Valeria senza veli
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Elisabet Benavent

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  1. 512 Seiten
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Valeria senza veli

Elisabet Benavent

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Über dieses Buch

Dopo "Nei panni di Valeria", "Valeria allo specchio" e "Valeria in bianco e nero", il volume conclusivo della Serie di Valeria di Elisabet Benavent. Quattro amiche, i sogni, le conversazioni, gli amori. Fatti innamorare! L'estate si avvicina, e l'estate, si sa, è la stagione dei nuovi amori, dei sogni da realizzare, degli incontri, ma anche quella degli addii e delle delusioni. L'estate di Valeria e delle sue amiche non fa eccezione: Carmen avrà Gonzalo, ma questa volta non si tratta di un uomo da sedurre, ma del suo primo figlio, di un rapporto destinato a durare per sempre. Lola non si smentisce, invece, ed eccola alle prese con un nuovo flirt, della tipologia più pericolosa: l'amante di turno è anche il suo nuovo capo. E Nerea adesso sembra essere davvero innamorata, di Jorge, giovane e avvenente fotografo. E poi c'è Valeria, che nonostante l'estate e la spensieratezza che dovrebbe portare si trova incastrata tra Bruno, il suo nuovo compagno con cui in fondo va tutto a gonfie vele, e Víctor, che non molla la presa, deciso a riconquistarla. Forse è arrivato il momento di decidere cosa vuoi davvero, Valeria: l'amore romantico, dolce, reso speciale dalla stabilità della vita quotidiana, o una cascata di emozioni a ritmo continuo, che della vita ti fa sentire solo gli alti? L'ultimo episodio della saga di Valeria non ci risparmia scintille e colpi di scena, trascinandoci in compagnia delle nostre quattro amiche madrilene in un nuovo mulinello di passione, erotismo e divertimento… senza veli. Con un finale a sorpresa che ha lo stesso sapore dell'estate più bella della nostra vita.

