PerchĂŠ mio figlio non parla?
PerchĂŠ non si relaziona con gli altri? PerchĂŠ si isola?
PerchĂŠ ripete le stesse azioni per tutto il giorno?
PerchĂŠ fa stereotipie con le mani?
PerchĂŠ mio figlio non si contiene? PerchĂŠ urla?
Dottore, ma cosa significa?
Il confine tra immaturità e malattia spesso è davvero sottile e difficile da individuare.
Dallâaltra parte dellâetichetta nasce dalla volontĂ di aiutare a far conoscere i comportamenti disfunzionali del bimbo e dimostrare alla societĂ che dietro un'etichetta data sulla base di punteggi c'è un essere umano che viene etichettato e una famiglia che viene marchiata a vita come la mamma e il papĂ del âbambino conâ. Raccontare tutti questi aspetti significa far scendere i protagonisti in campo ed è per questo che il libro riporta le esperienze dirette del Dr. Cecere, ma soprattutto dei genitori, degli insegnanti e di coloro che sono stati etichettati.
CAPITOLO 1:
DIETRO LâETICHETTA
Quando una palla ci rendeva felici
Oggi, raggiunti i miei primi 30 anni, ritengo si possa parlare di una nuova generazione di genitori: ora piĂš che mai, padri e madri cercano freneticamente di far combaciare come in un puzzle i tanti impegni di lavoro con quelli della gestione della casa e dei figli al punto che, se non ci si organizza nei minimi dettagli, si vive nella costante sensazione di non farcela. Nel tempo, questo ha portato ad alcuni cambiamenti. I padri di oggi, ad esempio, sono molto piĂš presenti: solo una decina di anni fa non era difficile assistere a scene in cui il genitore di sesso maschile rientrava da lavoro, mangiava, faceva il pisolino durante il quale era legge non fiatare e se ne riandava; il tutore dellâeducazione, invece, era la mamma che talvolta delegava la nonna. Al giorno dâoggi, i papĂ sono tendenzialmente piĂš affettuosi, disponibili, comprensivi e presenti, anche se spesso sembrano piĂš ansiosi e preoccupati di quanto non lo fossero anni fa.
Stiamo vivendo un significativo calo demografico, la cui tendenza è attenuata solo dal contributo delle famiglie migranti. Oggi le nuove madri e i nuovi padri decidono di procreare a 35-40 anni e sempre piĂš spesso non vanno oltre lâunico figlio. Il rapporto tra i genitori e i figli è cambiato: non ci sono piĂš ruoli prestabiliti e ben decisi e questo, dunque, alimenta le paure dei genitori che non riescono a gestire la libertĂ richiesta dai figli. Il punto è che nella nostra societĂ , mamma e papĂ sentono il peso di dover garantire il successo ai propri figli e per farlo sono disposti a tutto. Avere degli standard troppo elevati, però, comporta il rischio di insoddisfazioni continue e di vivere con eccessiva preoccupazione il timore del fallimento. AffinchĂŠ si possa accompagnare serenamente un figlio verso la meta prefissata è necessario, dunque, che gli obiettivi siano raggiungibili e graduali e, soprattutto, vissuti nel pieno rispetto delle sue inclinazioni e dei suoi ritmi. Ă importante, infatti, prendere in considerazione la possibilitĂ che i piani non sempre vadano come previsto, che un figlio possa avere esigenze/caratteristiche/attitudini diverse da quelle che si erano immaginate e che, di conseguenza, un eventuale mancato raggiungimento di un obiettivo non sia un fallimento, ma un punto cardine dal quale è possibile imparare a ricominciare e a riprendere da dove si era lasciato, migliorandosi e aiutando un figlio a migliorare.
Questo non è certo un punto di vista facile e scontato. Tante famiglie oggi si ritrovano a far fronte a problemi e preoccupazioni che diversi anni fa non rappresentavano che una condizione di pochi: il lavoro precario, il divorzio, la perdita di un caro, le malattie, lâindipendenza dei figli sono solo alcuni degli esempi di fattori che influiscono sulla vita familiare e personale di un genitore. Tutto ciò rischia facilmente di degenerare in continua insoddisfazione che viene poi âvomitataâ sui figli, creando una delle principali cause di fallimento genitoriale. Lâidea è sempre la stessa: i bambini, e soprattutto gli adolescenti, hanno bisogno di una guida che li possa accompagnare nelle tappe semplici e delicate della crescita, come una sorta di paracadute pronto ad aprirsi al momento giusto.
