La legge della fiducia
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La legge della fiducia

Alle radici del diritto

Tommaso Greco

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La legge della fiducia

Alle radici del diritto

Tommaso Greco

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Gli uomini sono tutti 'rei', ovvero malvagi e dediti alla sopraffazione e al proprio interesse? È sempre e comunque indispensabile pensare al diritto come strumento di coercizione e di pena per reprimere queste tendenze innate? Oppure il diritto mette necessariamente in gioco anche le nostre risorse relazionali: la solidarietà e la cooperazione, in altre parole la fiducia reciproca? Riscoprire lo spazio della fiducia nel diritto non è solo un modo per mettere in primo piano la responsabilità di chi agisce e di chi fa cultura giuridica, ma è anche l'unica via per riportare al centro del nostro discorso giuridico le qualità migliori di cui siamo in possesso.

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Information

Jahr
2021
ISBN
9788858147108

1.
Fiducia vs diritto?

1. Non solo chi abbia un minimo di dimestichezza con la riflessione giuridica, ma anche il semplice cittadino sa bene – o percepisce più o meno chiaramente – che il diritto alberga saldamente dalle parti della sfiducia ed è lì che affonda le sue radici. È più di una sensazione quella che «accompagna la nostra coscienza del vivere sociale»1, in base alla quale il diritto ha il suo compito proprio nel rimediare alla mancanza, o al venir meno, della fiducia.
Si legga questo brano significativo tratto da un lavoro importante dedicato esplicitamente al nostro tema:
Quando la fiducia viene tradotta nel linguaggio giuridico, che è quello della calcolabilità e della prevedibilità dei rischi, essa smette di essere ‘fiducia’. La buona fede che avrebbe dovuto rappresentarla scivola su terreni più sicuri dove contano garanzie, sostegni per i legittimi affidamenti e sanzioni simmetriche per la mala fede di contraenti, appunto, malfidati. Dif-fide contro la per-fidia, o contro semplici défaillances del corretto comportamento che tradiscano la fiducia, raccontano di una vocazione costitutiva del diritto a incorporare non la fiducia, ma soltanto la sua delusione. Quando il diritto interviene è perché ormai la fiducia è diventata rischio insopportabile, e, quindi, bisogna abbassare la soglia della gratificazione e innalzare quella della delusione2.
Non sembra diversa l’opinione di Niklas Luhmann, il grande sociologo tedesco, quando scrive che «la legge ha preso le distanze dalla nozione di fiducia», osservando «che i due meccanismi si sono ben differenziati»3. La posizione di Luhmann è in realtà più problematica, come vedremo più avanti; ad ogni modo il giudizio più netto sembra essere quello espresso da un filosofo politico italiano, secondo cui alla radice del diritto non può esserci altro che «la sfiducia e il sospetto. La sfiducia è il suo fondamento metodologico e il sospetto è il suo fondamento psicologico»:
non credo – dice ancora questo autore – che ci si allontanerebbe molto dalla realtà se si pensasse che in ultima analisi il diritto, soprattutto nella sua positività, è nel suo insieme la più grande teorizzazione della sfiducia e del sospetto4.
Sembra anzi che, per quanti tentativi si facciano per dimostrare che i rapporti tra diritto e fiducia sono più «complicati» di come appaiono5, non ci sia altra conclusione possibile che confermare il trade-off esistente tra i due termini. Si legga anche questo brano tratto da un volume che ha molto circolato al di fuori dei circuiti propriamente giuridici, scritto da un’autrice nota all’opinione pubblica generale:
La nostra società liberale di sfiducia è una società che riconosce un posto smisurato al diritto [...] Il fine è sempre lo stesso: rassicurarsi e avere la garanzia che l’altro, conoscendo le sanzioni cui va incontro se non rispetta i termini dell’accordo, non profitterà della nostra fiducia6.
Nella coscienza comune, insomma, «è perché non abbiamo fiducia che “contrattiamo” e che rientriamo nella logica simmetrica del rapporto creditore-debitore»7.
Nemmeno sembra una risposta soddisfacente il sottolineare come il diritto stesso richieda fiducia8: dal momento che è proprio questa fiducia verso il diritto a mostrare plasticamente l’assenza della fiducia fuori e dentro il diritto. In altre parole, proprio perché non è possibile affidarsi a meccanismi di regolazione pre-giuridici, o comunque esterni alla regolazione giuridica, ci si rifugia nel diritto e nella giuridificazione dei rapporti sociali, trasferendo sul diritto – per la sua natura di strumento coattivo – l’investimento fiduciario che non si può realizzare nelle relazioni sociali. Ma ciò è possibile, appunto, perché siamo convinti che il diritto utilizzi esclusivamente strumenti che non si basano sulla fiducia. Impiega e regola, anzi, il loro opposto, inglobando e quasi venendo a coincidere con quei meccanismi che Roberto Esposito ha ricostruito efficacemente sotto l’etichetta della immunitas: esso è divenuto «funzione del meccanismo immunitario», perché «è stato ordinato alla salvaguardia di una convivenza tra gli uomini naturalmente esposta al rischio di un conflitto distruttivo»9.
2. È facile riconoscere in questa lettura – nella quale l’immunizzazione appare come il rovesciamento dei legami creati e tenuti in vita dal munus –, il paradigma offerto fin dalle origini della modernità da Thomas Hobbes10. L’autore del Leviatano (1651) basava la costruzione della macchina statale esattamente su un trasferimento di poteri che da una massa di individui incapaci di esprimere fiducia muove verso un soggetto collettivo che produce la possibilità dell’affidamento nel momento in cui lo garantisce: dato che non è possibile concedere fiducia agli altri soggetti nell’ambito dei rapporti paritari esistenti nello stato di natura – perché rinunciare al proprio diritto senza che contestualmente gli altri facciano lo stesso significa «esporsi come preda [...] piuttosto che disporsi alla pace»11 – è necessario affidarsi a un soggetto Terzo, il sovrano, per garantirsi nei confronti di ogni successiva e possibile delusione della fiducia. Se si stabilisce un patto «e lo si fonda sulla fiducia reciproca», dice Hobbes, «esso è nullo sulla base di qualsiasi sospetto ragionevole. Non è invece nullo, se esiste un potere comune, posto al di sopra delle due parti, con un diritto e una forza sufficienti per imporre l’adempimento». Si tratta dell’espressione più classica di un modello nel quale diritto e fiducia si collocano su fronti opposti, perché la fiducia non può sussistere tra soggetti che sono appunto incapaci di mantenere le promesse12: essendo esseri «tristi»13, cioè dominati da passioni distruttive, ed essendo certo che essi «non la osservarebbono a te, tu etiam non l’hai ad osservare a loro», come Machiavelli suggerisce in uno dei passaggi più celebri del Principe (cap. XVIII), nel quale fa venir meno l’obbligo di «osservare la fede» quando siano cessate le ragioni che avevano spinto a concederla.
Questa fiducia, dunque, non può stabilirsi se non alla condizione che venga prodotta dall’esercizio ...

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