Il caso Olivetti
eBook - ePub

Il caso Olivetti

La IBM, la CIA, la Guerra fredda e la misteriosa fine del primo personal computer della storia

Meryle Secrest

Buch teilen
  1. 400 Seiten
  2. Italian
  3. ePUB (handyfreundlich)
  4. Über iOS und Android verfĂŒgbar
eBook - ePub

Il caso Olivetti

La IBM, la CIA, la Guerra fredda e la misteriosa fine del primo personal computer della storia

Meryle Secrest

Angaben zum Buch
Buchvorschau
Inhaltsverzeichnis
Quellenangaben

Über dieses Buch

Quella dell'Olivetti Ăš la storia di un'eccellenza italiana. Nata a inizio Novecento dal genio irrequieto e anticonformista di Camillo, l'azienda Ăš cresciuta all'insegna dell'innovazione, della cura al design e dell'attenzione alle esigenze dei dipendenti. L'impegno umano e professionale del fondatore e di suo figlio Adriano, decisi a coniugare progresso tecnologico e ideale socialista, non si Ăš arrestato nemmeno nel Ventennio fascista; anzi, negli anni seguenti l'azienda ha sviluppato prodotti cosĂŹ belli e funzionali - la Lexikon 80, la Divisumma 24, la Lettera 22 - da essere inseriti nella collezione del MoMA di New York ed entrare nell'immaginario comune quali perfette incarnazioni del made in Italy. Portata ai vertici del settore proprio da Adriano, anche grazie al contributo di suo figlio Roberto e di ingegneri talentuosi come Mario Tchou, la Olivetti Ăš arrivata a far concorrenza ai colossi americani dell'elettronica sviluppando il primo modello di desktop computer: il Programma 101, adottato persino dalla NASA. Poi, il declino. La morte di Adriano nel 1960, quella di Tchou nel 1961 e la chiusura dell'avanguardistico laboratorio di elettronica hanno sempre alimentato sospetti. Ma che cosa accadde davvero il 27 febbraio 1960 sul treno diretto in Svizzera, e l'anno successivo sul cavalcavia della Milano-Torino che conduceva al casello di SanthiĂ ? Attraverso interviste a storici, familiari, ex dirigenti e dipendenti, affiancate da un'attenta analisi dei documenti disponibili, Meryle Secrest ci racconta la fine di un'era e aggiunge un tassello fondamentale alla nostra comprensione dei fatti: il ruolo giocato dagli Stati Uniti e in particolare dalla CIA, anche dietro pressione dell'IBM. In un'avvincente ricostruzione di successi e tragedie, intrighi internazionali e beghe interne, l'autrice ci mette di fronte a una realtĂ  innegabile: nel pieno della Guerra Fredda il progressista Olivetti era considerato una minaccia, e l'ascesa della sua azienda andava fermata con ogni mezzo.