Ed è proprio il concetto di âmomento giustoâ che può dare adito ad ansie e preoccupazioni eccessive: le nuove generazioni di figli stanno perdendo lâautonomia che, in un certo senso, li responsabilizzava in passato. Ă importante che i genitori lascino sbagliare i figli ogni tanto, perchĂŠ insegna a rialzarsi, a fare le proprie esperienze e a imparare quali sono le regole nella vita.
Ad esempio, in alcuni casi i genitori non ritengono nemmeno opportuno che un figlio che frequenti le scuole medie rientri a casa da solo. A dire il vero, quando ero piccolo non ricordo scene di mia madre o mio padre che badavano costantemente a me; anzi, uscivo e rientravo negli orari consentiti, vivendo sensazioni di libertĂ e spensieratezza pur avendo solo 9 anni o poco piĂš. Giocavo tantissimo con i miei amici, passavamo molto tempo in una stradina con un pallone; anche quando cadevamo e ci sbucciavamo le ginocchia, poco importava: una pacca sulle spalle era quanto bastava per riprendere a giocare senza sosta. Il calcio era diventata quasi unâattivitĂ da svolgere obbligatoriamente, accendendo le sfide e facendoci esultare ad ogni goal come se stessimo vincendo il campionato del mondo. Una palla ci rendeva felici.
A quellâetĂ il gruppo era tutto, rappresentava lâanima e la protezione di ciascuno di noi: ognuno era perchĂŠ eravamo, tutti eravamo perchĂŠ lâaltro era. Veniva cosĂŹ a crearsi uno spazio infantile condiviso che ci dava molta forza, dove la voce della mamma che si affacciava al balcone per ricordarci che dovevamo mangiare era lâunica cosa che ci distoglieva da quel gioco lungo ore ed ore. I cellulari non esistevano ancora e nessuno di noi pensava nemmeno lontanamente di passare il pomeriggio chiuso in casa: per noi giocare insieme agli altri era tutto. Correvamo a perdifiato con la bici salendo ponti e attraversando strade con tanti pericoli, ma sapevamo che non dovevamo sbagliare e pensavamo solo a divertirci. Sapevamo che la regola principale era ânon andiamo mai oltreâ, lâavevamo tacitamente stabilito senza nessun adulto presente in quel momento che potesse badare a noi e farci delle raccomandazioni.
Lâarrivo di un figlio
Avere un figlio regala un'altra prospettiva sul mondo perchÊ bisogna seguire da vicino le necessità di un terzo ed è un'esperienza che segna profondamente. Seguirlo da vicino significa dedicargli tempo e ciò che oggi conta davvero per noi esseri umani è proprio il tempo, diventato ormai cosÏ prezioso. Il punto è che bisognerebbe donarlo ai nostri figli e stare quanto piÚ tempo possibile al loro fianco, ascoltarli ed accompagnarli nel loro cammino di crescita umana e personale.
Essere genitore è un lavoro molto difficile e la parola chiave in questo senso è âriconoscersiâ: imparare cioè a conoscere se stessi nella veste di genitori, per meglio comprendere quello che è diventato il nuovo posto nel mondo. Un figlio cambia la vita dalle prime luci del mattino, fino alle luci del mattino successivo: nottate, ansie, pappine, pianti, stanchezza, paura di non saper fare e di non essere in grado di fare. Ă unâaltalena di momenti dolci e amari e avere a che fare con piccoli di 2 anni o 3 non è facile. Quante volte abbiamo visto bambini giocare tranquilli che un secondo dopo si arrabbiano a morte per qualcosa e il secondo dopo ancora dispensano baci e carezze? Quante volte abbiamo avuto a che fare con i loro capricci? A pensarci sembra la cosa piĂš normale del mondo, ma quando la si vive in prima persona diventa ben piĂš difficile. E, allora, tanto vale fare pace con questa sacrosanta veritĂ : sta ai genitori mettere dei limiti, fissare dei paletti, gestire i capricci. Inutile pensare che un piccolo di due anni non debba fare i capricci: del resto, fa parte del suo âessere bambinoâ.
