Il mio nome è Nessuno - 1. Il giuramento
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Il mio nome è Nessuno - 1. Il giuramento

Valerio Massimo Manfredi

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Il mio nome è Nessuno - 1. Il giuramento

Valerio Massimo Manfredi

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Ulisse, Odysseo, Nessuno: l'uomo dal multiforme ingegno, il mito che solca i mari, l'eroe più formidabile e moderno di tutti i tempi è qui, in queste pagine. E ci parla in prima persona, raccontandosi con tutta l'umanità e il coraggio che lo hanno reso, lungo ventisette secoli, più immortale di un dio.
Dalla nascita nella piccola, rocciosa Itaca alla formazione di uomo e di guerriero al fianco del padre Laerte, dalle braccia materne della nutrice Euriclea al vasto mare da navigare sino a Sparta, dalla abbagliante e pericolosa bellezza di Elena all'amore per Penelope, dal solenne giuramento tra giovani principi leali al divampare della tremenda discordia: questo romanzo, primo di due volumi, segue Odysseo fino alla resa di Troia, grandiosa e terribile. Prima ancora che inizi il nòstos - lo straordinario viaggio di ritorno - l'avventura già è costellata di incontri folgoranti, segnata da crisi profonde, dominata dall'intelligenza e dall'ardimento di un uomo capace, passo dopo passo, di farsi eroe.
La figura di Odysseo ha avuto lo straordinario destino di "reincarnarsi" infinite volte: i più grandi poeti lo hanno cantato, la sua orma profonda e sempre nuova è riconoscibile nei testi più importanti della letteratura di ogni tempo, a ogni latitudine. Tutti noi abbiamo la sensazione di ricordare da sempre le gesta di Odysseo, ma in questo romanzo, attingendo all'immensa messe di miti che lo vedono protagonista, Valerio Massimo Manfredi porta alla luce episodi e personaggi che non conoscevamo, ci regala la viva emozione di scoprire un intero universo brulicante di uomini, donne, imprese gloriose o sventurate. Ci mostra come accanto a quel personaggio fluisca gran parte dell'epos greco: Alcesti, le fatiche di Herakles, i sette contro Tebe, gli Argonauti, oltre ai due poemi di Omero. Odysseo non si erge solitario tra le ombre di dei e guerrieri, ma il suo intero percorso di formazione, le sue radici familiari, gli epici racconti di cui è nutrito dal nonno- lupo Autolykos e dal padre argonauta, i dialoghi con Herakles e Áias, gli incontri con la misteriosa Athena dagli occhi verdi, ogni dettaglio dà corpo a un racconto profondamente sorprendente.
Con assoluto rigore ma anche con una vibrante adesione a questa materia "in continuo movimento", Manfredi compie la scelta forte di affidare la narrazione proprio a colui che disse di chiamarsi Nessuno: una voce diretta, potente, scolpita nella sua semplicità. Una voce dal fascino assoluto, una storia incalzante come i tamburi di guerra, tempestosa come il mare scatenato da Poseidone, piena di poesia come il canto delle Sirene.

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Information

Verlag
Mondadori
Jahr
2012
ISBN
9788852030710

Il mio nome è Nessuno

Il giuramento
For Christine,
’αμωμήτῳ ’αλόχῳ.
Ciò fu nei tempi che ai monti
stridevano ancor le Chimere,
quando nei foschi tramonti
centauri calavano a bere.
GIOVANNI PASCOLI