HĂ€ufig gestellte Fragen

Wie kann ich mein Abo kĂŒndigen?
Gehe einfach zum Kontobereich in den Einstellungen und klicke auf „Abo kĂŒndigen“ – ganz einfach. Nachdem du gekĂŒndigt hast, bleibt deine Mitgliedschaft fĂŒr den verbleibenden Abozeitraum, den du bereits bezahlt hast, aktiv. Mehr Informationen hier.
(Wie) Kann ich BĂŒcher herunterladen?
Derzeit stehen all unsere auf MobilgerĂ€te reagierenden ePub-BĂŒcher zum Download ĂŒber die App zur VerfĂŒgung. Die meisten unserer PDFs stehen ebenfalls zum Download bereit; wir arbeiten daran, auch die ĂŒbrigen PDFs zum Download anzubieten, bei denen dies aktuell noch nicht möglich ist. Weitere Informationen hier.
Welcher Unterschied besteht bei den Preisen zwischen den AboplÀnen?
Mit beiden AboplÀnen erhÀltst du vollen Zugang zur Bibliothek und allen Funktionen von Perlego. Die einzigen Unterschiede bestehen im Preis und dem Abozeitraum: Mit dem Jahresabo sparst du auf 12 Monate gerechnet im Vergleich zum Monatsabo rund 30 %.
Was ist Perlego?
Wir sind ein Online-Abodienst fĂŒr LehrbĂŒcher, bei dem du fĂŒr weniger als den Preis eines einzelnen Buches pro Monat Zugang zu einer ganzen Online-Bibliothek erhĂ€ltst. Mit ĂŒber 1 Million BĂŒchern zu ĂŒber 1.000 verschiedenen Themen haben wir bestimmt alles, was du brauchst! Weitere Informationen hier.
UnterstĂŒtzt Perlego Text-zu-Sprache?
Achte auf das Symbol zum Vorlesen in deinem nÀchsten Buch, um zu sehen, ob du es dir auch anhören kannst. Bei diesem Tool wird dir Text laut vorgelesen, wobei der Text beim Vorlesen auch grafisch hervorgehoben wird. Du kannst das Vorlesen jederzeit anhalten, beschleunigen und verlangsamen. Weitere Informationen hier.
Ist Il caso Olivetti als Online-PDF/ePub verfĂŒgbar?
Ja, du hast Zugang zu Il caso Olivetti von Meryle Secrest im PDF- und/oder ePub-Format sowie zu anderen beliebten BĂŒchern aus Technology & Engineering & Science & Technology Biographies. Aus unserem Katalog stehen dir ĂŒber 1 Million BĂŒcher zur VerfĂŒgung.

