Europa e Islam
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Europa e Islam

Storia di un malinteso

Franco Cardini

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Europa e Islam

Storia di un malinteso

Franco Cardini

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Über dieses Buch

Nonostante crociate e guerricciole, scorrerie di pirati, saccheggi e tratta di schiavi, nonostante Lepanto e l'assedio di Vienna, la verità Ú che con l'Islam abbiamo sempre commerciato bene e avuto, in sostanza, buoni rapporti. In tempi diversi si Ú sovrapposto un malinteso, dagli esiti spaventosi per l'una e l'altra parte. È la tesi originale di Franco Cardini. Mario Baudino, "La Stampa"

Franco Cardini ritesse i fili della memoria e fa piazza pulita di menzogne e pregiudizi. "Il VenerdĂŹ di Repubblica"

Il volume di Franco Cardini Ăš un punto di riferimento ineludibile, un raro lavoro che riesce a sintetizzare in un preciso quadro d'insieme la storia del rapporto fra cristiani e musulmani. "Medioevo"

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Information

Jahr
2015
ISBN
9788858122419

1. Un profeta e tre continenti

Europa e Asia, CristianitĂ  e Islam:
raffronti ed equivoci

Il confronto tra Europa e Islam, comunque lo si voglia impostare, comporta sempre un sentore di contrapposizione: forse perchĂ© si continua a considerarlo – o almeno a implicitamente avvertirlo – come una sorta di continuazione o di ripresa dell’incontro-scontro fra CristianitĂ  e Islam; per quanto Ăš ormai impossibile il riferirsi ancora all’endiadi Christenheit oder Europa, proposta dal Novalis, considerandola appunto come un’endiadi. Il processo di secolarizzazione, connaturato alla ModernitĂ  occidentale, impedisce di continuare a considerar l’Europa non solo come la CristianitĂ , ma anche semplicemente come una CristianitĂ . Tuttavia, almeno da quando il mondo occidentale – a sua volta non piĂč identificabile tout court con l’Europa – segue con preoccupazione crescente il diffondersi dei movimenti islamici impropriamente detti «fondamentalisti» (per quanto non si possa certo identificare per intero l’Islam con i differenti e molteplici volti della galassia «fondamentalista»), si registra in Europa una diffusa tendenza a vedere nell’Islam un almeno potenziale avversario. Tendenza che si potrebbe ritenere nuova: ma che molti europei vivono piuttosto come un revival, un ritorno, il ricorso d’un dĂ©jĂ  vu, la ripresa d’una contrapposizione antica e, per cosĂŹ dire, connaturata a una realtĂ  geostorica e geostrutturale profonda.
Ci sarebbe dunque da chiedersi se il confronto tra Europa e Islam, nella misura in cui Ăš definibile o quanto meno coglibile come una contrapposizione, non sia spesso vissuto da una parte come sinonimo imperfetto di quello tra Occidente e Islam (o tra ModernitĂ  e Islam: il che introdurrebbe un ulteriore elemento di complicazione, implicito nella tendenza a considerare inscindibili Occidente e ModernitĂ ), dall’altra come la prosecuzione di un «confronto-duello» classico e antico, quello tra Europa e Asia, giĂ  intravisto da Eschilo ne I Persiani e interpretato quindi nel De aeribus d’Ippocrate in termini di valori tanto climatico-ambientali quanto politico-istituzionali (le stagioni miti e il governo monarchico renderebbero imbelli gli asiatici, le stagioni piĂč aspre e le istituzioni di libertĂ  attivi e bellicosi gli europei) e nella Politica di Aristotele come esito di una «naturale» differenza d’indole. Ma certo, se ardua e ormai improponibile appare l’endiadi CristianitĂ -Europa, a maggior ragione impossibile sarebbe qualunque riduzione dell’Asia all’Islam o viceversa: non tutta l’Asia Ăš musulmana, com’ù noto, e d’altronde il dar al-Islam, la «terra della fede», si estende ben oltre i limiti del continente asiatico.
