanno dalle emissioni delle superfici interne, delle attrezzature, delle forniture e dei materiali necessari alla produzione, fino all’infiltrazione di aria esterna che può penetrare nelle zone di processo. In un’installazione a contaminazione controllata tutto questo deve essere tenuto sotto controllo affinché le condizioni di “accettabile” contaminazione vengano mantenute.
Storicamente un ambiente nel quale il particolato aerotrasportato è mantenuto al di sotto di limiti specificati viene definito con il termine camera bianca o, con dizione anglosassone cleanroom. Sono, per esempio, delle camere bianche i reparti per la produzione in sterile dell’industria farmaceutica.
Il termine ben presto passò a indicare non solo la semplice camera bianca, ovvero il singolo ambiente controllato, ma anche l’insieme degli impianti connessi atti a garantire i parametri ambientali ritenuti rilevanti per il controllo della contaminazione (F.S. 209C-ISO14644.1). Tali parametri, oltre al pulviscolo aerotrasportato, potevano essere la pressione, la portata di aria immessa, la temperatura, l’umidità e così via. Alla fine del secolo scorso è stato poi introdotto il concetto, tutto italiano, di impianto per il controllo della contaminazione:
VCCC = Ventilazione, Condizionamento, Controllo della Contaminazione
Esiste una differenza che è bene evidenziare tra lo storico concetto di cleanroom e impianto VCCC. Difatti mentre è possibile costruire una cleanroom partendo dalle sole specifiche ambientali facendo astrazione dal processo produttivo, ciò non è generalmente vero per l’impianto VCCC che, per la sua progettazione e realizzazione, necessita della conoscenza del processo produttivo in quanto ne diventa parte integrante come interfaccia tra prodotto, ...

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