Information

1

Arance

Come in molte altre parti del mondo, a Ivrea il Carnevale ù la celebrazione annuale di un momento di ribellione, una parentesi di esuberanti eccessi prima della sobrietà della Quaresima. Di norma la festa ù chiamata appunto Storico Carnevale di Ivrea, ma talvolta si fa riferimento anche ad altri elementi, come i berretti frigi o la Battaglia delle arance; entrambi componenti rilevanti di un rito che risale ad almeno mille anni fa. Gli storici ritengono sia nato come celebrazione della fertilità, e al suo interno si possono ancora riconoscere le tracce di quell’antico passato. La festa termina, come sempre ù stato, con l’Abbruciamento degli Scarli, nel quale si danno alle fiamme alcuni arbusti; un rituale che pare rinvii a un’antica credenza: se si voleva una primavera generosa, qualcuno o qualcosa doveva pagare per essa.
La tradizione di indossare berretti frigi, rossi e dalla tipica forma a calza, Ăš nata durante la Rivoluzione francese, a simboleggiare vicinanza e solidarietĂ  con quei moti. Ma nessuno sa davvero quando, o perchĂ©, le arance siano entrate a far parte delle celebrazioni. Il succulento frutto, cosĂŹ legato al sole, non cresce da quelle parti, dove gli inverni tendono a essere rigidi: il profilo di Ivrea si staglia proprio di fronte alle Alpi piemontesi. Eppure una battaglia di qualche tipo fa di certo parte del mito locale, una leggenda innestatasi nella festivitĂ  nel corso del Novecento e che pian piano ne ha preso il controllo. A Ivrea il tempo scorre lento: ciĂČ che altrove si misura in decenni, lĂŹ si calcola in secoli. Stando al racconto tramandato, nel Medioevo il tirannico barone del luogo alzĂČ a tal punto i balzelli che i suoi sudditi stavano quasi per morire di fame. Una sera – in forza dello ius primae noctis, ovvero il presunto diritto del signore ad approfittare di ogni novella sposa – il barone si preparava a giacere con la figlia del mugnaio. Ma anche lei si era preparata all’occasione: al momento giusto, cosĂŹ si racconta, impugnĂČ una lama e gli tagliĂČ con perizia la gola. Poi scoppiĂČ la battaglia, e i militari incaricati di punire gli abitanti furono sconfitti da un affascinante generale, a capo di un esercito piĂč forte. Ivrea era salva, e la bella figlia del mugnaio sarebbe stata celebrata da generazioni di cittadini riconoscenti, per i quali le glorie del passato surclassavano le insidie di un futuro incerto.
Se si passa qualche settimana a Ivrea, si torna a casa carichi di vividi ricordi: l’acqua verde che gorgoglia e vortica nelle chiuse dei canali; la piazza, vuota e silenziosa sotto il sole di mezzogiorno; lo sbattere delle imposte; la nebbia che nasconde le cime dei monti. Una ragazza vestita di bianco che passa in bicicletta, il suo profilo stagliato contro le colline nere; i fiori di plastica al davanzale di una finestra; i graffiti che imbrattano i muri di un hotel abbandonato. Gli anziani che di giorno passeggiano lenti sul lungofiume; gli adolescenti che la notte si ritrovano a chiacchierare e fumare qualche sigaretta, per poi sgattaiolare via silenziosi. Le anatre che si radunano in formazioni libere agli argini del fiume. Le lanterne cigolano e gemono; i pipistrelli che volteggiano sopra i camini. La cittĂ  sembra immobile, come «una barca ritratta su un oceano dipinto».
Una volta all’anno, perĂČ, tutto cambia. Le ringhiere in ferro battuto dei balconi affacciati sulla piazza principale vengono rivestite di protezioni. A colpi di martello, i commercianti sistemano delle assi a salvaguardia delle vetrine dei negozi. I residenti appendono stendardi e bandierine negli stretti vicoli. Arrivano i rifornimenti, le cui scatole si ammassano dappertutto, e l’intera cittĂ  entra in fibrillazione, risvegliata dal torpore o dalla noia. Si ridipingono gli elaborati carri che trasporteranno chi impersonerĂ  le truppe del barone, pronto a fronteggiare, ben protetto da imbottiture ed elmi in ferro, il consueto fuoco di fila di arance verso un finale ormai scontato. Quasi mille figuranti giungono dalle colline lĂŹ attorno e da luoghi ben piĂč distanti, come la Sicilia (pare che i siciliani siano particolarmente richiesti, per via della loro mira infallibile), e presto centinaia di migliaia di spettatori si riverseranno in cittĂ . La scorta di munizioni – cassette di arance disposte lungo i vicoli e allineate sui muretti delle piazze – Ăš quasi illimitata. A festa finita, l’acciottolato delle stradine sarĂ  coperto da una poltiglia arancione che arriverĂ  alle caviglie.