A ciĂČ si aggiunga l’«asimmetria» almeno apparente fra i termini stessi di «Europa» e «Islam»: l’uno indica difatti un continente, l’altro una religione. Ma – ed eccoci a una prima chiave concettuale per uscire dal nostro dilemma – osserva al riguardo Bernard Lewis:
L’asimmetria Ăš piĂč apparente che reale. «Europa» Ăš un concetto europeo, cosĂŹ come l’intero sistema geografico dei continenti, fra i quali l’Europa fu il primo. L’Europa ha concepito e fatto l’Europa; l’Europa ha scoperto l’America, le ha dato il nome e in un certo senso l’ha fatta. Secoli prima, l’Europa aveva inventato sia l’Asia che l’Africa, i cui abitanti, fino al XIX secolo – l’era della supremazia mondiale europea – erano del tutto inconsapevoli dei nomi, delle identitĂ  e persino di queste classificazioni inventate dagli europei a loro uso e consumo.
L’Islam non Ăš un luogo; Ăš una religione. Ma per i musulmani la parola «religione» non ha la stessa connotazione che ha per i cristiani o che aveva per i cristiani del medioevo [...]. Per i musulmani l’Islam non Ăš soltanto un sistema di fede e di culto [...] Esso indica piuttosto il complesso della vita e le sue norme comprendono elementi di diritto civile, di diritto penale e persino di quello che noi chiameremmo diritto costituzionale*.
Ma la contrapposizione tra Europa e Asia, al pari di quella tra Occidente e Oriente, conosce uno statuto geostorico e geopolitico di lunga durata che va al di lĂ  della tensione tra l’Europa e l’Islam; per quanto non manchino quanti propongono che in certi periodi – ad esempio nell’etĂ  delle crociate, o in quella dell’egemonia turco-ottomana sul Mediterraneo orientale e sui Balcani – il duello euroasiatico e quello occidentale-orientale abbiano assunto l’aspetto di quello che (con molta inesattezza, almeno a livello simbolico) si usa indicare come il «duello tra la croce e la mezzaluna». Ora, se – al di lĂ  delle indicazioni dei geografi antichi – ci poniamo il problema di come e quando sia nata una coscienza moderna dell’Europa e dell’identitĂ  europea, ci rendiamo conto di quanto e fino a che punto l’Islam ne sia, magari «al negativo», tra i fattori che l’hanno aiutata a definirsi. La reiterata aggressione musulmana all’Europa – tra VII-VIII e X secolo, quindi tra XIV e XVIII secolo –, obiettivamente effettiva o comunque come tale dagli europei interpretata, Ăš stata una «levatrice violenta» d’Europa. E se qualche storico ha (paradossalmente?) salutato dunque il Profeta come «padre fondatore» d’Europa, c’ù da chiedersi se analogo ruolo non sia piĂč tardi spettato anche ai sultani turchi Maometto II e a Solimano il Magnifico che, obbligando il continente a difendersi e a cercare le vie e i modi per un’azione unitaria, lo hanno indotto anche, in prospettiva, a meglio definirsi dinanzi a se stesso e all’«Altro».t

