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Europa e Islam
Storia di un malinteso
Franco Cardini
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Europa e Islam
Storia di un malinteso
Franco Cardini
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Nonostante crociate e guerricciole, scorrerie di pirati, saccheggi e tratta di schiavi, nonostante Lepanto e l'assedio di Vienna, la veritĂ Ăš che con l'Islam abbiamo sempre commerciato bene e avuto, in sostanza, buoni rapporti. In tempi diversi si Ăš sovrapposto un malinteso, dagli esiti spaventosi per l'una e l'altra parte. Ă la tesi originale di Franco Cardini. Mario Baudino, "La Stampa"
Franco Cardini ritesse i fili della memoria e fa piazza pulita di menzogne e pregiudizi. "Il VenerdĂŹ di Repubblica"
Il volume di Franco Cardini Ăš un punto di riferimento ineludibile, un raro lavoro che riesce a sintetizzare in un preciso quadro d'insieme la storia del rapporto fra cristiani e musulmani. "Medioevo"
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Information
Thema
Storia1. Un profeta e tre continenti
Europa e Asia, CristianitĂ e Islam:
raffronti ed equivoci
Il confronto tra Europa e Islam, comunque lo si voglia impostare, comporta sempre un sentore di contrapposizione: forse perchĂ© si continua a considerarlo â o almeno a implicitamente avvertirlo â come una sorta di continuazione o di ripresa dellâincontro-scontro fra CristianitĂ e Islam; per quanto Ăš ormai impossibile il riferirsi ancora allâendiadi Christenheit oder Europa, proposta dal Novalis, considerandola appunto come unâendiadi. Il processo di secolarizzazione, connaturato alla ModernitĂ occidentale, impedisce di continuare a considerar lâEuropa non solo come la CristianitĂ , ma anche semplicemente come una CristianitĂ . Tuttavia, almeno da quando il mondo occidentale â a sua volta non piĂč identificabile tout court con lâEuropa â segue con preoccupazione crescente il diffondersi dei movimenti islamici impropriamente detti «fondamentalisti» (per quanto non si possa certo identificare per intero lâIslam con i differenti e molteplici volti della galassia «fondamentalista»), si registra in Europa una diffusa tendenza a vedere nellâIslam un almeno potenziale avversario. Tendenza che si potrebbe ritenere nuova: ma che molti europei vivono piuttosto come un revival, un ritorno, il ricorso dâun dĂ©jĂ vu, la ripresa dâuna contrapposizione antica e, per cosĂŹ dire, connaturata a una realtĂ geostorica e geostrutturale profonda.
Ci sarebbe dunque da chiedersi se il confronto tra Europa e Islam, nella misura in cui Ăš definibile o quanto meno coglibile come una contrapposizione, non sia spesso vissuto da una parte come sinonimo imperfetto di quello tra Occidente e Islam (o tra ModernitĂ e Islam: il che introdurrebbe un ulteriore elemento di complicazione, implicito nella tendenza a considerare inscindibili Occidente e ModernitĂ ), dallâaltra come la prosecuzione di un «confronto-duello» classico e antico, quello tra Europa e Asia, giĂ intravisto da Eschilo ne I Persiani e interpretato quindi nel De aeribus dâIppocrate in termini di valori tanto climatico-ambientali quanto politico-istituzionali (le stagioni miti e il governo monarchico renderebbero imbelli gli asiatici, le stagioni piĂč aspre e le istituzioni di libertĂ attivi e bellicosi gli europei) e nella Politica di Aristotele come esito di una «naturale» differenza dâindole. Ma certo, se ardua e ormai improponibile appare lâendiadi CristianitĂ -Europa, a maggior ragione impossibile sarebbe qualunque riduzione dellâAsia allâIslam o viceversa: non tutta lâAsia Ăš musulmana, comâĂš noto, e dâaltronde il dar al-Islam, la «terra della fede», si estende ben oltre i limiti del continente asiatico.
A ciĂČ si aggiunga lâ«asimmetria» almeno apparente fra i termini stessi di «Europa» e «Islam»: lâuno indica difatti un continente, lâaltro una religione. Ma â ed eccoci a una prima chiave concettuale per uscire dal nostro dilemma â osserva al riguardo Bernard Lewis:
Lâasimmetria Ăš piĂč apparente che reale. «Europa» Ăš un concetto europeo, cosĂŹ come lâintero sistema geografico dei continenti, fra i quali lâEuropa fu il primo. LâEuropa ha concepito e fatto lâEuropa; lâEuropa ha scoperto lâAmerica, le ha dato il nome e in un certo senso lâha fatta. Secoli prima, lâEuropa aveva inventato sia lâAsia che lâAfrica, i cui abitanti, fino al XIX secolo â lâera della supremazia mondiale europea â erano del tutto inconsapevoli dei nomi, delle identitĂ e persino di queste classificazioni inventate dagli europei a loro uso e consumo.