Quando partono i festeggiamenti i carri si avviano scampanellando con maestosa lentezza lungo i vicoli, il ritmo dettato dai tiri di cavalli splendidamente addobbati con coperte, nastri e fiori scarlatti. Le mura risuonano di grida confuse, nitriti e sbuffi, del rumore di passi in corsa, del suono dei pifferi, del rombo dei tamburi e dello squillare delle trombe. I frutti scagliati da ogni dove esplodono contro le finestre, imbrattandole. Per quanto riguarda i costumi, riprendono la stramba logica di quelli indossati dalle guardie svizzere del Vaticano: motivi a strisce e scacchi disegnano macchie di rosso intenso, viola, arancio, blu e verde. Ognuna delle numerose squadre – composte da uomini e alcune donne, con tanto di veterani che affrontano da decenni la pioggia di arance – indossa un’uniforme distintiva.
La vera star dell’evento Ăš la Vezzosa Mugnaia, fasciata in un vestito di lana bianca che le arriva alle caviglie, con una cappa abbinata rifinita in ermellino. Ad accompagnarla c’ù sempre il Generale, in tutto il suo splendore sartoriale: tricorno piumato, giacca nera ornata da fascia e nappe sulle spalline, calzamaglia bianca, stivali neri da equitazione e impeccabili guanti bianchi. Queste due benevole presenze danno valore alla rievocazione, la messa in scena di una vittoria farsesca sulla tirannia, che qualche volta si trasforma in una vera prova di resistenza. Pian piano, con il passare delle ore, i combattenti si ritirano esausti; li si puĂČ vedere appoggiati ai gelidi muri dei palazzi, intenti a pulirsi le guance su cui scorre succo d’arancia e, qualche volta, un rivolo di sangue. È un divertimento, un semplice gioco, ma di tanto in tanto qualcuno rimedia una ferita. Di solito, ha raccontato uno spettatore d’eccezione, un «soldato» puĂČ considerare salvo il proprio onore se si presenta a colazione il giorno successivo con un occhio nero.1
I berretti frigi, per quanto anomali possano sembrare, sono un dettaglio immancabile; simbolo di sfida e solidarietĂ  al tempo stesso, ricordano un cappello simile che rappresenta un’altra componente importante della tradizione piemontese. Se un cittadino dovesse presentarsi per strada a capo scoperto, la sua foto finirebbe pubblicata a testa in giĂč sull’annuario di commemorazione. Quel passo falso gli costerebbe una vera e propria mozione di sfiducia.
Gli eporediesi non hanno dimenticato che la loro città ù stata un tempo prospera, simbolo della superiorità e dell’innovatività del design e della manifattura italiani. Certo, da allora sono passati decenni; adesso si limitano a mettere in scena questa rievocazione storica per il piacere degli spettatori di passaggio. D’altra parte bisogna fare i conti con la realtà. Così, presto o tardi, chi si aggira in macchina per la città si trova di fronte la scultura di una mano gigantesca, che pare fatta in cartapesta e brandisce una palla arancione di proporzioni mostruose. Non c’ù bisogno di spiegazioni: tutti sanno cosa significhi.
L’Olivetti ù l’azienda che ha garantito a Ivrea prosperità e fama internazionale, e non ù un caso che abbia finanziato la rievocazione sin da quando il suo fondatore, Camillo, vi prese parte per la prima volta nel 1880. La sua figura, snella e curata, era fasciata da un abito di velluto bianco, con grandi maniche a sbuffo e un bel cappellino con la piuma.
Lui, proprietario di una piccola ma redditizia compagnia attiva nel campo dell’ingegneria elettrica, era una specie di artista del settore: sfornava macchinari di sua invenzione uno dietro l’altro, e si era presto reso conto che la penna d’oca stava per essere soppiantata da un nuovo strumento pensato per l’ufficio moderno. Aveva costruito una rudimentale macchina da scrivere, poi si era messo a proporla andando di città in città su un carretto trainato da un cavallo, promuovendo le caratteristiche superiori del suo prodotto. Presto ne aveva vendute abbastanza da assumere dei piazzisti. Così ù nata la prima azienda italiana di macchine da scrivere, che da allora ha attraversato diverse trasformazioni.