CosĂŹ accade che quel bambino che nella culla sembrava cosĂŹ tranquillo e pacato, ora che ha iniziato a camminare e ha imparato ad essere attivo nel mondo sia diventato fin troppo spericolato. Iniziamo allora a vedere pericoli in ogni angolo della casa: gli spigoli sono lame affilate e le scale sono scogliere. VerrĂ da chiedersi: ma come potrĂ sopravvivere? Pensiamo, ancora, al momento in cui inizia a pronunciare le sue prime sillabe o paroline: all'inizio può essere divertente che il bambino ripeta tutto come un pappagallo con quel âma-maâ o âpa-paâ che emoziona ogni volta. Ma, a un certo punto, può diventare imbarazzante, soprattutto se dalla sua boccuccia innocente escono gli sboccati versi di una canzone che ha sentito alla radio mentre andava a scuola in auto. Questi comportamenti li definiamo comportamenti tipici di bambini normodotati, ma purtroppo non è sempre cosĂŹ. Bisogna entrare nellâottica che osservare i propri bambini è il primo strumento di diagnosi. Ciò che un genitore crede, quello che ritiene possibile o impossibile determina in larga misura quello che può o non può fare il genitore stesso. Questo non vuole dire cercare a tutti i costi di patologizzare i comportamenti dei bambini, ma che bisogna sentirsi genitori attenti e attivi per poterlo realmente essere.
Genitori non genitori
Genitori pieni dâansia, sempre attaccati agli smartphone, che hanno centinaia di fotografie dei figli e sono pronti a riprenderli in qualsiasi circostanza. Mentre mangiano, dormono, bevono⌠semplicemente respirano. Fanno cose normali come qualsiasi altro bambino, eppure diventano un miracolo da esibire od ostentare. Sono i genitori moderni, quelli che invadono costantemente lo spazio privato dei loro figli. Sono onnipresenti e pensano di svolgere bene il loro compito genitoriale perchĂŠ si definiscono degli amici. Sono anche vestiti in modo simile, vanno in palestra, si fanno lifting e vogliono sembrare degli eterni ragazzi. Ma trovandosi sullo stesso piano dei figli, rischiano di perdere lâidea di essere percepiti come delle guide. Non consentono quel processo di crescita che deve nascere anche dalle differenze, dal contrasto e dallo scontro. Il risultato sono gli adolescenti Narcisi, perennemente annoiati e insoddisfatti. Ragazzi che hanno modificato il proprio alfabeto comportamentale. Sono scomparse parole come responsabilitĂ , impegno e rispetto perchĂŠ sostituite dal continuo e unico bisogno di essere soddisfatti emotivamente. Il âse mi dai, ti doâ è diventato, purtroppo, la chiave di un rapporto sbagliato.
I genitori, oramai, sono troppo impegnati nelle frivolezze quotidiane e nel riempire i vuoti dei loro figli con quintali di giochi, giocattoli, vestiti, dolciumi e vizi inutili, perdendo dâocchio quello che conta sul serio: crescere i figli per permettere loro di diventare adulti domani. Questo dovrebbe far riflettere tutti. Non è un caso che vediamo sempre piĂš spesso dei bambini annoiati ai quali si fanno feste di compleanno grandiose, con torte giganti che non mangiano, con animatori che non ascoltano, con genitori che sembrano schiavi dei figli. Bambini senza fantasia che non sanno cosa fare se togli loro il tablet o un cellulare dalle mani. Bambini che non ringraziano, che non salutano, a cui si elemosinano baci e che non accettano mai un ânoâ come risposta. Ragazzi iperprotetti in tutto: dagli errori, dagli insegnamenti, dalla vita; ragazzi che non conoscono ragioni plausibili per chiedere scusa, per leggere un libro, per socializzare con chi non ha le scarpe firmate o lâultimo modello di Barbie. Bambine truccate e smaltate, con vestiti da ragazza e con lo specchietto nella piccola borsetta che sbadigliano e non disegnano. Ragazzini che scrivono con le K al posto della C perchĂŠ la grammatica è obsoleta. Siamo dinanzi a una generazione che cambia, ai tempi che cambiano, ai genitori che fanno gli amici, ai nonni che fanno gli schiavi, agli insegnanti percepiti come degli aguzzini che li stressano. Poverini, sono giĂ stanchi nella loro etĂ imprecisata, fatta di troppi âSĂŹâ. Forse dovremmo fermarci, rieducarci e solo allora educare. Dare ai piccoli la possibilitĂ di essere piccoli e ai grandi lâoccasione di crescere davvero. Ă assolutamente scorretto lasciarli da soli perchĂŠ potrebbero trovarsi allo sbando e non troverebbero nessuno pronto a correggergli gli errori.