LâIslam non Ăš un luogo; Ăš una religione. Ma per i musulmani la parola «religione» non ha la stessa connotazione che ha per i cristiani o che aveva per i cristiani del medioevo [...]. Per i musulmani lâIslam non Ăš soltanto un sistema di fede e di culto [...] Esso indica piuttosto il complesso della vita e le sue norme comprendono elementi di diritto civile, di diritto penale e persino di quello che noi chiameremmo diritto costituzionale*.
Ma la contrapposizione tra Europa e Asia, al pari di quella tra Occidente e Oriente, conosce uno statuto geostorico e geopolitico di lunga durata che va al di lĂ della tensione tra lâEuropa e lâIslam; per quanto non manchino quanti propongono che in certi periodi â ad esempio nellâetĂ delle crociate, o in quella dellâegemonia turco-ottomana sul Mediterraneo orientale e sui Balcani â il duello euroasiatico e quello occidentale-orientale abbiano assunto lâaspetto di quello che (con molta inesattezza, almeno a livello simbolico) si usa indicare come il «duello tra la croce e la mezzaluna». Ora, se â al di lĂ delle indicazioni dei geografi antichi â ci poniamo il problema di come e quando sia nata una coscienza moderna dellâEuropa e dellâidentitĂ europea, ci rendiamo conto di quanto e fino a che punto lâIslam ne sia, magari «al negativo», tra i fattori che lâhanno aiutata a definirsi. La reiterata aggressione musulmana allâEuropa â tra VII-VIII e X secolo, quindi tra XIV e XVIII secolo â, obiettivamente effettiva o comunque come tale dagli europei interpretata, Ăš stata una «levatrice violenta» dâEuropa. E se qualche storico ha (paradossalmente?) salutato dunque il Profeta come «padre fondatore» dâEuropa, câĂš da chiedersi se analogo ruolo non sia piĂč tardi spettato anche ai sultani turchi Maometto II e a Solimano il Magnifico che, obbligando il continente a difendersi e a cercare le vie e i modi per unâazione unitaria, lo hanno indotto anche, in prospettiva, a meglio definirsi dinanzi a se stesso e allâ«Altro».t
I musulmani oltre il «Maghreb al-Aqsa»
Che lâEuropa fosse la sede per eccellenza â se non in esclusiva â della CristianitĂ , era avviso errato forse ma si puĂČ dir concorde degli autori medievali. Con esso, era radicata lâidea che chi non fosse cristiano, se anche dimorasse in territorio europeo, vi si fosse installato da estraneo e da invasore. CosĂŹ lâanonimo chierico toledano che, verso la metĂ dellâVIII secolo, proseguiva nella sua Continuatio Hispanica le Historiae avviate da Isidoro di Siviglia, salutava come Europenses gli austrasiani vincitori della battaglia di Poitiers del 732 (in realtĂ combattuta, secondo altri, nel 733). Ma ci si puĂČ chiedere se egli si sentisse a sua volta Europensis in quanto cristiano, o semplicemente nella misura in cui la penisola iberica rientrava nellâEuropa secondo i termini geografici romani; o se tale non ritenesse â con rammarico â di poter piĂč dire nemmeno se stesso, da quando gli arabo-berberi invadendo la penisola iberica lâavevano inglobata nel dar al-Islam. Il che postulerebbe, appunto, confini mobili e rigorosa alteritĂ tra Europa e dar al-Islam; ed escluderebbe la possibilitĂ di parlare di una «Europa musulmana» quando si volesse alludere ai territori del continente europeo conquistati dallâIslam e insediati da genti giĂ musulmane o alla nuova fede di recente convertite.