E, mentre la compagnia prosperava, lo stesso fece il Carnevale. Oltre alla rievocazione, con tutto l’armamentario richiesto, i festeggiamenti comprendevano anche un banchetto cui partecipava l’intera cittĂ ; c’erano balli, montagne di cioccolato e dolcetti, e mazzolini di mimosa che la Vezzosa Mugnaia lanciava alla folla. La moglie di uno degli Olivetti – Gertrud Kiefer Olivetti, che aveva sposato Massimo, figlio di Camillo – fu la prima Mugnaia del dopoguerra; ben infagottata per proteggersi dal freddo, avanzĂČ lungo un percorso illuminato con le torce, perchĂ© nel 1947 a Ivrea non c’era ancora l’energia elettrica. Un nipote di Camillo – David, figlio del suo ultimogenito Dino – incarnĂČ nel 1981 il Generale piĂč affascinante di sempre, avanzando sorridente tra la folla in sella al suo cavallo pezzato. Grazia, che nel 1949 aveva sposato Adriano, il piĂč grande dei tre figli maschi di Camillo, era diventata Mugnaia sei anni dopo il matrimonio, esibendosi nei saluti di rito mentre lanciava caramelle agli spettatori. A tempo debito anche sua figlia Laura, da sempre chiamata Lalla, ne ha seguito le orme.
Ma dietro al chiasso, all’incanto e a tutto ciĂČ che accompagnava la rievocazione della vittoria annuale di una cittĂ  sulla tirannia – combattimenti, parate, sfarzi – si percepisce in particolare la presenza discreta di un membro della famiglia Olivetti: Adriano. Assieme ai fratelli (tre femmine e due maschi), era cresciuto nei verdeggianti sobborghi della cittadina e aveva studiato a lungo in casa prima di continuare il proprio percorso nella scuola pubblica e iscriversi a Ingegneria. Camillo si era convinto che fosse pronto a guidare la societĂ  quando il giovane aveva solo trent’anni.
Il complesso principale della Olivetti, con le Alpi sullo sfondo
Il complesso principale della Olivetti, con le Alpi sullo sfondo
Egli costruĂŹ nuovi successi sui traguardi raggiunti dal padre. Nel 1960 la societĂ  che Camillo aveva avviato grazie a una sola, rudimentale macchina da scrivere si era ormai espansa: fabbriche, uffici ed edifici satellite occupavano oltre cinquantaquattro ettari di terreno. La Olivetti commercializzava cinque modelli di macchine da scrivere, oltre ad addizionatrici specializzate, calcolatrici, telescriventi e altra strumentazione da ufficio. Gli impianti spaziavano da Barcellona a BogotĂ .
Con una mossa ancor piĂč audace, nel 1959 l’azienda aveva aperto la strada al primo elaboratore centrale tutto a transistor, gareggiando testa a testa con la IBM, che nello stesso anno – ma con piĂč tempo a disposizione per lo sviluppo e risorse praticamente illimitate – aveva presentato il proprio modello al mercato. I prodotti della Olivetti, ben progettati e ancor meglio costruiti, venivano venduti in 117 Paesi. La compagnia si era fatta un nome non solo per la capacitĂ  di reggere la concorrenza, ma per qualcosa di piĂč difficile da raggiungere: l’unicitĂ . Gli showroom a Parigi e New York riflettevano quell’eleganza nel design che sarebbe poi stata definita «tocco Olivetti».2 La pubblicitĂ  tipo consisteva spesso «in poche, abili pennellate di un pittore astrattista o in un intrigante motivo geometrico, con la parola “Olivetti” stampata dove la si possa notare senza che disturbi l’immagine» scrisse «Fortune».3 E a volte nemmeno quello: uno dei primi poster pubblicitari mostrava solo una rosa che spuntava da un calamaio.
Ma l’influenza dell’azienda non era solo questione di mercato: nasceva anche da un atteggiamento illuminato verso i lavoratori. La Olivetti pagava salari migliori rispetto alle concorrenti, le giornate erano piĂč corte e lo stesso valeva per l’orario settimanale. La sede era dotata di una biblioteca, un cinema, un centro ricreativo, un’infermeria, mense e bus dedicati. C’erano persino un programma di conferenze e appartamenti a basso costo destinati ai dipendenti. La regola di Camillo era che nessun lavoratore andasse licenziato, al limite lo si poteva assegnare a nuove mansioni. La produttivitĂ  degli stabilimenti era invidiabile, cosĂŹ come la lealtĂ  degli operai: l’azienda era l’orgoglio di Ivrea. E nell’autunno del 1959 la Olivetti si era inserita anche nel mercato americano: Adriano aveva comprato la Underwood, fondata nel 1874 e da molti considerata una compagnia modello nel settore delle moderne macchine da scrivere. Al tempo, quella fu la piĂč grande acquisizione di sempre di un’azienda statunitense da parte di un acquirente straniero; per Adriano significĂČ coronare l’ambizione di una vita.