I bambini non sono âadulti in miniaturaâ
Dâaltro canto, questa difficoltĂ a relazionarsi con i figli e a calarsi nel ruolo genitoriale fa sĂŹ che si viva in modo problematico la quotidianitĂ e che si abbia, di riflesso, una certa difficoltĂ a interpretare i comportamenti dei figli nelle varie fasi della crescita. Ecco perchĂŠ capita spesso che i genitori tendano ad ipercontrollare i figli: mamma e papĂ pensano sia il modo giusto per essere presenti nelle loro vite, immedesimandosi al punto da voler essere partecipi di tutto quello che vive, sperimenta e sogna. Lâenorme rischio è quello di vedere appianata la distanza tra infanzia ed etĂ adulta e di cercare spiegazioni ad ogni comportamento del bambino, interpretandolo in maniera negativa come se fosse un adulto in miniatura. Accade, allora, che un comportamento tipico di un bambino possa essere interpretato come atipico da parte dei genitori. Quello che è immediatamente funzionale per le nuove generazioni di questi ultimi è etichettare dimenticandosi che câè un confine tra tipico e atipico. Ogni caso, ogni bambino, ogni eventuale diagnosi va affrontata con la dovuta serenitĂ , approfondendo nei dettagli la sintomatologia presentata. Bisogna imparare ad interpretare i comportamenti dei bambini ricordandoci che, in quanto tali, il corpo e il cervello funzionano in maniera differente rispetto ai grandi. Molte volte lâocchio dellâadulto è ossessivo e si perde in mille domande senza conoscere risposta e si tende a richiedere lâintervento di un esperto quando la paura raggiunge picchi che vanno oltre lâimpossibile.
Ma quando è necessario portare un bambino dallo psicologo?
Dipende delle situazioni, che sono tante e diverse: un semplice disagio che lui/lei può avvertire e che i genitori non riescono a gestire; la sensazione di fallimento per il non raggiungimento di obiettivi prefissati, come la promozione a scuola, ad esempio; oppure la difficoltĂ del bambino ad accettare i no dei genitori. Questi sono solo alcuni degli infiniti esempi che dimostrano come nel contesto familiare nasca la complessa dinamica del capire come mai un figlio, a differenza di un altro, si comporta in un determinato modo. Un bambino può essere piĂš esigente, piĂš timido o, al contrario, piĂš estroverso di un altro. Può presentare dei comportamenti di iperattivitĂ , di ansia, di opposizione rispetto alle regole genitoriali; può presentare difficoltĂ ad addormentarsi oppure mangiare poco, preferire un genitore allâaltro, manifestare ansia quando lo si accompagna fuori, ecc. Lo stesso per quanto concerne lâambito scolastico: un figlio può presentare lentezza nellâapprendimento del linguaggio, della scrittura o del calcolo, può avere difficoltĂ a stare seduto e disturbare troppo la classe o può isolarsi dalla stessa. Il contesto familiare e quello scolastico sono i principali ambiti nei quali si può osservare direttamente se il bambino presenta delle problematicitĂ o un disagio.
Il confronto con il professionista è semplicemente un modo per chiarire e comprendere piÚ nello specifico cosa stia vivendo il bimbo in quel momento specifico della sua vita. Lo psicologo è, quindi, una figura di riferimento per i genitori e per la scuola al pari del pediatra.
Il ruolo della Scuola
L'ambiente sociale in cui viviamo - la famiglia, la scuola, il lavoro, e le relazioni che stringiamo in questi contesti - sono oggi profondamente e rapidamente mutati. Anche la scuola è cambiata, ma ha e avrĂ sempre un valore sociale che dobbiamo continuamente rispettare e affermare. Alcuni aspetti che diamo per scontati, in realtĂ , sembrano essere volati in cielo: il valore della cooperazione e della quotidiana relazione fra docenti e studenti, ad esempio; il valore della vita in comune, delle regole condivise e degli apprendimenti di vita; o ancora lâonesta, i richiami educativi, gli esami.
Purtroppo, oggi tutta la didattica si basa sulla correzione di ciò che gli alunni sbagliano, senza passare per una valutazione positiva del lavoro effettivamente svolto e delle loro peculiaritĂ . La formazione scolastica, infatti, è molto piĂš della trasmissione di conoscenze e capacitĂ poichĂŠ lâeducazione consiste soprattutto nellâinsegnare a ragionare, ad argomentare e a valutare le cose, cioè a pensare attraverso degli specifici dati conoscitivi. Immaginiamo che il sapere costituisca le gambe e il pensare rappresenti il camminare: non serve a nulla avere le gambe senza usarle e dunque non servirebbe a nulla possedere delle conoscenze senza la capacitĂ effettiva di applicarle e di spenderle nella vita concreta. Del resto, non sarebbe possibile nemmeno camminare senza le gambe e, cioè, pensare senza av...