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Information

Verlag
RIZZOLI
Jahr
2017
ISBN
9788858690161

1

L’inizio della fine

Seconda settimana di gennaio

Entrai in casa di Carmen e la trovai in piedi davanti alla porta. Sembrava un dirigibile, poveraccia. Non che fosse grassa, eh, era soltanto parecchio incinta. Quando la vidi, le sorrisi e lei alzò gli occhi al cielo. L’idea di diventare madre non la metteva affatto di buon umore.
«Come va?» chiesi chiudendomi la porta alle spalle.
«Ti prego, uccidimi ora. Ti basta come risposta?»
«Credo di sì.»
«Dico sul serio: metti fine alle mie sofferenze e chi se ne frega di Borja. Persino lui te ne sarà grato.»
«Non dire stupidaggini. Dai, siediti. Vuoi che ti prenda qualcosa in cucina?»
«Sì, un coltello affilato per sgozzarmi» rispose mentre si lasciava cadere sulla poltrona.
«Carmeeeen» cantilenai.
«Portami un bicchiere d’acqua, per favore. E tu prendi quello che vuoi. Non so nemmeno cosa c’è. E non me ne frega un cazzo.»
Riempii due bicchieri d’acqua e tornai in sala.
Mi lanciò un’occhiata torva. «Non devi più venirmi a trovare. Vederti mi manda in bestia.»
«E perché?» Risi.
«Arrivi qui tutta in tiro, come se uscissi da una rivista di moda.»
«Oh, Carmen, ma che dici?» Risi di nuovo. «Ma se sei splendida. Certo, sei incinta, ma non hai né il viso né le gambe gonfie. Hai una pancia che sembra una mongolfiera, ma perché dentro c’è un bambino.»
«Più mi dite che sono un’adorabile futura mamma, più io mi vedo grassa e informe.»
«Dai, manca poco.» Le accarezzai la pancia.
«Già, da domani ogni momento è buono.»
«Spero che tu non sia l’eccezione a quella regola secondo cui le primipare tardano.»
«Ma mi vuoi far morire?» scherzò prendendo un sorso d’acqua.
«No, è solo che vado a casa di Bruno fino a mercoledì e davvero non vorrei perdermi il gran giorno.»
«Secondo Borja nascerà venerdì prossimo. Mia madre sostiene oggi, ma io non credo.»
«E tu hai partecipato alle scommesse?»
«No, penso soltanto che se nasce venerdì prossimo lo uccido. Sono stufa. Voglio che esca. Gonzalo, adesso esci e lascia che la mamma si riprenda il suo corpo!» disse alla pancia.
«Sei sicura?» ribattei ridendo. «Ti ricordi da dove escono i bambini?»
«Dalla stessa parte da cui entrano, se non sbaglio.» Sorrise.
Carmen si sistemò meglio sulla poltrona, si accarezzò la pancia e, appoggiando i piedi sul tavolino, emise un lungo sospiro. Poveretta. Mi auguravo che l’ultima settimana in versione incubatrice fosse meno pesante.
Rincasai che era ormai buio pesto, nonostante l’orologio segnasse le sette in punto. Faceva freddissimo e aveva iniziato a piovigginare. Speravo non si mettesse a nevicare, non perché non lo trovassi suggestivo, ma perché il giorno dopo, alle sei e venti del mattino, dovevo prendere un aereo e non volevo che ci fossero ritardi per due fiocchi di neve.
Misi la caffettiera sul fuoco, tirai fuori dall’armadio la valigia e iniziai a piegare i vestiti che intendevo portare, compreso il baby-doll super sexy che mi aveva regalato Lola a Natale. Non vedevo l’ora di mostrarlo a Bruno. Be’, in realtà non vedevo l’ora che me lo togliesse, dato che era quasi un mese che non ci vedevamo.
E mentre riflettevo, o meglio fantasticavo, su queste cose suonarono alla porta.
«Sì?» dissi avvicinandomi.
«Val...»
Mi fermai come un gatto che annusa nell’aria un possibile pericolo.
«Val?» ripeté la voce.
Avanzai di due passi e aprii; non c’era ragione di nascondersi o far finta di niente. Sapevo chi c’era dall’altra parte. Víctor, con indosso un bellissimo abito scuro e un cappotto doppiopetto di feltro grigio. Deglutii e abbassai lo sguardo sulle sue scarpe Oxford nere, evitando il verde intenso dei suoi occhi che faceva capolino tra le ciocche di capelli corvini. Sono poche le donne che non cadrebbero ai suoi piedi. Era bello come un dio greco. Mi ricomposi e sorrisi educatamente, anche se non mi faceva affatto piacere vederlo. Ma lui ha sempre avuto questo potere su di me: mi fa sorridere.
«Ciao» disse. «Ti prendo in un brutto momento?»
«No» balbettai. «Entra. Sto facendo la valigia. Ti va un caffè?»
«Sì, grazie.»
«Con latte e due cucchiaini di zucchero, giusto?»
«Giusto.»
Entrai in cucina maledicendo me stessa per aver stabilito con lui di rimanere «amici». Non volevo mettere Lola in difficoltà e desideravo davvero essere una persona civile e adulta. Dopo la nostra chiacchierata di agosto, ci avevo pensato su, sforzandomi di accettare che chiudere la nostra relazione non significava farlo diventare per forza una persona sgradevole.
