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Lezioni americane
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Italo Calvino
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"La "Leggerezza", la "RapiditĂ ", l'"Esattezza", la "VisibilitĂ ", la "MolteplicitĂ " dovrebbero in realtĂ informare non soltanto l'attivitĂ degli scrittori ma ogni gesto della nostra troppo sciatta, svagata esistenza." (Dalla quarta di copertina di Gian Carlo Roscioni alla prima edizione)
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Essays in Education1
Leggerezza
Dedicherò la prima conferenza allâopposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso dâaver piĂš cose da dire.
Dopo quarantâanni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta lâora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il piĂš delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle cittĂ ; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio.
In questa conferenza cercherò di spiegare â a me stesso e a voi â perchĂŠ sono stato portato a considerare la leggerezza un valore anzichĂŠ un difetto; quali sono gli esempi tra le opere del passato in cui riconosco il mio ideale di leggerezza; come situo questo valore nel presente e come lo proietto nel futuro.
Comincerò dallâultimo punto. Quando ho iniziato la mia attivitĂ , il dovere di rappresentare il nostro tempo era lâimperativo categorico dâogni giovane scrittore. Pieno di buona volontĂ , cercavo dâimmedesimarmi nellâenergia spietata che muove la storia del nostro secolo, nelle sue vicende collettive e individuali. Cercavo di cogliere una sintonia tra il movimentato spettacolo del mondo, ora drammatico ora grottesco, e il ritmo interiore picaresco e avventuroso che mi spingeva a scrivere. Presto mi sono accorto che tra i fatti della vita che avrebbero dovuto essere la mia materia prima e lâagilitĂ scattante e tagliente che volevo animasse la mia scrittura câera un divario che mi costava sempre piĂš sforzo superare. Forse stavo scoprendo solo allora la pesantezza, lâinerzia, lâopacitĂ del mondo: qualitĂ che sâattaccano subito alla scrittura, se non si trova il modo di sfuggirle.
In certi momenti mi sembrava che il mondo stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione piĂš o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi, ma che non risparmiava nessun aspetto della vita. Era come se nessuno potesse sfuggire allo sguardo inesorabile della Medusa.
Lâunico eroe capace di tagliare la testa della Medusa è Perseo, che vola coi sandali alati, Perseo che non rivolge il suo sguardo sul volto della Gorgone ma solo sulla sua immagine riflessa nello scudo di bronzo. Ecco che Perseo mi viene in soccorso anche in questo momento, mentre mi sentivo giĂ catturare dalla morsa di pietra, come mi succede ogni volta che tento una rievocazione storico-autobiografica. Meglio lasciare che il mio discorso si componga con le immagini della mitologia. Per tagliare la testa di Medusa senza lasciarsi pietrificare, Perseo si sostiene su ciò che vi è di piĂš leggero, i venti e le nuvole; e spinge il suo sguardo su ciò che può rivelarglisi solo in una visione indiretta, in unâimmagine catturata da uno specchio. Subito sento la tentazione di trovare in questo mito unâallegoria del rapporto del poeta col mondo, una lezione del metodo da seguire scrivendo. Ma so che ogni interpretazione impoverisce il mito e lo soffoca: coi miti non bisogna aver fretta; è meglio lasciarli depositare nella memoria, fermarsi a meditare su ogni dettaglio, ragionarci sopra senza uscire dal loro linguaggio di immagini. La lezione che possiamo trarre da un mito sta nella letteralitĂ del racconto, non in ciò che vi aggiungiamo noi dal di fuori.
Il rapporto tra Perseo e la Gorgone è complesso: non finisce con la decapitazione del mostro. Dal sangue della Medusa nasce un cavallo alato, Pegaso; la pesantezza della pietra può essere rovesciata nel suo contrario; con un colpo di zoccolo sul Monte Elicona, Pegaso fa scaturire la fonte da cui bevono le Muse. In alcune versioni del mito, sarĂ Perseo a cavalcare il meraviglioso Pegaso caro alle Muse, nato dal sangue maledetto di Medusa. (Anche i sandali alati, dâaltronde, provenivano dal mondo dei mostri: Perseo li aveva avuti dalle sorelle di Medusa, le Graie dallâunico occhio.) Quanto alla testa mozzata, Perseo non lâabbandona ma la porta con sĂŠ, nascosta in un sacco; quando i nemici stanno per sopraffarlo, basta che egli la mostri sollevandola per la chioma di serpenti, e quella spoglia sanguinosa diventa unâarma invincibile nella mano dellâeroe: unâarma che egli usa solo in casi estremi e solo contro chi merita il castigo di diventare la statua di se stesso. Qui certo il mito vuol dirmi qualcosa, qualcosa che è implicito nelle immagini e che non si può spiegare altrimenti. Perseo riesce a padroneggiare quel volto tremendo tenendolo nascosto, come prima lâaveva vinto guardandolo nello specchio. Ă sempre in un rifiuto della visione diretta che sta la forza di Perseo, ma non in un rifiuto della realtĂ del mondo di mostri in cui gli è toccato di vivere, una realtĂ che egli porta con sĂŠ, che assume come proprio fardello.
