Antichità - Il Vicino Oriente - Musica
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Antichità - Il Vicino Oriente - Musica

Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 4

Umberto Eco

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Antichità - Il Vicino Oriente - Musica

Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 4

Umberto Eco

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Sostanzialmente condivisa è la convinzione che la musica sia antica quanto l'uomo. Sin dagli albori della civiltà l'essere umano ha prodotto suoni e ritmi non solo attraverso la voce, ma, ispirato dalla polifonia del paesaggio sonoro, anche esplorando le proprietà acustiche di materiali e architetture che la natura gli offriva, scegliendo gli spazi con specifiche finalità acustico-musicali, dove l'eco sonora fosse più suggestiva.Grazie alla combinazione di metodi e discipline alquanto diversificate (archeologiche, iconografiche, epigrafiche, filologiche e teorico-musicali) vengono qui esplorate le sensibilità musicali delle civiltà tra le più importanti che si sono affacciate sul Mediterraneo antico - la civiltà egizia, le civiltà mesopotamiche e quella etrusca -. Si indaga lo sviluppo dei primi strumenti e contesti musicali, per comprendere l'alto valore sacrale, spirituale ed umano che la musica ha avuto nella vita dell'uomo come individuo e come parte integrante della vita associata; e vengono individuati gli influssi che la variegata vita musicale delle civiltà succedutesi nell'area mediorientale ha avuto sul mondo greco e romano, per quanto concerne il ricchissimo corredo strumentale (dalle arpe, ai liuti), e gli idiomi musicali.Una storia delle più antiche civiltà raccontata in una forma inedita, attraverso la vivacità e la forza del canto, della danza, e della musica che non hanno mai smesso di incantare l'uomo.

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Dalla preistoria alle esperienze etrusche

Esperienze sonore nella preistoria: nuove prospettive dell’archeologia musicale
Graeme Lawson

Lo studio della musica agli albori della civiltà è oggi possibile grazie all’archeologia musicale, una disciplina scientifica sviluppatasi alquanto recentemente che si propone di studiare i reperti materiali musicali delle culture del passato attraverso i metodi archeologici: in un certo senso, la scienza forense della musica antica. I suoi metodi risultano particolarmente efficaci se applicati a periodi remoti come la preistoria, per i quali non esistono testimonianze visive.

