Mary Poppins
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Mary Poppins

Pamela Lyndon Travers

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Mary Poppins

Pamela Lyndon Travers

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Über dieses Buch

Ha una borsa prodigiosa, arriva con il vento e fa cose molto, molto strane: è Mary Poppins, la bambinaia più famosa di tutti i tempi. Mary Poppins compare un giorno portata dal vento in Viale dei Ciliegi 17, davanti alla casa più piccola della strada, e accende con le sue trovate e la sua grande borsa le giornate dei piccoli Michael e Jane Banks. Il classico di Pamela Lyndon Travers, reso celebre dalla trasposizione cinematografica del 1964, in una nuova traduzione di Marta Barone e con le illustrazioni originali di Mary Sheperd.

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Information

Verlag
RIZZOLI
Jahr
2018
ISBN
9788858694572

Luna piena

Per tutto il giorno Mary Poppins era stata di fretta, e quando era di fretta era sempre di cattivo umore.
Qualsiasi cosa Jane facesse era sbagliato, qualsiasi cosa Michael facesse era ancora peggio. Era stata brusca persino con i gemelli.
Jane e Michael si tenevano il più possibile lontani da lei, perché sapevano che c’erano volte in cui era meglio non essere visti né sentiti da Mary Poppins.
«Vorrei che fossimo invisibili» si lamentò Michael, quando Mary Poppins gli disse che la sola vista di lui era più di quanto una persona rispettabile potesse sopportare.
«Se andiamo dietro il divano, lo diventeremo» disse Jane. «Possiamo contare i soldi dei nostri salvadanai, e magari lei si sarà calmata quando avrà mangiato.»
E così fecero.
«Sei penny e quattro penny… fa dieci, poi un mezzo penny e una moneta da tre penny» disse Jane, contando rapidamente.
«Quattro penny e tre quarti di penny… e basta» sospirò Michael, facendo un mucchietto delle sue monete.
«Andranno bene per la cassetta dei poveri» disse Mary Poppins, guardando da sopra il bracciolo del divano e arricciando il naso.
«Oh, no» disse Michael in tono di rimprovero. «Sono per me. Sto risparmiando.»
«Uh, per uno di quegli aerioplani, suppongo!» disse Mary Poppins con disprezzo.
«No, per un elefante. Uno tutto per me, come Lizzie allo Zoo. Potrei portartici sopra a fare passeggiate, poi» rispose Michael, un po’ guardandola e un po’ no per capire come l’avrebbe presa.
«Umpf» fece Mary Poppins, «che razza di idea!» Ma si accorsero che non era più furiosa come prima.
«Mi chiedo» disse Michael pensieroso «cosa succede allo Zoo di notte, quando tutti sono andati a casa.»
«Non è bene essere troppo curiosi» scattò Mary Poppins.
«Non ero curioso. Me lo stavo solo chiedendo» la corresse Michael. «Tu lo sai?» domandò a Mary Poppins, che stava togliendo le briciole dal tavolo a tutta velocità.
«Un’altra domanda e pam, ti mando a letto!» disse lei, e cominciò a riordinare la stanza con tanta alacrità che sembrava più un turbine in cuffia e grembiule che un essere umano.
«È inutile farle domande. Lei sa tutto, ma non dice mai niente» osservò Jane.
«A cosa serve sapere le cose se non le racconti a nessuno?» si lamentò Michael, ma sottovoce, perché Mary Poppins non lo sentisse.
Jane e Michael non ricordavano di essere mai stati messi a letto così in fretta come quella sera. Mary Poppins spense la luce molto presto, e uscì con una rapidità tale che pareva sospinta da tutti i venti del mondo.
Sembrò loro che fosse passato pochissimo quando sentirono una voce bassissima sussurrare alla porta.
«Sbrigatevi, Jane e Michael!» disse la voce. «Mettetevi qualcosa addosso e sbrigatevi!»
