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Cittadinanza
Pietro Costa
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Cittadinanza
Pietro Costa
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I diritti e i doveri, le aspettative e le pretese, le modalitĂ di appartenenza e i criteri di differenziazione, le strategie di inclusione ed esclusione che definiscono il rapporto tra l'individuo e lo Stato: il 'discorso della cittadinanza' nella storia dell'Occidente.
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Thema
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Histoire juridique1. Introduzione. Il concetto di âcittadinanzaâ
Lâespressione âcittadinanzaâ, nel linguaggio comune e nel lessico giuridico tradizionale, designa lâappartenenza di un individuo a uno Stato ed evoca principalmente i problemi relativi alla perdita e allâacquisto dello status di cittadino. In tempi recenti, tuttavia, il termine âcittadinanzaâ ha acquisito un significato piĂš ampio, tanto da divenire un termine corrente del âdiscorso pubblicoâ odierno. In questa prospettiva conviene intendere per âcittadinanzaâ il rapporto politico fondamentale, il rapporto fra un individuo e lâordine politico-giuridico nel quale egli si inserisce.
Il termine âcittadinanzaâ, al di lĂ degli impieghi retorici cui esso si è prestato e si presta, serve a colmare una sorta di vuoto lessicale e concettuale, permettendo di tematizzare un profilo decisivo dellâesperienza (il nesso individuo-ordine) per indicare il quale non disponiamo di denominazioni alternative. âCittadinanzaâ è unâespressione utilizzabile per mettere a fuoco il rapporto politico fondamentale e le sue principali articolazioni: le aspettative e le pretese, i diritti e i doveri, le modalitĂ di appartenenza e i criteri di differenziazione, le strategie di inclusione e di esclusione. Studiare questi temi dal punto di vista della âcittadinanzaâ significa assumerli come profili di un oggetto di analisi di cui si intende sottolineare lâunitarietĂ .
Il tema della cittadinanza può essere affrontato da discipline diverse (dal sapere giuridico alla sociologia, alla storia). Per quanto riguarda la storiografia, sono possibili ricerche di carattere lessicologico, volte a ricostruire il âcampo semanticoâ di âcittadinanzaâ in un determinato contesto storico-linguistico, ma sono anche ipotizzabili approcci diversi, interessati a cogliere non giĂ i significati dellâespressione âcittadinanzaâ, ma il problema complessivo da essa adombrato. In questo caso, âcittadinanzaâ è lâoggetto della ricerca solo perchĂŠ ne è, al contempo, lo strumento: lo storico muove da una definizione previa di âcittadinanzaâ (in ipotesi, la ridefinizione prima proposta) e se ne serve per delimitare il campo di indagine. La âcittadinanzaâ (una determinata nozione di cittadinanza) diviene il congegno (il telescopio o il microscopio) impiegato per mettere a fuoco un determinato aspetto della realtĂ : la âcittadinanzaâ appartiene allora allo strumentario linguistico-concettuale dello storico, al suo metalinguaggio, e solo per questa via diviene anche lâoggetto della sua indagine.
La ridefinizione (odierna) del termine âcittadinanzaâ serve in sostanza allo storico per impostare una domanda: per chiedersi cioè in che modo una determinata societĂ abbia impostato e risolto il problema del rapporto fra lâindividuo e lâordine politico-giuridico. Le risposte alla domanda proverranno dallâindagine âsul campoâ e saranno diverse a seconda delle societĂ considerate.
Occorre poi tener presente che il rapporto fra lâindividuo e lâordine può essere studiato da diversi punti di vista, a seconda che lo si esamini nella sua globalitĂ oppure si ponga lâaccento su alcune caratteristiche specifiche (economiche o giuridiche o sociologiche); oppure ancora a seconda che si guardi alla prassi (alla concreta strumentazione del rapporto individuo-ordine) oppure al âdiscorso pubblicoâ, alle rappresentazioni linguistico-concettuali caratteristiche di una determinata societĂ .
In questâultimo caso potremmo parlare di discorso della cittadinanza: intendendo riferirci con questa espressione al discorso sviluppato da una determinata societĂ per rappresentare lâindividuo e il suo rapporto con lâordine.
Il discorso della cittadinanza, in quanto rappresentazione del soggetto e del suo rapporto con lâordine, include come proprio tema obbligato la tematizzazione degli oneri e dei vantaggi che contraddistinguono la condizione dellâindividuo. In questa prospettiva i diritti emergono come strumenti di cui una cultura si serve per attribuire ai soggetti lâuna o lâaltra prerogativa.