Cercavamo di comportarci in modo normale, ma di recente Víctor compariva di continuo quando io e Lola ci davamo un appuntamento, come se fosse un caso. Per me la frase «due persone con un rapporto civile» significa salutarsi, darsi due baci sulle guance, chiedere come va e poi dileguarsi senza doversi telefonare o mettersi a urlare come due indemoniati per una relazione che era impossibile da rimettere in piedi. La notte del compleanno di Lola era finita in modo un po’ strano... E io avevo preferito dimenticare quel che era successo dopo che Bruno era andato in albergo.
All’inizio non pensavo che io e Víctor ci saremmo visti di nostra iniziativa senza la presenza di Lola, ma lui aveva preso molto sul serio la faccenda del «rapporto civile». Anche se, a mio parere, e a giudicare dal messaggio che avevo ricevuto dopo il matrimonio di Carmen, c’era sotto qualcosa. So cosa ti ho detto. So che ti ho detto che era l’ultima volta. Ma... ho bisogno di vederti. Ho bisogno di sentire il tuo profumo. Ho bisogno che mi guardi di nuovo come quella notte. Torna, per favore. Torna perché ormai non sento più la tua mancanza. Adesso, semplicemente, ho bisogno di te.
No. Il suo atteggiamento non era affatto chiaro. E adesso, dopo mesi pieni di ambiguità, di incontri «casuali» e di pomeriggi confusi e a volte anche imbarazzanti, eccoci qui a casa mia. Almeno nei mesi precedenti ci eravamo sempre visti in territorio neutrale. Né a casa sua né a casa mia, e non eravamo quasi mai rimasti da soli. Niente che ci potesse ricordare che poco più di un anno prima eravamo una coppia... e dividevamo il letto. E la vita. E un progetto.
Tirai fuori una tazzina per lui e un’altra per me e le posai sul tavolino di quello spazio che mi ostinavo a chiamare «salottino». Sbirciai con la coda dell’occhio Víctor che prendeva da sopra il mio letto una copia del mio secondo romanzo autobiografico e sorrisi nostalgica.
«L’hai letto?» gli chiesi.
«Certo. Sto aspettando il terzo.» E mi rivolse uno sguardo ammiccante.
Immagino si stesse chiedendo se il nostro piccolo segreto sarebbe venuto alla luce alla fine del romanzo successivo o se mi sarei limitata ad andare oltre il catastrofico epilogo del compleanno di Lola.
«Tra non molto lo consegnerò alla casa editrice. È probabile che sia in libreria già a maggio» risposi, fingendo di ignorare la frecciatina.
«Non mi chiedi cosa ne penso di questo?»
«No, voglio evitare possibili situazioni imbarazzanti.» Sorrisi.
«Be’, allora dovresti evitare di lasciare la tua biancheria intima sul letto.»
Presi il baby-doll che mi aveva regalato Lola, un completino di pizzo e un paio di altre cose, appallottolai il tutto e lo ficcai in valigia.
«Che stronzo fortunato» mormorò.
Ci scambiammo uno sguardo. Avevo capito perfettamente quello che aveva detto, ma preferivo far finta di niente e ignorare il suo commento.
«Ecco il caffè.» Indicai la tazza con la testa, sperando si allontanasse dal mio letto.
In due passi raggiunse il tavolino e io lo seguii.
«E dunque... a cosa devo il piacere?»
«Lola mi ha detto che domani parti e, siccome passavo di qui, ho pensato di chiederti se vuoi un passaggio in aeroporto.»
Inarcai un sopracciglio. «Non preoccuparti. Non è il caso.»
«Chiamerai un taxi?»
«Certo.» Sorrisi. «Come tutte le volte in cui parto così presto.»
«Be’, io speravo che... come amici... non esitassi a chiedermi un favore.»
«E lo farò.» Sorrisi di nuovo e mi ravviai i capelli. «Ma questa volta non ne ho bisogno.»
«Be’, come amici, permettimi di semplificarti la vita.»
«Già. Ma è che...»
«A che ora devi essere in aeroporto?»
Mio Dio. Ma cosa avevo fatto per meritare tutto questo? Be’, in realtà lo sapevo benissimo. Lo sapevo io e lo sapeva anche lui. Chi non sapeva niente era Bruno, ed era meglio così. Ecco perché il mio terzo romanzo andava avanti a rilento. C’era soprattutto un capitolo che a seconda del giorno cancellavo o riscrivevo.
Sfoderai il mio miglior sorriso e mandai giù il caffè quasi in un solo sorso. Poi mi appoggiai alla parete e presi fiato per darmi coraggio. Dovevo farlo.
«Víctor...» iniziai.
«Stai per farmi una ramanzina?» chiese con aria innocente.
«È possibile.»
«Hai una faccia da: “Adesso mettiamo in chiaro le cose”.»
«Sono felice che il mio viso sia un libro aperto.» Sorrisi.
Víctor si tolse il cappotto continuando a guardarmi, lo lasciò cadere sullo schienale della poltrona e poi si tolse la giacca, si sbottonò i polsini e arrotolò le maniche della camicia. Ma perché mi rendeva le cose così difficili?
Poi si sistemò i pantaloni e si sedette, guardandomi.
«Coraggio, sputa il rospo.» Prese la sua tazzina di caffè e ne ...

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