La dieta non dieta
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La dieta non dieta

Riattivare il metabolismo e ripristinare il peso forma con l'alimentazione naturale

Debora Rasio

  1. 320 Seiten
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La dieta non dieta

Riattivare il metabolismo e ripristinare il peso forma con l'alimentazione naturale

Debora Rasio

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Chi di noi non ha mai seguito una dieta, o quantomeno desiderato farlo? Non c'è che l'imbarazzo della scelta tra le infinite novità proposte dai mezzi d'informazione o pubblicizzate dalle celebrità. Quello che pochi sanno, però, è che la forza di volontà spesso non è sufficiente: infatti, il 95 per cento delle persone che affrontano una dieta nei due anni successivi riprende il peso perduto. Come è possibile? E come affidarsi invece a un programma alimentare efficace, che sia insieme fonte di benessere e serenità per la vita?

A queste e ad altre fondamentali domande sul tema risponde Debora Rasio, con la passione di chi fin da bambina è rimasta affascinata dalla scienza del corpo umano, il rigore della studiosa che vanta un'apprezzata attività di ricerca all'estero e la chiarezza espositiva della divulgatrice. Sgombrando il campo da una serie di convinzioni erronee, l'autrice ci riporta alle origini di una parola e di una pratica che la saggezza degli antichi concepiva come «modo di vivere», come disciplina di tutti gli aspetti della vita quotidiana che contribuiscono alla nostra salute: insieme al cibo, anche il movimento, la respirazione, l'esposizione alla luce naturale del sole, il buon riposo notturno, i pensieri che pensiamo e le emozioni che proviamo.

La cultura moderna ha stravolto l'armonia di questa visione, ci ha indotti a classificare il cibo in «permesso» e «proibito», aprendo le porte a disturbi del comportamento alimentare. Il concetto di caloria ha soppiantato il piacere del gusto, spingendoci a mangiare alimenti altamente trasformati che turbano l'equilibrio metabolico lasciandoci sempre più grassi e affamati. Un'alimentazione troppo ricca di zuccheri, farine e oli vegetali raffinati ha compromesso il nostro naturale diritto alla longevità in salute.

La soluzione è però a portata di mano: tornare a nutrirci del cibo che la Natura «ha pensato» per noi. La «dieta non dieta» ci insegna che è possibile alimentarsi in modo corretto, dimenticando calcoli e teorie, con un piano strategico articolato in quattro fasi della durata di un mese ciascuna e accompagnato da pratici menu tipo e da una raccolta di ricette appetitose e salutari. Così, aiutandoci a rieducare il gusto alla riscoperta dei sapori semplici e autentici della tradizione (persino della frittura, che non solo non fa ingrassare ma ha un elevato potere saziante e tiene «allenato» il fegato), ci permette di restituire al cibo il valore di strumento necessario per preservare vitalità, energia, salute mentale e spirituale oltre che fisica ed emozionale.

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Parte seconda

IMPARARE A MANGIARE IL PIANO ALIMENTARE

VIII

Perdere peso e «reimparare» a mangiare

Se il grasso è una difesa, come (e perché) liberarcene?