Saltarono giù dal letto, sorpresi e sbigottiti.
«Andiamo» disse Jane. «Sta succedendo qualcosa.» E cominciò a frugare nel buio alla ricerca dei suoi vestiti.
«Presto!» chiamò ancora la voce.
«Oh, cielo, tutto quello che trovo sono il mio berretto alla marinara e un paio di guanti» disse Michael, correndo in tondo nella stanza, aprendo cassetti e toccando scaffali.
«Andranno bene. Mettili. Non fa freddo. Andiamo.»
Anche Jane era riuscita a trovare soltanto un cappottino di John, ma riuscì a infilarci le braccia e aprì la porta. Non c’era nessuno, ma sembrò loro di udire qualcosa che si precipitava giù per le scale. Jane e Michael lo seguirono. Qualunque cosa fosse, o chiunque fosse, si teneva continuamente davanti a loro. Non lo vedevano mai, ma avevano la netta sensazione di essere guidati da qualcosa che li invitava costantemente a seguirlo. Presto furono nel Viale, le pantofole che facevano un leggero suono sibilante sul marciapiede mentre camminavano veloci.
«Presto!» li incitò di nuovo la voce da un angolo vicino, ma, quando l’ebbero oltrepassato, non riuscirono ancora a vedere nulla. Cominciarono a correre, mano nella mano, seguendo la voce per le strade e per i vicoli, sotto portici e attraverso parchi, finché, ansimanti e senza fiato, si ritrovarono fermi di fronte a una grande porta girevole che si apriva in un muro.
«Eccovi arrivati!» disse la voce.
«Dove?» le gridò Michael. Ma non ci fu risposta. Jane si mosse verso la porta girevole, tirando Michael per la mano.
«Guarda!» disse. «Non vedi dove siamo? È lo Zoo!»
Una luminosissima luna piena scintillava nel cielo, e alla sua luce Michael esaminò il cancello di ferro e guardò attraverso le sbarre. Ma certo! Che stupido era stato a non riconoscere lo Zoo!
«Ma come facciamo a entrare?» chiese. «Non abbiamo soldi.»
«Va bene così!» disse una voce profonda e burbera che proveniva dallo Zoo. «I Visitatori Speciali entrano gratis stanotte. Spingete la porta, prego!»
Jane e Michael la spinsero e furono dall’altra parte in un secondo.
«Ecco il vostro biglietto» disse la voce burbera, e alzando lo sguardo scoprirono che veniva da un enorme Orso Bruno che portava una giacca con bottoni d’ottone e un cappello con la visiera. Nella sua zampa c’erano due biglietti rosa che porse ai bambini.
«Ma di solito noi li diamo, i biglietti» disse Jane.
«Di solito. Stanotte li ricevete» disse l’Orso, con un sorriso.
Michael lo stava guardando da vicino.
«Mi ricordo di te» disse all’Orso. «Una volta ti ho dato una lattina di melassa.»
«Sì» disse l’Orso. «E ti sei dimenticato di togliere il coperchio. Sai che ho passato più di dieci giorni a combattere con quel coperchio? Sta’ più attento in futuro.»
«Ma perché non sei nella tua gabbia? Stai sempre fuori di notte?» chiese Michael.
«No, solo quando il Compleanno cade di luna piena. Ma dovete scusarmi. Devo occuparmi del cancello.» L’Orso si voltò e ricominciò a far girare la manovella della porta girevole.
Jane e Michael, coi biglietti stretti in mano, s’incamminarono nello Zoo. Alla luce della luna piena ogni albero, fiore e arbusto era ben visibile, e potevano vedere le casette e le gabbie molto chiaramente.
«Sembra che ci sia un bel po’ di movimento» osservò Michael.
E in effetti era così. Gli animali correvano in giro per i sentieri, a volte accompagnati da uccelli e a volte da soli. Due lupi li superarono di corsa, parlando concitati a una cicogna altissima che camminava in punta di piedi in mezzo a loro con grazia e delicatezza. Jane e Michael, al loro passaggio, colsero distintamente le parole “Compleanno” e “Luna piena”.