PROLOGO

Da quanto tempo sto camminando? Non lo ricordo più, non riesco a contare i giorni e i mesi. La luna e il sole si confondono. L’astro della notte splende, a volte, illuminando l’infinita distesa nevosa con intensità simile a quella del sole e l’astro diurno sorge dall’orizzonte velato di nebbie come una pallida luna. Il ghiaccio riflette la luce come acqua.
Da quanto tempo non vedo uomini? Da quanto non vedo la primavera, il mare, i lecci e i mirti sui monti e fra le rocce? Ho incontrato lupi. Orsi. Non mi hanno fatto del male, non mi hanno aggredito. Non ho messo mano all’arco e sono ugualmente sopravvissuto. Perché possa condurre a termine il mio viaggio.
L’ultimo.
Ho imparato a parlare con me stesso, a tenere compagnia alla mia mente perché non evapori con le nebbie. Mi manca la sposa, le sue braccia così bianche e morbide. Mi manca il suo seno tiepido e gli occhi neri, neri, neri. Mi manca mio figlio, il mio ragazzo, l’unico che ho generato. L’ho lasciato che dormiva ancora. I ragazzi hanno un sonno pesante. Mi odierà: mi aveva aspettato tanti anni.
Mi manca la mia dea con gli occhi verdi, le labbra perfette che non hanno mai dato un bacio, né a un dio, né a un mortale. Non lascia impronte se anche camminasse al mio fianco. Il suo respiro non condensa: freddo è, come la neve. Mi amava un tempo, mi appariva sotto false sembianze ma la riconoscevo comunque, dovunque… Ora non mi parla più, o forse sono io che non riesco più a udirla.
Mi ascolti? Mi ascolti, figlio di una piccola isola, figlio di un destino amaro? Incorreggibile mentitore… Quante volte hai immerso le mani nude nella neve per lavarle dal sangue? Senza riuscirvi. Lo senti che ti guardano? Cammina, cammina, vai avanti, sempre più avanti perché l’orizzonte fugge, sfugge, e questa terra che non finisce mai, vasta, sconfinata, informe e sterile come il mare, piatta come la bonaccia…
Eppure, puoi non credermi, sono un re.
Tu, un re? Mi fai ridere.
Ridi finché ti pare ma sono un re. Senza regno, senza sudditi, senza amici, senza, senza, senza… ma un re. Ho compiuto imprese, ero alla testa di un gran numero di navi… Guerrieri. Amici. Compagni. Morti. Ho freddo. Mi sentite? Ho freddo! Dove siete? Qui attorno forse? Sottoterra? Sotto il ghiaccio? Anche voi avete respiro freddo che non addensa. Invisibili.
Avanti, sempre avanti. Non so più quando è stata l’ultima volta che ho mangiato. Non so perché il mio destino non si placa, perché non posso vivere come la maggior parte degli uomini con una casa, con una famiglia, con il cibo preparato tre volte al giorno.
Athena. Mi ami ancora? Sono ancora il tuo preferito? O forse è questa la mia pazzia: la mia mente è legata a realtà misteriose più grandi di me che non so comprendere. I piedi che avanzano uno dopo l’altro avvolti di pelli di conigli che ho mangiato sono l’unica visione. Non hanno meta i miei piedi, se non la profezia dell’indovino che in una notte illune evocai dall’aldilà. Una meta qualunque che saprò di aver raggiunto quando sarò arrivato. Ho perso il conto dei giorni e delle notti. Non l’ho mai tenuto e non so da quanto tempo sto viaggiando. Non so neppure quanti anni ho. Certo non sono più giovane.
Una montagna.
Si erge solitaria come un’isola in mezzo al mare. E c’è una caverna. Troverò riparo al vento che mi taglia il viso, al nevischio che mi trafigge gli occhi.
Una caverna. È tiepido all’interno, sul fondo, dove il vento non ha spazio per muoversi.
È apparso un coniglio. Bianco sul bianco. Difficile prendere la mira, più difficile resistere alla fame. Eppure sarebbe bello abbandonarsi allo sfinimento, lasciarsi lentamente morire, di una morte dolce. Chi mi troverebbe mai più qui? Un corpo rinsecchito, un ghigno di denti affamati…
Preso. Scuoiato. Divorato. Io, o il coniglio. Che differenza fa? Da allora si sono ammucchiate ossa davanti alla mia caverna. E ricordi nella mia mente. Tornerà la primavera e incontrerò un uomo che mi farà una domanda e gli dovrò rispondere. Ma dovrò ricordare, tutto. Anche le grida e i pianti, echi di strazio. Ho appoggiato sul fondo della caverna il palo che reggevo sulla spalla. L’ho trovato abbandonato sulla riva a Itaca una mattina dopo il mio ritorno, relitto di un vecchio naufragio. Da quanto tempo galleggiava sul mare? Anni. L’ho riconosciuto da una farfalla intagliata sull’impugnatura: un tempo lo maneggiava uno dei miei compagni. Il quarto remo di destra. Vecchio amico, ora dormi nel buio dell’abisso. Ma mi hai mandato un segno. Tempo di riprendere il viaggio.
La mia nave. Mi manca. Aveva fianchi curvi come una donna, morbida e sensuale. Come la dea dagli occhi verdi. Giace a pezzi sul fondo del mare. E il cuore piange. Smetti di piangere, cuore mio! Hai sopportato ben altri dolori. Sventure senza fine, sì. Ricorda, piuttosto, nel sonno. Ricorda tutto. Sono belli i ricordi: sono la nascita, la vita. Il futuro è la morte, morte di un eroe, morte di un coniglio. Nessuna differenza, tremenda certezza.
La scarsa luce è inghiottita dal buio. Il vento riprende a correre la pianura, gemendo nell’oscurità, svegliando lunghi ululati di lupi, chiamando neve, neve, neve. Che lunghe notti! Non finirà mai. È mai esistito il sole caldo che si affacciava dai monti coperti di querce sussurranti? È mai davvero esistita l’isola baciata dal mare, silenziosa sotto la luna piena, profumata di mirto e di asfodeli?
Eppure, un giorno lontano, nacque un bambino nell’isola, nel palazzo sul monte, unico figlio. Non piangeva, cercava subito di parlare, di imitare i suoni appresi nel buio del grembo materno.
Io.