Nei capitoli precedenti abbiamo imparato che i meccanismi alla base dell’aumento di peso scattano principalmente a opera del cervello. Sì, perché nel nostro DNA sono scritti dei programmi biologici che, in presenza di un’ampia disponibilità di cibo, ci spingono alla decisione «involontaria» di mangiare, anche in eccesso rispetto al nostro fabbisogno reale, per fare scorta in previsione di tempi in cui il cibo potrebbe diventare scarso. Un’evenienza tutt’altro che rara fino a solo un secolo fa. Quindi per reagire – e non ingrassare – dobbiamo individuare, per poi tenerle sotto controllo, queste pulsioni inconsce che poche righe fa ho definito «programmi biologici».
I meccanismi fondamentali «installati» dentro di noi che ci inducono quasi automaticamente a mangiare sono due: la fame e la tentazione. Dei due, la fame è il più facile da disinnescare, dato che possiamo sfruttare le proprietà sazianti dei cibi a bassa densità calorica per appagarla. Vincere la tentazione è invece un po’ più complicato. Per anni, confortati da consigli di esperti e non, abbiamo provato a controllare sovrappeso e obesità contando le calorie: un sistema che non solo non ha funzionato, ma ha addirittura promosso il dilagare di disturbi del comportamento alimentare e ha comunque spesso contribuito a farci mettere su altri chili dopo ogni dieta. Siamo tutti d’accordo che in teoria introdurre meno calorie fa dimagrire, ma il fatto indiscutibile è che noi esseri umani non siamo topi di laboratorio che non hanno altra possibilità se non mangiare quanto viene loro proposto o imposto: siamo invece individui complessi, che per di più vivono in una società «obesogena», ricca di tentazioni di ogni tipo spesso progettate apposta per vincere le nostre già esili resistenze e farci ingrassare.
Il cervello umano è tra l’altro anche un congegno con la funzione primaria di cercare fonti di energia, siano esse carboidrati, proteine o grassi. Nella bocca, nello stomaco e nell’intestino abbiamo recettori attrezzati per percepire le proprietà chimiche e il volume del cibo che ingeriamo, di cui viene inviato subito un dettagliato rapporto al cervello. Se il messaggio riferisce che un determinato alimento è ricco di zuccheri, grassi, proteine e sale, la risposta immediata è un picco di dopamina – l’ormone del benessere e delle sensazioni di piacere – che ci spinge ad assumerne ancora quando lo reincontreremo.
La ragione di questa risposta «indotta» è di per sé validissima: poiché la disponibilità di energia dal cibo è sempre stata un elemento critico per la sopravvivenza umana è come se, per facilitare l’assunzione di un cibo così prezioso, il nostro cervello «derogasse» ai suoi ordinari livelli di regolazione e, sopprimendo i consueti segnali di sazietà, alzasse la soglia di grasso corporeo normalmente giudicata «opportuna». Se, d’altro canto, anziché consumare alimenti come questi, costruiti a tavolino per indurre dipendenza, ci nutriamo di cibi naturali in cui è presente una fonte di energia ma non tutte insieme (nella frutta oleosa, ad esempio, ci sono molti grassi ma pochi carboidrati, mentre nei cereali accade il contrario), il cervello è meno motivato a spingerci ad assumerne ancora, a prescindere dal nostro reale fabbisogno. Si spiega così come gli alimenti industriali equivalgano a vere e proprie «droghe» in grado di attivare le aree del piacere; basta questo per darci un’idea di quanto siano insidiosi e farci comprendere quanto possa essere difficile liberarsene. Aumentando il consumo di alimenti a bassa densità calorica (quelli vegetali come la frutta, la verdura, i legumi e i cereali integrali) ma ad alto valore saziante, placheremo uno dei due segnali più forti che ci spingono a mangiare: la fame. In questo modo ridurremo l’apporto calorico senza necessità di contare le calorie, come è accaduto ai partecipanti dello studio condotto alle Hawaii, di cui ho parlato a p. 118.
Tuttavia, ormai la nostra «giornata alimentare tipo» è una sfilata di prodotti ad alta densità calorica a base di farine raffinate e zuccheri (pane, pasta, fette biscottate, grissini, patatine, merendine, pizza, gelati, bibite zuccherate e succhi di frutta industriali) che, come già visto, sono formulati in modo da essere praticamente incapaci di indurre sazietà e, anzi, guidano il cervello a farcene consumare ben oltre il fabbisogno calorico, con l’ovvia conseguenza che diventa ben più difficile – e per molti impossibile – controllarne l’assunzione. Questi alimenti, inoltre, sono studiati per essere seducenti. Hanno confezioni sgargianti, sono «di moda» perché i loro marchi accompagnano gli eventi più cool del pianeta, presentano la perfetta combinazione di zuccheri, grassi e sale calibrata per attivare al massimo i nostri centri cerebrali del piacere, senza però farci arrivare al punto di saturazione che ci spingerebbe a fermarci. La pubblicità, poi, li spaccia per innocui, cosa che ce li fa acquistare con il sorriso sulle labbra e che, con lo stesso sorriso, ce li fa offrire ai nostri bambini, senza che ci rendiamo conto della catena di reazioni negative che innescheranno in loro di lì a poco: dallo stress ossidativo, all’infiammazione, alla glicazione di proteine e grassi, alla deregolazione della comunicazione tra cellule, all’insulino-resistenza.