Sul rapporto tra Perseo e la Medusa possiamo apprendere qualcosa di piĂš leggendo Ovidio nelle Metamorfosi. Perseo ha vinto una nuova battaglia, ha massacrato a colpi di spada un mostro marino, ha liberato Andromeda. E ora si accinge a fare quello che ognuno di noi farebbe dopo un lavoraccio del genere: va a lavarsi le mani. In questi casi il suo problema è dove posare la testa di Medusa. E qui Ovidio ha dei versi (IV, 740-752) che mi paiono straordinari per spiegare quanta delicatezza dâanimo sia necessaria per essere un Perseo, vincitore di mostri:
ÂŤPerchĂŠ la ruvida sabbia non sciupi la testa anguicrinita (anguiferumque caput dura ne laedat harena), egli rende soffice il terreno con uno strato di foglie, vi stende sopra dei ramoscelli nati sottâacqua e vi depone la testa di Medusa a faccia in giĂš.Âť Mi sembra che la leggerezza di cui Perseo è lâeroe non potrebbe essere meglio rappresentata che da questo gesto di rinfrescante gentilezza verso quellâessere mostruoso e tremendo ma anche in qualche modo deteriorabile, fragile. Ma la cosa piĂš inaspettata è il miracolo che ne segue: i ramoscelli marini a contatto con la Medusa si trasformano in coralli, e le ninfe per adornarsi di coralli accorrono e avvicinano ramoscelli e alghe alla terribile testa.
Anche questo incontro dâimmagini, in cui la sottile grazia del corallo sfiora lâorrore feroce della Gorgone, è cosĂŹ carico di suggestioni che non vorrei sciuparlo tentando commenti o interpretazioni. Quel che posso fare è avvicinare a questi versi dâOvidio quelli dâun poeta moderno, Piccolo testamento di Eugenio Montale, in cui troviamo pure elementi sottilissimi che sono come emblemi della sua poesia (ÂŤtraccia madreperlacea di lumaca / o smeriglio di vetro calpestatoÂť) messi a confronto con uno spaventoso mostro infernale, un Lucifero dalle ali di bitume che cala sulle capitali dellâOccidente. Mai come in questa poesia scritta nel 1953, Montale ha evocato una visione cosĂŹ apocalittica, ma ciò che i suoi versi mettono in primo piano sono quelle minime tracce luminose che egli contrappone alla buia catastrofe (ÂŤConservane la cipria nello specchietto / quando spenta ogni lampada / la sardana si farĂ infernaleâŚÂť). Ma come possiamo sperare di salvarci in ciò che è piĂš fragile? Questa poesia di Montale è una professione di fede nella persistenza di ciò che piĂš sembra destinato a perire, e nei valori morali investiti nelle tracce piĂš tenui: ÂŤil tenue bagliore strofinato / laggiĂš non era quello dâun fiammiferoÂť.
Ecco che per riuscire a parlare della nostra epoca, ho dovuto fare un lungo giro, evocare la fragile Medusa di Ovidio e il bituminoso Lucifero di Montale. Ă difficile per un romanziere rappresentare la sua idea di leggerezza, esemplificata sui casi della vita contemporanea, se non facendone lâoggetto irraggiungibile dâuna quĂŞte senza fine. Ă quanto ha fatto con evidenza e immediatezza Milan Kundera. Il suo romanzo LâInsostenibile Leggerezza dellâEssere è in realtĂ unâamara constatazione dellâIneluttabile Pesantezza del Vivere: non solo della condizione dâoppressione disperata e all-pervading che è toccata in sorte al suo sventurato paese, ma dâuna condizione umana comune anche a noi, pur infinitamente piĂš fortunati. Il peso del vivere per Kundera sta in ogni forma di costrizione: la fitta rete di costrizioni pubbliche e private che finisce per avvolgere ogni esistenza con nodi sempre piĂš stretti. Il suo romanzo ci dimostra come nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile. Forse solo la vivacitĂ e la mobilitĂ dellâintelligenza sfuggono a questa condanna: le qualitĂ con cui è scritto il romanzo, che appartengono a un altro universo da quello del vivere.