UNO

Mi chiamarono Odysseo perché così aveva stabilito mio nonno Autolykos, re di Acarnania, giunto in visita al palazzo un mese dopo la mia nascita. E presto mi resi conto che gli altri avevano un padre e io non l’avevo. La sera, prima di addormentarmi, chiedevo alla nutrice: «Mai, dov’è mio padre?».
«È partito con altri re e guerrieri alla ricerca di un tesoro in un luogo lontano.»
«E quando torna?»
«Non lo so. Non lo sa nessuno. Quando si parte per mare non si sa quando si torna. Ci sono le tempeste, i pirati, gli scogli. Può succedere che la nave vada distrutta e che qualcuno si salvi nuotando verso terra. Ma poi deve aspettare che passi un’altra nave e possono trascorrere mesi, anni. Se poi si ferma un vascello pirata, li prende e li vende come schiavi nel porto successivo. Quella del marinaio è una vita rischiosa. Il mare nasconde mostri terribili e creature misteriose che vivono negli abissi e salgono alla superficie nelle notti senza luna… Ma adesso dormi, piccolo.»
«Perché è andato a cercare un tesoro?»
«Perché ci sono andati tutti i guerrieri più forti di Achaja. Poteva tuo padre mancare? Un giorno i cantori racconteranno questa storia e i nomi degli eroi che vi hanno preso parte saranno ricordati in eterno.»
Io annuivo con il capo come per approvare ma non capivo del tutto perché si dovesse partire, rischiare la vita solo perché qualcuno un giorno cantasse di te raccontando che avevi avuto il coraggio di partire e di rischiare la vita.
«Perché devo dormire con te, mai? Perché non posso dormire con mia madre?»
«Perché tua madre è la regina e non può dormire con uno che bagna ancora il letto.»
«Io non bagno il letto.»
«Bene» rispose la nutrice, «da domani dormirai da solo.» E così fu. Mia madre allora, la regina Anticlea, mi fece trasferire in una camera tutta mia con un letto di quercia decorato con intarsi d’osso. Mi fece dare una coperta di lana fine ricamata con fili di porpora.
«Perché non posso dormire con te?»
«Perché non sei più un bambino e perché sei un principe. I principi non hanno paura a dormire da soli. Ma per un po’ ti manderò Femio. È un bravo giovane: sa tante bellissime storie e te le canterà finché non sarai preso dal sonno.»
«Quali storie?»
«Quelle che vuoi tu: le imprese di Perseo contro Medusa, di Teseo contro il Minotauro e tante altre.»
«Posso chiederti una cosa?»
«Certo» rispose mia madre.
«Questa sera vorrei che fossi tu a raccontarmi una storia, quella che vuoi. Una cosa che ha fatto mio padre. Raccontami di quando lo hai incontrato la prima volta.»
Sorrise e si sedette vicino a me accanto al letto: «Accadde quando mio padre lo invitò a una battuta di caccia. I nostri regni erano confinanti, quello di Laerte a occidente sulle isole, quello di mio padre in terraferma. Era un modo per fare causa comune, per allearci contro invasori esterni. Fui fortunata. Poteva capitarmi di sposare un vecchio grasso e calvo: tuo padre invece era bello e forte; aveva soltanto otto anni più di me. Solo, non sapeva cavalcare. Fu mio padre a insegnargli e gli regalò anche un cavallo».
«Tutto qui?» le domandai. Immaginavo una lotta per liberarla da un mostro o da un crudele despota che la teneva prigioniera.
«No» rispose, «ma non posso dirti altro. Un giorno, forse. Quando potrai capire.»
«Io posso già capire.»
«No. Non ora.»
Passò un altro anno senza che arrivassero notizie del re, ma avevo un maestro, ora, che sapeva tutto e mi aveva raccontato di mio padre. Avventure di caccia, incursioni, battaglie contro i pirati: storie più belle di quelle che mi raccontava mia madre. Lui, il maestro, s...

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