In lontananza tre cammelli passeggiavano fianco a fianco, e non molto distante un castoro e un avvoltoio reale erano immersi nella conversazione. E ai bambini sembrò che discutessero tutti dello stesso argomento.
«Di chi sarà il Compleanno?» disse Michael, ma Jane gli stava camminando davanti, gli occhi fissi su una scena curiosa.
Proprio vicino al recinto dell’elefante un anziano signore molto grosso e molto grasso stava camminando avanti e indietro a quattro zampe, e sulla sua schiena, su due piccoli sedili paralleli, c’erano otto scimmie che lo cavalcavano.
«Ma è tutto alla rovescia!» esclamò Jane.
Il vecchio signore le lanciò un’occhiataccia mentre le passava accanto.
«Alla rovescia!» brontolò. «Io! Alla rovescia! Certo che no. Che insulto volgare!» Le otto scimmie risero sgarbatamente.
«Oh, la prego, non intendevo lei… ma tutta la faccenda» spiegò Jane, correndogli dietro per scusarsi. «Nei giorni normali sono gli animali a portare gli esseri umani e adesso c’è un essere umano che trasporta gli animali. Ecco cosa volevo dire.»
Ma il vecchio signore, trascinandosi e ansimando, insisté che era stato insultato, e se ne andò via in fretta con le scimmie che gli strepitavano sulla schiena.
Jane capì che non era il caso di seguirlo, così prese Michael per mano e andò avanti. Trasalirono quando una voce, quasi ai loro piedi, li chiamò.
«Venite, voi due! Entrate. Ora vogliamo vedere voi che vi tuffate a prendere una buccia d’arancia che non volete.» Era una voce dura e arrabbiata, e abbassando lo sguardo videro che veniva da una piccola Foca nera che li fissava da una vasca illuminata dalla luna.
«Andiamo, su, e vediamo se vi piace!» disse.
«Ma… ma noi non sappiamo nuotare!» disse Michael.
«Non posso farci niente!» disse la Foca. «Avreste dovuto pensarci prima. Nessuno si preoccupa di sapere se io so nuotare o no. Eh, cosa? Cosa c’è?»
L’ultima domanda era rivolta a un’altra Foca che era emersa dall’acqua e le stava sussurrando qualcosa all’orecchio.
«Chi?» disse la prima Foca. «Parla più forte!»
La seconda Foca sussurrò ancora qualcosa. Jane colse le parole “Visitatori Speciali… amici di…” e poi nient’altro. La prima Foca sembrò contrariata, ma disse abbastanza gentilmente a Jane e Michael: «Oh, chiedo scusa. Piacere di conoscervi. Chiedo scusa.» E tese la pinna e strinse mollemente la mano a tutti e due.
«Guarda dove vai, insomma!» gridò poi, mentre qualcosa urtava contro Jane. Jane si voltò in fretta ed ebbe un piccolo sussulto di terrore quando vide un enorme Leone. Gli occhi del Leone brillarono nel vederla.
«Oh!» disse. «Non sapevo che eravate voi. Questo posto è così affollato stanotte e ho così fretta di vedere dar da mangiare agli umani che non guardavo dove stavo andando. Venite? Non dovreste perdervelo, sapete…»
«Forse potrebbe mostrarci la strada» disse Jane educatamente. Non si fidava troppo del Leone, ma sembrava abbastanza gentile. “E poi” pensò, “stanotte è tutto sottosopra.”
«Con pia-ceere!» disse il Leone con voce piuttosto affettata, e le offrì il braccio. Lei lo prese, ma per sicurezza si tenne Michael accanto. Era un bambino così grasso e tondo, e dopotutto, pensava, i leoni sono leoni…
«Sta bene la mia criniera?» chiese il Leone mentre andavano. «Mi sono fatto fare i boccoli per l’occasione.»
Jane la guardò. In effetti era stata unta con cura e pettinata in riccioli.
«Benissimo» disse. «Ma… non è un po’ strano per un leone preoccuparsi di cose simili? Io credevo…»
«Mia cara signorina! Il Leone, come ...

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