Il «nemico» da combattere

Spiego spesso alle famiglie con bambini sovrappeso e obesi che mi portano i figli perché io li «metta» a dieta, che il primo passo da fare è eliminare da casa loro tutto ciò che assomigli a merendine, bibite gassate, biscotti, cracker, gelati e dolciumi vari. La reazione più frequente che ricevo è di sdegnato sgomento: «Cosa? Ma è impossibile, mio marito e l’altro mio figlio non hanno problemi di peso e non accetterebbero mai di fare colazione e spuntini senza biscotti e merendine!».
Davanti a questa logica come posso rispondere ai segnali che il bambino mi manda se i suoi genitori per primi non si rendono conto di quale sia il problema? Problema che non nasce certo dal figlio o dalla figlia obesi, che stanno solo dando la buona risposta iscritta nei loro DNA: mangiare di più affinché il grasso li protegga e li isoli dalle mille difficoltà che possono incontrare, vittime designate delle tante pallottole vaganti che questa società obesogena spara e continuerà a sparare attraverso la TV, le riviste, i cartelloni pubblicitari e le confezioni astute. Se pallottole o proiettili può suonare troppo forte possiamo chiamarle esche sparse qua e là e mascherate da cibi apparentemente innocui, che agiscono esattamente come le droghe e che anzi sono persino più potenti nell’attivare i centri del piacere e creare dipendenza, come ci hanno dimostrato i nostri topolini. E se non riusciamo a difenderci è perché l’attuale biologia umana è frutto di selezioni avvenute in milioni di anni e i suoi ritmi millenari sono impreparati a fronteggiare le modifiche ambientali introdotte nell’ultimo secolo e divenute ormai frenetiche nella società contemporanea.
Come si può pensare che sia lecito dare una merendina o un succo a un figlio e non all’altro solo perché il primo è magro e il secondo cicciottello? A parte il fatto che alimenti dannosi per l’organismo anche se non fanno ingrassare chi è costituzionalmente magro non gli fanno comunque bene, sarebbe come portare i due figli al luna park e permettere a uno di andare sulle giostre costringendo l’altro a stare a guardare: oltre a essere crudele, semplicemente non funziona.
Proibire a qualcuno di mangiare qualcosa è il metodo più sicuro per fargli desiderare intensamente proprio quel cibo proibito. Per questo continuo a ripetere che le diete provocano disturbi del comportamento alimentare! E l’unica strategia efficace per quel bambino, come pure per gli adulti, è ridurre la sua esposizione agli stimoli seducenti. Se svuotiamo la casa di tutti i cibi ad alta densità calorica, diventa innanzitutto più difficile procurarseli, in particolare per un bambino; inoltre, non avendoli continuamente sotto gli occhi, ci tenteranno sempre di meno. In quest’ottica, è importante proteggere il più possibile i nostri figli dai messaggi – pubblicitari e non – con cui la TV ci bombarda, messaggi spesso infarciti di richiami subdoli all’assunzione di cibi spazzatura che si impongono ai loro cervelli ancora privi di filtri e difese. Perché è così che il cervello funziona, anche quello di noi adulti: di fronte a un alimento ad alta densità calorica, o anche solo alla sua immagine, ricorda immediatamente che gli potrebbe procurare abbondante energia di rapido utilizzo al costo di una fatica minima, e ci spinge a procurarcelo. Non succede certo per caso se, alla vista di un piatto molto appetibile, la bocca ci si riempie di saliva, lo stomaco inizia a pompare succhi gastrici, l’intestino si contrae… Tutte reazioni «inconsce» comandate dal cervello che ci incita: «Avanti, prendilo!». Ed ecco che, senza davvero volerlo, ci ritroviamo in un istante con in mano una scatola di biscotti… già finita! E a questo punto è inutile e decisamente controproducente (perché provocherebbe uno stress che ci spingerebbe a mangiare di più per difenderci) prendercela con noi stessi. Lo ribadisco ancora una...

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