I musulmani oltre il «Maghreb al-Aqsa»

Che l’Europa fosse la sede per eccellenza – se non in esclusiva – della CristianitĂ , era avviso errato forse ma si puĂČ dir concorde degli autori medievali. Con esso, era radicata l’idea che chi non fosse cristiano, se anche dimorasse in territorio europeo, vi si fosse installato da estraneo e da invasore. CosĂŹ l’anonimo chierico toledano che, verso la metĂ  dell’VIII secolo, proseguiva nella sua Continuatio Hispanica le Historiae avviate da Isidoro di Siviglia, salutava come Europenses gli austrasiani vincitori della battaglia di Poitiers del 732 (in realtĂ  combattuta, secondo altri, nel 733). Ma ci si puĂČ chiedere se egli si sentisse a sua volta Europensis in quanto cristiano, o semplicemente nella misura in cui la penisola iberica rientrava nell’Europa secondo i termini geografici romani; o se tale non ritenesse – con rammarico – di poter piĂč dire nemmeno se stesso, da quando gli arabo-berberi invadendo la penisola iberica l’avevano inglobata nel dar al-Islam. Il che postulerebbe, appunto, confini mobili e rigorosa alteritĂ  tra Europa e dar al-Islam; ed escluderebbe la possibilitĂ  di parlare di una «Europa musulmana» quando si volesse alludere ai territori del continente europeo conquistati dall’Islam e insediati da genti giĂ  musulmane o alla nuova fede di recente convertite.
È antiquata e oziosa la discussione se Poitiers abbia arrestato l’invasione musulmana dell’Europa, o sia stata piuttosto il sintomo d’una stanchezza degli invasori, i quali ormai non avevano piĂč lo slancio per procedere troppo oltre: sia perchĂ© ormai il peso di quel fatto d’armi appare del tutto circoscritto, sia perchĂ© Ăš improprio, dinanzi all’espansione dell’Islam nei secoli VII-X, parlare d’invasione. Gli arabi non avrebbero mai potuto disporre, all’interno del loro Ă mbito etno-geografico, di guerrieri tanto numerosi da occupare in pochi decenni un territorio esteso dalle Colonne d’Ercole all’Indo e al Sir Darya nel senso della longitudine e dal Caucaso al Corno d’Africa in quello della latitudine: fin dalle campagne dei califfi immediati successori del Profeta, a partire cioĂš dagli anni Trenta del VII secolo, l’espansione dell’Islam non corrispose mai a una torrenziale, inarrestabile conquista militare – e tanto meno a una Völkerwanderung –, bensĂŹ piuttosto a un processo non sempre coerente e continuo di conquista e di sostanzialmente mai provocata e tanto meno imposta conversione di gruppi afferenti a societĂ  stanche o in crisi – fossero i cristiani monofisiti di Siria e d’Egitto, trattati con durezza dal governo del basileus di Bisanzio, o le genti soggette allo shah sasanide –, desiderose di scrollarsi di dosso vecchie e sclerotiche signorie e di ridefinirsi senza rinnegare il monoteismo abramitico attorno a un catalizzatore nuovo, il verbo della sottomissione a Dio propagandato dal Suo rasĂčl Muhammad; per quanto molti preferissero poi restare invece fedeli al loro credo accettando di pagare per questo la tassa di capitazione (jizya) e l’imposta dovuta dai non-musulmani sulla terra (kharadj) nonchĂ© di venire considerati, in quanto ahl al-Khitab («genti del Libro»), dhimmi – quindi «protetti», ma anche «soggetti» –; e mostrando insomma di ritenere il governo degli infedeli migliore di quello dei correligionari.
Comunque il mito di Poitiers, auspice una suggestiva pagina di Edward Gibbon, ha percorso e contribuito in certo senso a razionalizzare l’intera storia dell’Europa come storia della contrapposizione rispetto all’Islam: senza Poitiers e l’eroismo di Carlo Martello – Ăš stato detto e ripetuto piĂč volte e in vari modi – il nome di Allah sarebbe stato annunziato dai muezzin dall’alto delle torri di Oxford, in quella celebre universitĂ  si sarebbe studiato il Corano e le vicende di tutto il mondo sarebbero state diverse.
Inutile ridimensionare il peso e il ruolo della battaglia di Poitiers: per quanto sia giusto invitare alla prudenza nelle minimalizzazioni e nelle «demitizzazioni», va pur detto che ormai nessuno fra gli specialisti, gli studiosi seri e il pubblico piĂč attento crede piĂč a una sua importanza risolutiva. Il «mito» di quello scontro sopravvive oggi soprattutto come luogo comune massmediale: ma, d’altro canto, non v’ù nulla di piĂč arduo a sradicarsi d’un luogo comune massmediale. Sappiamo bene che Ăš stata la propaganda franca e pontificia a esaltare la vittoria conseguita sulla strada fra Tours e Poitiers, qualche chilometro a nord-est della confluenza della Vienne con la Creuse, per confermare la gloria della nazione «primogenita della Chiesa di Roma». Al tempo stesso, c’era forse l’intenzione di eclissare la fama del basileus Leone III Isaurico, che nel 718 aveva obbligato i musulmani ad abbandonare l’assedio posto l’anno precedente a Costantinopoli e che avrebbe validamente contrastato il loro potere sui mari mantenendo il controllo di Mar Nero, Egeo e Mediterraneo centrale fino a dissuaderli per molto tempo dal compiere ulteriori tentativi di penetrare nella penisola anatolica. Ma i fedeli della Chiesa latina non potevano certo onorare Leone III, un iconoclasta; piĂč tardi gli si sarebbe rimproverata anche l’appartenenza a quella civiltĂ  bizantina che un tenace pregiudizio occidentale ha indotto per lungo tempo a descrivere come vile, decadente, degenerata. Quel che il mito di Poitiers ha contribuito a dissimulare a noi