Nella sua complessa fenomenologia storica, il discorso della cittadinanza provvede ad attribuire diritti ai soggetti secondo strategie retoriche tanto variabili quanto sono diverse le societĂ e le culture prese in considerazione. Mutano, a seconda dei contesti, tanto i soggetti cui il discorso della cittadinanza attribuisce diritti quanto il fondamento che esso invoca a sostegno della sua attribuzione.
PotrĂ essere volta a volta indicato come fondamento del diritto la natura o la storia, le leggi dello Stato o le consuetudini sociali; un determinato diritto sarĂ volta a volta presentato come un diritto naturale e genericamente umano oppure come un diritto discendente dallâappartenenza alla comunitĂ politica oppure ancora come un diritto statuito dalla decisione sovrana.
Occorre quindi guardarsi dallâidentificare il discorso della cittadinanza con i diritti di cittadinanza: i diritti di cittadinanza infatti (se con questa espressione ci riferiamo a una classe di diritti il cui fondamento rinvii direttamente o indirettamente alla civitas) sono semplicemente una delle molteplici categorie di diritti messe a fuoco dal discorso della cittadinanza nel suo sviluppo storico. Valga a riprova il seguente esempio: il discorso giusnaturalistico della cittadinanza (la rappresentazione giusnaturalistica del soggetto e del suo rapporto con lâordine) svincola i diritti da qualsiasi appartenenza politica per collegarli direttamente al soggetto come tale.
Ă il discorso della cittadinanza nel suo sviluppo storico che mi accingo a presentare concisamente. Ă appena il caso di avvertire che soltanto unâanalisi piĂš ravvicinata dei diversi testi e contesti permetterebbe una ricognizione piĂš articolata di questo complesso itinerario storico-culturale1. Credo però che anche un approccio sintetico, pur con le sue inevitabili semplificazioni, permetta comunque di cogliere il senso e lo spessore di un dibattito di capitale importanza per la cultura politico-giuridica di ieri e di oggi.
Ulteriori letture
R. Dahrendorf, Il conflitto sociale nella modernitĂ . Saggio sulla politica della libertĂ (1988), Laterza, Roma-Bari 1989.
L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, Laterza, Roma-Bari 2001.
G. Zincone, Da sudditi a cittadini, il Mulino, Bologna 1992.
D. Zolo (a cura di), La cittadinanza. Appartenenza, identitĂ , diritti, Laterza, Roma-Bari 1994.
Â
1 Ho tentato questa strada in Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 4 voll., Laterza, Roma-Bari 1999-2001.
2. Il momento della cittĂ
I testi con i quali avremo a che fare, in quanto espressione di diversissime societĂ e culture, ci mettono in contatto con molteplici rappresentazioni dellâindividuo e della comunitĂ politica. Conviene interrogarli formulando la nostra domanda (costruendo il nostro metalinguaggio) senza ricorrere a definizioni troppo rigide e vincolanti, in modo da essere aperti e ricettivi nei confronti di stili di pensiero difficilmente riconducibili agli schemi che ci sono oggi famigliari.
In questa prospettiva, occorre evitare unâacritica identificazione della comunitĂ politica con lo Stato. Lo Stato non è una realtĂ immutabile e perenne, ma appartiene a una precisa congiuntura storica: lo Stato è la forma politica caratteristica della modernitĂ e presuppone la sinergia di elementi ideali e strutturali ignoti allâantica Grecia non meno che allâEuropa medievale.
Quando ci riferiamo al mondo antico o al mondo medievale conviene parlare non giĂ di Stato, ma piĂš semplicemente di cittĂ . Si consideri dâaltronde la stessa etimologia del termine âcittadinanzaâ (in italiano e in molte lingue europee): âcittadinanzaâ non evoca lo Stato, ma la cittĂ ; ed è la cittĂ che, dalla Grecia antica fino alle soglie della modernitĂ , si propone come lâorganizzazione politica per eccellenza.
La città è una forma di convivenza che si pone allâorigine del discorso politico occidentale e continua a proporsi come il suo principale punto di riferimento per un periodo lunghissimo: Cattaneo vedeva nella cittĂ un ÂŤprincipio ideale delle istorie italianeÂť, capace di svilupparsi come forza vivificante in un arco di trenta secoli2. Certo, non ogni città è eguale a ogni altra: e tuttavia Weber, in un suo celebre contributo accolto in Economia e societĂ 3, se pure esclude la possibilitĂ di una definizione unitaria e distingue fra un tipo âorientaleâ e un tipo âoccidentaleâ di cittĂ , non esita comunque a ricondurre la cittĂ antica e la cittĂ medievale a un unico âtipo idealeâ, capace (per via di astrazione) di includerle entrambe.