Adriano Olivetti Ăš spesso descritto come un idealista, un visionario con un profondo senso etico e la sorprendente capacitĂ  di trasformare i propri sogni in realtĂ . Era considerato da molti una leggenda, circondato da un’«aura di superioritĂ  e mistero».4 In realtĂ , di persona non risultava granchĂ© attraente: anche se aveva ereditato i lineamenti fini e le forme armoniose del padre, attorno ai cinquant’anni era ingrassato; i radi capelli che gli erano rimasti apparivano ormai grigi e, a completare il quadro, aveva le guance cadenti. Vestiva spesso in modo formale, il che lo faceva assomigliare a un becchino. O, tutt’al piĂč, a qualcuno che stesse andando a un garden party a Buckingham Palace (gli mancava solo il cilindro). In realtĂ , tutto ciĂČ era surclassato dal fascino della sua personalitĂ . Ogni volta che incontrava un futuro dipendente gli scoccava uno sguardo luminoso, diretto e intenso. Era leggermente strabico, l’occhio destro che puntava un po’ verso il naso, come affrontasse la vita coniugando due punti di vista diversi: uno teso al mondo esteriore e uno all’universo interiore. Eppure quello sguardo strano, quasi inquietante, risultava gentile, persino tenero.
Tutti ne parlavano. Le persone ne erano affascinate senza sapere il perchĂ©, come ipnotizzate. Quando – anzichĂ© menzionare risultati, bilanci e margini di profitto – Adriano descriveva il suo sogno di una societĂ  migliore e magnificava le virtĂč della comunitĂ , l’ascoltatore restava catturato dal suo fervore idealistico. Un uomo che aveva affrontato un colloquio con lui disse: «Mi assunse, eppure non avevo idea di cosa diavolo dovessi fare. Non sembrava importante».5
Di norma, Adriano partecipava attivamente ai tre giorni del Carnevale, che culminavano il sabato nella Battaglia delle arance. Sabato 27 febbraio 1960 l’alba annunciĂČ una giornata luminosa, fredda e pressochĂ© priva di vento: il clima perfetto per i combattimenti di rito.6 Ma Adriano non potĂ© prender parte alla festa: scortato dal suo fedele chauffeur, Luigi Perotti, aveva raggiunto Milano per partecipare a una riunione importante, seguita da un pranzo e da un fine settimana in Svizzera. Stava mettendo a punto gli ultimi dettagli per il lancio delle azioni Olivetti-Underwood, che sarebbero state quotate sulla Borsa di Milano il lunedĂŹ successivo. Era ossessionato dai piani per il futuro della Underwood. Di lĂŹ a una settimana sarebbe partito per ispezionare di persona il frutto della sua conquista, trasformata in un impianto di assemblaggio per i nuovi computer della Olivetti da commercializzare in tutto il mondo. Al solito, il mese precedente si era fermato nella sua spa preferita, a Ischia: a cinquantotto anni era pieno di energie e in perfetta salute, come ha poi sottolineato il fratello Dino.
Franco Ferrarotti – professore, sociologo, scrittore, politico e vecchio amico di Adriano – ha affermato che nel tardo pomeriggio di quello stesso giorno si trovava a Roma, e aveva ricevuto una sua telefonata interurbana: stava per salire sull’espresso Milano-Losanna.
«Sono l’ultima persona che ha parlato con lui» ha raccontato. «Mi ha detto: “Franco, come stai? Io tutto bene, ma sono di fretta. Sto andando in Svizzera per il fine settimana. Preparati: lunedĂŹ 7 marzo si parte per Hartford, in Connecticut”.» Ferrarotti, stupito, chiese il perchĂ©.
«PerchĂ© ora abbiamo il pieno controllo della Underwood» aveva annunciato Adriano, trionfante. «L’azienda ha diciotto linee di prodotti, ma ne terremo solo tre. Ci serviremo della loro distribuzione, che Ăš eccellente. Prenderemo i dieci migliori ingegneri di Ivrea e li porteremo a Hartford. E voglio che tu venga con noi. Tieniti pronto!»7
Quel fatidico giorno l’aveva visto anche Posy, la moglie di suo fratello minore, Dino. «Stavo camminando lungo la strada vicino all’hotel Principe di Savoia, a Milano, e ho incrociato la macchina di Adriano con Perrotti alla guida. L’autista suonĂČ il clacson e Adriano salutĂČ dal finestrino, tutto sorrisi. Non l’avevo mai visto cosĂŹ felice.»8
In realtĂ , non fu Ferrarotti l’ultima persona a parlare con Adriano prima della partenza per quel fatidico viaggio. Qualcuno lo accompagnĂČ infatti alla stazione: Ottorino Beltrami, detto il Comandante (perchĂ© un tempo era stato al comando di un sommergibile), che per dieci anni aveva fatto parte dei vertici aziendali della Olivetti. Solo, non si sa come mai quel giorno il Comandante avrebbe dovuto incontrare Olivetti. CiĂČ che sappiamo Ăš che Adriano prese posto in fondo a un vagone di seconda classe, anzichĂ© in prima come ci si sarebbe aspettato. E sappiamo che il suo umore, trionfale e ottimista fino a poco prima, era cambiato. Si sedette in uno scom...

Inhaltsverzeichnis