moderni Ăš piuttosto, se non proprio il silenzio, le scarse e poco precise voci delle fonti europee coeve rispetto all’Islam. È noto d’altronde che il periodo corrispondente alla grande esplosione delle conquiste musulmane fu anche un lungo momento di forte depressione del mondo euroccidentale: silenzio o notizie inadeguate sono pertanto dovuti anzitutto a disinformazione e a ignoranza. Tuttavia, vero Ăš anche che nel clima di allora riusciva forse difficile, e tutto sommato inutile, distinguere i musulmani da altri invasori o incursori: nĂ© avrebbe avuto senso attribuire loro importanza e significato particolari. È stato scritto che quella dell’impero romano d’Occidente, nella seconda metĂ  del V secolo, era stata una «caduta senza rumore»; probabilmente, per l’Europa almeno dell’VIII secolo anche l’avanzata islamica fu, del pari, senza rumore. O meglio, il suo rumore si confondeva con altri. Al confronto, ad esempio, di Poitiers parlano di piĂč le fonti musulmane, che conoscono l’episodio come «BalĂ t al-Shuadà’», la «Strada dei Martiri», e gli attribuiscono una sia pur mediocre importanza.
Non ci si puĂČ certo meravigliare di quel che accadde nel depresso e sottosviluppato Occidente europeo, dal momento che le stesse ben piĂč avvertite fonti bizantine si accorsero relativamente tardi che i musulmani non erano barbaroi come gli altri; nĂ© si resero subito conto dell’importanza dell’Islam come nuova fede.
E attraverso Bisanzio giunge all’Europa altomedievale un dono inatteso e sconvolgente. Una parola magica: Sarraceni, poi corretto e nobilitato in Saraceni e con una forma molto inesatta di lectio facilior interpretato come «figli di Sara». Il termine era improprio, giacchĂ© serviva a indicare originariamente un popolo le asserite origini del quale stavano nell’Arabia felix, collegandolo con la progenie uscita secondo il racconto del Genesi dall’unione di Abramo non giĂ  con la consorte legittima Sara, bensĂŹ con l’ancella egiziana Agar. Ora, se la tradizione consolidata considerava le genti del deserto come figlie del Patriarca e della schiava – quindi sorellastre bastarde del popolo d’Israele attraverso il figlio, quell’Ismaele da quei due generato (da cui il nome di Ismailitae) –, il termine che sarebbe stato per loro piĂč appropriato, e che difatti Ăš autorevolmente e ordinariamente attestato, Ăš semmai Agareni. Ma che la parola Saraceni derivi da Sara Ăš forse spiegazione pseudoetimologica a posteriori, sulla base della semiomofonia e del fraintendimento d’una voce derivata dall’arabo o dal siriaco. Essa Ăš stata avvicinata ad alcune parole arabe: Ăš improbabile che derivi da sharq, «Oriente», dal momento che la prima ondata musulmana che investĂŹ la Siria veniva semmai da sud – a meno che il termine non abbia origine egiziana –, mentre molto suggestivo sarebbe il rapporto che la collega al vento del deserto Sharuq (da non confondersi con Sharqiyya, lo Scirocco). Altri hanno tenuto invece d’occhio il carattere di moltitudine che gli scorridori del deserto presentavano, o la loro caratteristica di associarsi fra tribĂč per compiere i loro raids: e hanno chiamato in causa i concetti di shark, «gente riunita», o di sharika, «società», «compagnia». È stato proposto altresĂŹ che i saraceni siano stati chiamati cosĂŹ dai sedentari che erano i loro antagonisti e non di rado le loro vittime in rapporto al concetto di sarq («rapina», «furto») e al verbo saraq («rubare»), da cui i concetti analoghi di sĂąriq, «ladro», e di sarrĂąq, «rapinatore», borsaiolo».
Quelli che i testi definiscono Ismailitae, o Agareni, o Sarraceni, si affacciano presto alla ribalta delle nostre fonti. Troppo poco sappiamo dell’accusa mossa a papa Martino I (649-653) di aver cercato contatti con i saraceni per contrastare il basileus Costante II e il suo monotelismo: si trattava comunque dei primi assaggi islamici di conquista del Mediterraneo, che in quegli anni preoccupavano Bisanzio. Certo Ăš che, alla fine del VII secolo e ai primi dell’VIII, quella congerie di genti eredi nella sostanza della tradizione ricevuta dalla Pars occidentis dell’impero romano, scaturita alla fine del IV secolo dalla sistemazione teodosiana, cui si erano aggiunti gli apporti «barbarici» e le monarchie che ne erano nate – insomma, gli «europei occidentali», come giĂ  possiamo chiamarli –, non disponeva di strumenti in grado di prepararla al fatto che, di lĂŹ a pochi decenni, anche sulle sue coste e nei mari ad esse prospicienti si sarebbe abbattuta la tempesta saracena.
Ma l’avventura della conquista islamica del Mediterraneo era giĂ  cominciata. Dopo che la Siria e la Palestina erano state invase dagli arabi tra 633 e 640 e l’Egitto tra 639 e 646, i marinai siriaci ed egiziani avevano abbracciato la nuova fede o si erano comunque messi presumibilmente non senza piacere – loro, cristiani in maggioranza monofisiti e quindi perseguitati e discriminati dall’amministrazione imperiale bizantina – al servizio dei seguaci del Profeta. Nel 649 un capo destinato al califfato, il governatore di Siria Muhawyya ibn Abu Sufyan – cugino del califfo Othman e futuro fondatore della dinastia califfale umayyade –, attaccĂČ Cipro; nel 652 si verificĂČ giĂ  qualche modesta scorreria in Sicilia, appartenente ancora all’area dominata da Bisanzio; tre anni dopo, una grande battaglia navale non lontano ...

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