Siamo di fronte, come è facile intendere, a uno schema che regge solo a patto di mettere in parentesi le macroscopiche differenze che separano mondi cosĂŹ diversi, mentre, a unâanalisi ravvicinata, non solo lâanalogia fra la cittĂ medievale e la cittĂ antica, ma anche la credibilitĂ di un paradigma applicabile unitariamente alla Grecia e a Roma (pur a tacere delle trasformazioni interne a ciascuna di queste realtĂ ) appaiono problematiche.
Qualche residua suggestione cattaneana o weberiana può tuttavia essere accolta quando si guardi alla città (come avviene nel nostro caso) attraverso un doppio filtro: per un verso, mettendo a fuoco la rappresentazione discorsiva della città e del cittadino (piuttosto che la loro fenomenologia sociale e istituzionale), per un altro verso ponendosi in una prospettiva che non si sofferma sul mondo antico come tale, ma privilegia il rapporto fra antichità , età di mezzo e modernità per sorprendere in esso continuità e rotture.
In questa prospettiva, svolge un ruolo seminale Aristotele.
Per Aristotele la città è un microcosmo economicamente autosufficiente e omogeneo. Ă nella cittĂ che i cittadini esercitano la virtĂš ed è in essa e per mezzo di essa che gli individui raggiungono la pienezza umana: solo un essere subumano o sovrumano, un animale o un dio, può far a meno di una dimensione âpoliticaâ.
La città è una comunitĂ unitaria di cui i cittadini sono le componenti attive e partecipi. Certo, Aristotele si sofferma sulla varietĂ degli ordinamenti e delle forme di governo e fa discendere dalla politeĂa, dallâassetto costituzionale proprio di una determinata cittĂ , le modalitĂ della partecipazione politica dei soggetti. In termini piĂš generali, comunque, lâespressione emblematica dellâesser cittadino è la ÂŤpartecipazione alle funzioni di giudice e alle caricheÂť4.
La partecipazione dei cittadini alla vita della città è strettamente egualitaria: la città è una comunitĂ di eguali che ha come scopo la virtĂš5 e lâesercizio di una âvita buonaâ e la misura dellâeguaglianza è data dallâalternanza nei ruoli, dalla disponibilitĂ di ciascuno a comandare e a obbedire volta a volta.
Lâeguaglianza caratteristica della comunitĂ dei cittadini si intreccia però, nel testo aristotelico, con una fitta rete di disuguaglianze. In primo luogo, è estranea ad Aristotele lâidea di una naturale, essenziale eguaglianza di tutti gli esseri umani. Naturali sono piuttosto le disuguaglianze (anche se non necessariamente cosĂŹ rigide come è stato spesso sostenuto); naturale è la collocazione del soggetto entro una rete di poteri che lo definiscono e lo consegnano a un ruolo specifico. Alla dicotomia (fondamentale, per tutto il mondo antico) che oppone il libero allo schiavo si aggiunge la struttura gerarchica della famiglia, che assegna a ciascuna delle sue componenti (il marito, la moglie, il figlio, il servo) una posizione specifica nellâorganigramma del potere.
Ă cittadino dunque, per un verso, solo lâindividuo maschio e adulto, collocato al vertice del microcosmo famigliare, e, per un altro verso, solo lâindividuo che possa esercitare la virtĂš e occuparsi, in condizioni di eguaglianza con gli altri cittadini, della cosa pubblica, proprio perchĂŠ libero da preoccupazioni economiche e da attivitĂ servili, affidate ad altri, schiavi o meteci che siano.
Emerge allora in Aristotele una netta distinzione (direi unâopposizione qualitativa) fra classi diverse di soggetti pur fisicamente coesistenti nello spazio della cittĂ : solo una di queste classi â libera di esercitare la virtĂš in condizioni di eguaglianza â è composta di cittadini, mentre le altre categorie, pur indispensabili per lâautosufficienza economica della pĂłlis, non appartengono in senso proprio alla comunitĂ .
Sullo sfondo di una complicata geografia di disuguaglianze, emerge dunque una precisa contrapposizione fra cittad...