Ă antiquata e oziosa la discussione se Poitiers abbia arrestato lâinvasione musulmana dellâEuropa, o sia stata piuttosto il sintomo dâuna stanchezza degli invasori, i quali ormai non avevano piĂč lo slancio per procedere troppo oltre: sia perchĂ© ormai il peso di quel fatto dâarmi appare del tutto circoscritto, sia perchĂ© Ăš improprio, dinanzi allâespansione dellâIslam nei secoli VII-X, parlare dâinvasione. Gli arabi non avrebbero mai potuto disporre, allâinterno del loro Ă mbito etno-geografico, di guerrieri tanto numerosi da occupare in pochi decenni un territorio esteso dalle Colonne dâErcole allâIndo e al Sir Darya nel senso della longitudine e dal Caucaso al Corno dâAfrica in quello della latitudine: fin dalle campagne dei califfi immediati successori del Profeta, a partire cioĂš dagli anni Trenta del VII secolo, lâespansione dellâIslam non corrispose mai a una torrenziale, inarrestabile conquista militare â e tanto meno a una Völkerwanderung â, bensĂŹ piuttosto a un processo non sempre coerente e continuo di conquista e di sostanzialmente mai provocata e tanto meno imposta conversione di gruppi afferenti a societĂ stanche o in crisi â fossero i cristiani monofisiti di Siria e dâEgitto, trattati con durezza dal governo del basileus di Bisanzio, o le genti soggette allo shah sasanide â, desiderose di scrollarsi di dosso vecchie e sclerotiche signorie e di ridefinirsi senza rinnegare il monoteismo abramitico attorno a un catalizzatore nuovo, il verbo della sottomissione a Dio propagandato dal Suo rasĂčl Muhammad; per quanto molti preferissero poi restare invece fedeli al loro credo accettando di pagare per questo la tassa di capitazione (jizya) e lâimposta dovuta dai non-musulmani sulla terra (kharadj) nonchĂ© di venire considerati, in quanto ahl al-Khitab («genti del Libro»), dhimmi â quindi «protetti», ma anche «soggetti» â; e mostrando insomma di ritenere il governo degli infedeli migliore di quello dei correligionari.
Comunque il mito di Poitiers, auspice una suggestiva pagina di Edward Gibbon, ha percorso e contribuito in certo senso a razionalizzare lâintera storia dellâEuropa come storia della contrapposizione rispetto allâIslam: senza Poitiers e lâeroismo di Carlo Martello â Ăš stato detto e ripetuto piĂč volte e in vari modi â il nome di Allah sarebbe stato annunziato dai muezzin dallâalto delle torri di Oxford, in quella celebre universitĂ si sarebbe studiato il Corano e le vicende di tutto il mondo sarebbero state diverse.
Inutile ridimensionare il peso e il ruolo della battaglia di Poitiers: per quanto sia giusto invitare alla prudenza nelle minimalizzazioni e nelle «demitizzazioni», va pur detto che ormai nessuno fra gli specialisti, gli studiosi seri e il pubblico piĂč attento crede piĂč a una sua importanza risolutiva. Il «mito» di quello scontro sopravvive oggi soprattutto come luogo comune massmediale: ma, dâaltro canto, non vâĂš nulla di piĂč arduo a sradicarsi dâun luogo comune massmediale. Sappiamo bene che Ăš stata la propaganda franca e pontificia a esaltare la vittoria conseguita sulla strada fra Tours e Poitiers, qualche chilometro a nord-est della confluenza della Vienne con la Creuse, per confermare la gloria della nazione «primogenita della Chiesa di Roma». Al tempo stesso, câera forse lâintenzione di eclissare la fama del basileus Leone III Isaurico, che nel 718 aveva obbligato i musulmani ad abbandonare lâassedio posto lâanno precedente a Costantinopoli e che avrebbe validamente contrastato il loro potere sui mari mantenendo il controllo di Mar Nero, Egeo e Mediterraneo centrale fino a dissuaderli per molto tempo dal compiere ulteriori tentativi di penetrare nella penisola anatolica. Ma i fedeli della Chiesa latina non potevano certo onorare Leone III, un iconoclasta; piĂč tardi gli si sarebbe rimproverata anche lâappartenenza a quella civiltĂ bizantina che un tenace pregiudizio occidentale ha indotto per lungo tempo a descrivere come vile, decadente, degenerata. Quel che il mito di Poitiers ha contribuito a dissimulare a noi moderni Ăš piuttosto, se non proprio il silenzio, le scarse e poco precise voci delle fonti europee coeve rispetto allâIslam. Ă noto dâaltronde che il periodo corrispondente alla grande esplosione delle conquiste musulmane fu anche un lungo momento di forte depressione del mondo euroccidentale: silenzio o notizie inadeguate sono pertanto dovuti anzitutto a disinformazione e a ignoranza. Tuttavia, vero Ăš anche che nel clima di allora riusciva forse difficile, e tutto sommato inutile, distinguere i musulmani da altri invasori o incursori: nĂ© avrebbe avuto senso attribuire loro importanza e significato particolari. Ă stato scritto che quella dellâimpero romano dâOccidente, nella seconda metĂ del V secolo, era stata una «caduta senza rumore»; probabilmente, per lâEuropa almeno dellâVIII secolo anche lâavanzata islamica fu, del pari, senza rumore. O meglio, il suo rumore si confondeva con altri. Al confronto, ad esempio, di Poitiers parlano di piĂč le fonti musulmane, che conoscono lâepisodio come «BalĂ t al-ShuadĂ â», la «Strada dei Martiri», e gli attribuiscono una sia pur mediocre importanza.