Nei momenti in cui il regno dellâumano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nellâirrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con unâaltra ottica, unâaltra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtĂ del presente e del futuroâŚ
Nellâuniverso infinito della letteratura sâaprono sempre altre vie da esplorare, nuovissime o antichissime, stili e forme che possono cambiare la nostra immagine del mondo⌠Ma se la letteratura non basta ad assicurarmi che non sto solo inseguendo dei sogni, cerco nella scienza alimento per le mie visioni in cui ogni pesantezza viene dissoltaâŚ
Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entitĂ sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dallâinizio dei tempiâŚ
Poi, lâinformatica. Ă vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo dâelaborare programmi sempre piĂš complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate dâacciaio, ma come i bits dâun flusso dâinformazione che corre sui circuiti sotto forma dâimpulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso.
Ă legittimo estrapolare dal discorso delle scienze unâimmagine del mondo che corrisponda ai miei desideri? Se lâoperazione che sto tentando mi attrae, è perchĂŠ sento che essa potrebbe riannodarsi a un filo molto antico nella storia della poesia.
Il De rerum natura di Lucrezio è la prima grande opera di poesia in cui la conoscenza del mondo diventa dissoluzione della compattezza del mondo, percezione di ciò che è infinitamente minuto e mobile e leggero. Lucrezio vuole scrivere il poema della materia ma ci avverte subito che la vera realtĂ di questa materia è fatta di corpuscoli invisibili. Ă il poeta della concretezza fisica, vista nella sua sostanza permanente e immutabile, ma per prima cosa ci dice che il vuoto è altrettanto concreto che i corpi solidi. La piĂš grande preoccupazione di Lucrezio sembra quella di evitare che il peso della materia ci schiacci. Al momento di stabilire le rigorose leggi meccaniche che determinano ogni evento, egli sente il bisogno di permettere agli atomi delle deviazioni imprevedibili dalla linea retta, tali da garantire la libertĂ tanto alla materia quanto agli esseri umani. La poesia dellâinvisibile, la poesia delle infinite potenzialitĂ imprevedibili, cosĂŹ come la poesia del nulla nascono da un poeta che non ha dubbi sulla fisicitĂ del mondo.
Questa polverizzazione della realtĂ sâestende anche agli aspetti visibili, ed è lĂ che eccelle la qualitĂ poetica di Lucrezio: i granelli di polvere che turbinano in un raggio di sole in una stanza buia (II, 114-124); le minute conchiglie tutte simili e tutte diverse che lâonda mollemente spinge sulla bibula harena, sulla sabbia che sâimbeve (II, 374-376); le ragnatele che ci avvolgono senza che noi ce ne accorgiamo mentre camminiamo (III, 381-390).
Ho giĂ citato le Metamorfosi dâOvidio, un altro poema enciclopedico (scritto una cinquantina dâanni piĂš tardi di quello di Lucrezio) che parte, anzichĂŠ dalla realtĂ fisica, dalle favole mitologiche. Anche per Ovidio tutto può trasformarsi in nuove forme; anche per Ovidio la conoscenza del mondo è dissoluzione della compattezza del mondo; anche per Ovidio câè una paritĂ essenziale tra tutto ciò che esiste, contro ogni gerarchia di poteri e di valori. Se il mondo di Lucrezio è fatto dâatomi inalterabili, quello dâOvidio è fatto di qualitĂ , dâattributi, di forme che definiscono la diversitĂ dâogni cosa e pianta e animale e persona; ma questi non sono che tenui involucri dâuna sostanza comune che â se agitata da profonda passione â può trasformarsi in quel che vi è di piĂš diverso.
Ă nel seguire la continuitĂ del passaggio da una forma a unâaltra che Ovidio dispiega le sue ineguagliabili doti: quando racconta come una donna sâaccorge che sta trasformandosi in giuggiolo: i piedi le rimangono inchiodati per terra, una corteccia tenera sale a poco a poco e le serra le inguini; fa per strapparsi i capelli e ritrova la mano piena di foglie. O quando racconta delle dita di Aracne, agilissime nellâagglomerare e sfilacciare la lana, nel far girare il fuso, nel muovere lâago da ricamo, e che a un tratto vediamo allungarsi in esili zampe di ragno e mettersi a tessere ragnatele.
Tanto in Lucrezio quanto in Ovidio la leggerezza è un modo di vedere il mondo che si fonda sulla filosofia e sulla scienza: le dottrine di Epicuro per Lucrezio, le dottrine di Pitagora per Ovidio (un Pitagora che, come Ovidio ce lo presenta, somiglia molto a Budda). Ma in entrambi i casi la leggerezza è qualcosa che si crea nella scrittura, con i mezzi linguistici che sono quelli del poeta, indipendentemente dalla dottrina del filosofo che il poeta dichiara di voler seguire.
Da quanto ho detto fin qui mi pare che il concetto di leggerezza cominci a precisarsi; spero innanzitutto dâaver dimostrato che esiste una leggerezza della pensositĂ , cosĂŹ come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza pensosa può f...