Verso un’archeologia della musica

Se proviamo ad immaginarci, 2000 anni fa, musicisti e cantori che giungono nelle nostre città dalle zone più remote dell’Impero (come sicuramente deve essere avvenuto), ci viene naturale chiederci cosa possano aver provato i Romani ad ascoltare le loro musiche. Senza dubbio alcune saranno parse esotiche e meravigliose, evocando lo splendore e i misteri di antiche civiltà: Grecia, Persia, Egitto, addirittura l’India. Ma che cosa possono aver pensato i Romani dei musicisti “barbari” che provenivano da luoghi ben più lontani di quelli civilizzati da loro conosciuti, cioè dai deserti africani, dalle pianure boscose del Nord Europa, dalle coste dell’oceano Atlantico e dalle steppe asiatiche? Se mai essi avranno udito tali musiche, devono aver percepito l’eco di qualcosa di completamente diverso: senz’altro qualcosa di primitivo e non raffinato, ma di certo anche in grado di evocare un altro tipo di mistero, più vicino alle proprie radici ancestrali ormai quasi dimenticate. Nella sua opera Germania, lo storico Tacito accenna brevemente a una musica del genere quando narra ai suoi lettori romani le leggende eroiche cantate dalle tribù delle foreste del nord. Queste erano – dice Tacito – le uniche memorie del passato che i Germani avessero mai ritenuto necessario conservare. Egli avrebbe potuto dire la stessa cosa di molti altri popoli e comunità ben più lontane, e certo anche di alcune a lui più vicine: perché, in realtà, quel leggendario passato germanico e celtico è soltanto una delle ultime tappe di quella vasta epoca che noi chiamiamo preistoria, cioè, alla lettera, quella fase della civiltà che precede l’invenzione della scrittura. La preistoria indica, quindi, quella parte di esperienza umana che si colloca in periodi in cui non vi sono documenti o in luoghi lontani dall’uso della scrittura. Una tale mancanza ci pone naturalmente in svantaggio se vogliamo sapere qualcosa di più sulla poesia e le leggende in sé, ma la musica che le accompagnava non è affatto al di fuori della portata degli studi musicologici. In che modo? È senz’altro vero che sarebbero passati altri 1000 anni prima che ovunque in Europa le melodie fossero scritte, come una pratica routinaria, ed è anche vero che ancora oggi alcune forme di musica non sono mai state annotate su carta. Così, in un certo senso, esistono ancora frammenti di musica preistorica attorno a noi! Tuttavia attraverso l’archeologia (cioè lo studio dei resti materiali delle culture del passato) anche la musica può essere recuperata, come un grande fiume che fuoriesce dai recessi più remoti dell’esistenza umana. Una volta concepite come “età oscure”, questi periodi pre e protostorici sono oggi terreni di ricerca privilegiati dagli archeologi musicali, che studiano le origini della musica attraverso le sempre più numerose testimonianze provenienti dagli scavi: le tombe dei musicisti, le loro raffigurazioni mentre fanno musica e, ancora più suggestivi, i fragili resti dei veri strumenti che le loro labbra e le loro dita hanno toccato e fatto risuonare.
Molte cose sono cambiate da quando gli storici europei hanno iniziato a chiedersi come potesse essere la musica del passato. Per lungo tempo essi hanno avuto a disposizione le sole testimonianze della Bibbia e dei poeti classici, assieme alle tradizioni popolari che tendevano ad attribuirne l’invenzione a dèi ed eroi, specie per quel che riguarda i primi strumenti musicali. In seguito, a metà del XIX secolo, i resoconti di viaggio di strane musiche in terre lontanissime hanno incoraggiato una nuova generazione di studiosi nel tentativo di ricostruire le più antiche forme musicali in base a quella che essi credevano potesse essere musica “primitiva”, specie in Asia, Africa e nel Pacifico sud-occidentale. Aggiornato ad oggi, questo approccio (noto come musicologia comparata) è ancora quello che molti ricercatori preferiscono. Ma in anni recenti si è anche assistito alla nascita di quella che può risultare essere una rivoluzione ancora più importante, che emerge dall’enorme incremento degli scavi archeologici: è lo sviluppo dell’archeologia della musica come disciplina a sé. Grazie ai suoi risultati, siamo ora in grado di ricostruire alcuni dei percorsi intrapresi dalla musica per arrivare ad essere quella che noi oggi conosciamo, e di stabilire quanto lungo è stato tale cammino.
I primi ritrovamenti di strumenti musicali antichi vengono già alla luce nel XVIII secolo, spesso scoperti per caso, ma talora anche grazie agli scavi dei primi antiquari. Inizialmente ci sono troppi pochi esempi per poter ricostruire un quadro organico e non è possibile datarli: essi vengono semplicemente messi a confronto con gli strumenti popolari moderni e, anche in questo modo, scarsamente compresi. Lo stesso arco cronologico della preistoria è, in questo periodo, di per sé un mistero complicato dalla teologia. La creazione del mondo viene variamente calcolata, a partire dall’interpretazione letterale delle fonti bibliche, e inquadrata in un lasso di tempo che va dal 3952 a.C. (Beda il Venerabile) al 4004 a.C. (James Ussher). Ma, benché la scienza non abbia ancora alcuna modalità per tentare un approccio a tali questioni, cresce la consapevolezza che alcune cose siano più antiche di altre, se non altro in quanto sepolte più a fondo sottoterra, e che alcune di queste (seppellite molto in profondità) siano senza dubbio molto antiche. Attraverso l’esame della successione di strati nelle rocce sedimentarie (procedimento conosciuto con il termine di “stratigrafia”), la geologia sta già scoprendo che alcune tipologie di fossili animali e vegetali sono non solo più infossate ma anche più primitive, e che molte di esse non si trovano più in vita da nessuna parte della terra. Questa scoperta è stata considerata applicabile tanto ai resti degli antichi esseri umani quanto a quelli dei tipi di utensili – e strumenti musicali – che essi hanno lasciato dopo la loro scomparsa. Gradualmente, a mano a mano che nuove scoperte vengono alla luce, un quadro più chiaro inizia ad emergere. Gli archeologi in Europa scoprono infatti che i resti preistorici incorporano una serie di progressi tecnologici che sembrano definire anche degli archi temporali. Nasce così il “sistema delle tre età”, con le sue tre fasi indicate rispettivamente da utensili e armi in pietra, bronzo e ferro. Delle tre, l’Età della Pietra risulta certamente la più antica, ed essa doveva senz’altro essere molto antica. L’Età del Bronzo sembra includere persone e oggetti contemporanei alle leggende più antiche registrate dai poeti greci. Alcuni ritrovamenti dalla successiva Età del Ferro, invece, possono essere messi in relazione con dati storici, in quanto tali reperti raffigurano, e a volte addirittura nominano, sovrani e magistrati conosciuti anche da documentazione storica di altro genere, in modo particolare nel mondo mediterraneo. Le monete forniscono un aiuto molto prezioso, in quanto forniscono una datazione ad altre tipologie di oggetti ritrovati vicino ad esse, inclusa la ceramica: poiché è risaputo che le mode in campo ceramico cambiano nel tempo, come avviene ancora oggi, tali cambiamenti possono essere datati. Così quando strumenti musicali o immagini di esecuzioni musicali vengono trovati in strati che contengono anche frammenti ceramici, essi naturalmente assumono la loro medesima datazione. Questo è un inizio. Nel corso del tempo diventa possibile attribuire una datazione ad un numero sempre maggiore di oggetti fino a che, nel XX secolo, la scienza si procura finalmente i mezzi per datare anche i depositi più antichi attraverso il sistema della dendrocronologia (cioè la datazione degli anelli di accrescimento degli alberi) e la datazione dei radioisotopi, utilizzando principalmente il radiocarbonio o carbonio 14.

L’Età del Ferro in Europa (600 a.C. ca. - 700 d.C.)

È certamente grazie alla datazione al radiocarbonio e alla dendrologia che siamo oggi in grado di datare in maniera molto accurata antichi strumenti musicali, o materiali organici trovati accanto ad essi. Un esempio recente alquanto rilevante proviene dalla tarda Età del Ferro europea, da un luogo chiamato Trossingen nello stato del Baden-Württemberg, in Germania meridionale. Qui, nell’inverno del 2003-2004, è stata scoperta la tomba di un musicista. Non vi sono documenti che ci possano aiutare nell’interpretazione dei resti, ma essi sono in sé magnificamente conservati. Alla base di un profondo condotto vi è una camera sotterranea che contiene le reliquie di un uomo, probabilmen...

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