Non ci si puĂČ certo meravigliare di quel che accadde nel depresso e sottosviluppato Occidente europeo, dal momento che le stesse ben piĂč avvertite fonti bizantine si accorsero relativamente tardi che i musulmani non erano barbaroi come gli altri; nĂ© si resero subito conto dellâimportanza dellâIslam come nuova fede.
E attraverso Bisanzio giunge allâEuropa altomedievale un dono inatteso e sconvolgente. Una parola magica: Sarraceni, poi corretto e nobilitato in Saraceni e con una forma molto inesatta di lectio facilior interpretato come «figli di Sara». Il termine era improprio, giacchĂ© serviva a indicare originariamente un popolo le asserite origini del quale stavano nellâArabia felix, collegandolo con la progenie uscita secondo il racconto del Genesi dallâunione di Abramo non giĂ con la consorte legittima Sara, bensĂŹ con lâancella egiziana Agar. Ora, se la tradizione consolidata considerava le genti del deserto come figlie del Patriarca e della schiava â quindi sorellastre bastarde del popolo dâIsraele attraverso il figlio, quellâIsmaele da quei due generato (da cui il nome di Ismailitae) â, il termine che sarebbe stato per loro piĂč appropriato, e che difatti Ăš autorevolmente e ordinariamente attestato, Ăš semmai Agareni. Ma che la parola Saraceni derivi da Sara Ăš forse spiegazione pseudoetimologica a posteriori, sulla base della semiomofonia e del fraintendimento dâuna voce derivata dallâarabo o dal siriaco. Essa Ăš stata avvicinata ad alcune parole arabe: Ăš improbabile che derivi da sharq, «Oriente», dal momento che la prima ondata musulmana che investĂŹ la Siria veniva semmai da sud â a meno che il termine non abbia origine egiziana â, mentre molto suggestivo sarebbe il rapporto che la collega al vento del deserto Sharuq (da non confondersi con Sharqiyya, lo Scirocco). Altri hanno tenuto invece dâocchio il carattere di moltitudine che gli scorridori del deserto presentavano, o la loro caratteristica di associarsi fra tribĂč per compiere i loro raids: e hanno chiamato in causa i concetti di shark, «gente riunita», o di sharika, «società », «compagnia». Ă stato proposto altresĂŹ che i saraceni siano stati chiamati cosĂŹ dai sedentari che erano i loro antagonisti e non di rado le loro vittime in rapporto al concetto di sarq («rapina», «furto») e al verbo saraq («rubare»), da cui i concetti analoghi di sĂąriq, «ladro», e di sarrĂąq, «rapinatore», borsaiolo».
Quelli che i testi definiscono Ismailitae, o Agareni, o Sarraceni, si affacciano presto alla ribalta delle nostre fonti. Troppo poco sappiamo dellâaccusa mossa a papa Martino I (649-653) di aver cercato contatti con i saraceni per contrastare il basileus Costante II e il suo monotelismo: si trattava comunque dei primi assaggi islamici di conquista del Mediterraneo, che in quegli anni preoccupavano Bisanzio. Certo Ăš che, alla fine del VII secolo e ai primi dellâVIII, quella congerie di genti eredi nella sostanza della tradizione ricevuta dalla Pars occidentis dellâimpero romano, scaturita alla fine del IV secolo dalla sistemazione teodosiana, cui si erano aggiunti gli apporti «barbarici» e le monarchie che ne erano nate â insomma, gli «europei occidentali», come giĂ possiamo chiamarli â, non disponeva di strumenti in grado di prepararla al fatto che, di lĂŹ a pochi decenni, anche sulle sue coste e nei mari ad esse prospicienti si sarebbe abbattuta la tempesta saracena.
Ma lâavventura della conquista islamica del Mediterraneo era giĂ cominciata. Dopo che la Siria e la Palestina erano state invase dagli arabi tra 633 e 640 e lâEgitto tra 639 e 646, i marinai siriaci ed egiziani avevano abbracciato la nuova fede o si erano comunque messi presumibilmente non senza piacere â loro, cristiani in maggioranza monofisiti e quindi perseguitati e discriminati dallâamministrazione imperiale bizantina â al servizio dei seguaci del Profeta. Nel 649 un capo destinato al califfato, il governatore di Siria Muhawyya ibn Abu Sufyan â cugino del califfo Othman e futuro fondatore della dinastia califfale umayyade â, attaccĂČ Cipro; nel 652 si verificĂČ giĂ qualche modesta scorreria in Sicilia, appartenente ancora allâarea dominata da Bisanzio; tre anni dopo, una grande battaglia navale non lontano ...