L'anima e il corpo
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L'anima e il corpo

Un'introduzione storica alla filosofia della mente

Sandro Nannini

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L'anima e il corpo

Un'introduzione storica alla filosofia della mente

Sandro Nannini

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Una storia delle principali concezioni filosofiche sull'anima, la mente, l'io e lo spirito dall'antichità ai giorni nostri attenta a sottolineare le linee di continuità con le concezioni dell'anima e dello spirito proposte dai filosofi classici e a evidenziare il modo in cui le scienze cognitive e le neuroscienze hanno cambiato l'immagine che l'essere umano ha di se stesso. Il libro offre anche una breve rassegna sistematica delle soluzioni filosofiche al problema mente-corpo ed è aggiornato ai nuovi indirizzi di ricerca sulla mente che vanno affacciandosi nel XXI secolo.

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Information

Capitolo quarto
La filosofia contemporanea:
la filosofia analitica e post-analitica

4.1 La filosofia analitica classica

4.1.1 Frege e la ‘svolta linguistica’. In contrapposizione allo psicologismo di J.S. Mill e dei filosofi autori del ‘ritorno a Kant’ nasce alla fine dell’Ottocento non solo la fenomenologia di Husserl, ma anche quella corrente di pensiero, fondamentale nella filosofia contemporanea, che oggi si è soliti chiamare filosofia analitica. Essa non è una teoria unitaria, bensì piuttosto un modo d’intendere la filosofia (o meglio il filosofare) come un’attività – condotta con metodi e per scopi spesso assai diversi – volta a liberare gli uomini da perplessità di varia natura mediante un’analisi del linguaggio. In ciò consiste il nucleo fondamentale di quella che è stata chiamata la ‘svolta linguistica’ in filosofia.
Le forme nelle quali tale svolta è stata messa in atto, pur nella loro varietà, possono essere ricondotte a due gruppi fondamentali, che si distinguono per il diverso modo di praticare l’analisi del linguaggio quale strumento per la risoluzione o dissoluzione dei problemi filosofici. In un caso l’analisi di un enunciato, il cui significato appaia dubbio, ambivalente o paradossale, consiste nella sua traduzione nella ‘lingua perfetta’ della nuova logica simbolica di G. Frege e B. Russell (o comunque in una sua parafrasi più chiara e filosoficamente preferibile) al fine di evitare ambiguità o implicazioni metafisiche indesiderate, che siano contenute nella formulazione inizialmente data nel linguaggio ordinario. Nell’altro caso l’analisi illumina il significato di quelle parole che, sotto qualche rispetto, siano fonte di perplessità mediante la scoperta, attraverso esempi attinti dal linguaggio ordinario stesso, dei contesti nei quali esse sono usate in modo intuitivamente corretto. Mentre il primo modo d’intendere l’analisi filosofica può essere ritrovato in G. Frege, G. Moore, B. Russell, il Wittgenstein del Tractatus e gli empiristi logici, il secondo si afferma solo con il cosiddetto ultimo Wittgenstein, J.L. Austin, G. Ryle e P.F. Strawson (per citare solo i maggiori).
Il primo studioso a dare esempi di analisi filosofica, nel senso moderno del termine1, è in Germania il matematico Gottlob Frege (1848-1925). Questi offre fra l’altro un primo esempio, poi divenuto notissimo, di analisi del linguaggio applicata alla risoluzione di un problema concettuale. Egli distingue il ‘senso’ di una parola dal suo ‘significato’ (o riferimento). Ad esempio, gli antichi credevano che Fosforo (etimologicamente ‘stella del mattino’) fosse diverso da E­spero (‘stella della sera’), mentre gli astronomi contemporanei hanno mostrato come le due stelle siano in realtà un unico corpo celeste: il pianeta Venere. La relazione d’identità espressa dall’enunciato ‘Fosforo è Espero’ dà perciò un’informazione ignorata per secoli, mentre le tautologie ‘Fosforo è Fosforo’ e ‘Espero è Espero’ sono sì sempre apparse vere a tutti, ma non dicono assolutamente nulla. È proprio per rendere conto della differenza tra due enunciati che sembrano avere una struttura superficiale identica (‘x è identico a y’) che Frege introduce la sua distinzione tra significato e senso. Le parole ‘Fosforo’ ed ‘Espero’ hanno sì lo stesso ‘significato’, si riferiscono cioè al medesimo oggetto reale, il pianeta Venere, ma non hanno lo stesso senso, perché in un caso il loro comune riferimento viene descritto come ‘stella del mattino’ e nell’altro come ‘stella della sera’. L’oggetto descritto (il ‘significato’, ossia il riferimento) è lo stesso, ma il modo di descriverlo (il senso) è diverso. La differenza tra ‘Fosforo è Espero’ e ‘Fosforo è Fosforo’ è dunque chiara: il primo enunciato esprime un’identità di riferimento, ma non di senso; il secondo un’identità sia di significato che di senso. Il primo ci dice perciò, a differenza del secondo, qualcosa di non banale che gli antichi ignoravano: e cioè che quelle due parole, Espero e Fosforo, aventi sensi differenti, hanno in realtà lo stesso riferimento. L’analisi filosofico-linguistica chiarisce le ragioni di una differenza, quella tra ‘Espero è Fosforo’ e ‘Espero è Espero’, che avvertivamo intuitivamente, ma che restava concettualmente inesplicata.
4.1.2 Il monismo neutrale di Russell. La ‘svolta linguistica’ in filosofia, della quale Frege è l’iniziatore, prosegue in tutta la prima metà del XX secolo con Russell, Moore, Wittgenstein, gli empiristi logici e la cosiddetta ‘filosofia del linguaggio ordinario’ (il cosiddetto ultimo Wittgenstein, Ryle, Austin, Strawson ecc.). Nel corso di questa complessa vicenda storica che caratterizza la filosofia analitica nei suoi primi decenni di vita l’analisi filosofica viene applicata – in entrambe le sue versioni, sia come traduzione nella ‘lingua perfetta’ della logica sia come attività di chiarificazione del significato delle parole mediante esempi tratti dal linguaggio ordinario – anche ai termini psicologici: è così che nasce quell’ambito di ricerca che oggi viene chiamato, in senso proprio, ‘filosofia della mente’.
Il primo esempio di analisi rivolta a chiarire i concetti psicologici di mente, coscienza, istinto, abito, desiderio, sentimento, introspezione, percezione, sensazione, immagine, memoria, significato, idea, pensiero, credenza, verità e falsità, emozione, volontà e così via viene dato da Bertrand Russell (1872-1970) nel 1921 con The Analysis of Mind, un’opera in genere oggi poco letta, che in realtà non solo costituisce un punto di svolta nella biografia intellettuale del grande filosofo inglese (Baldwin 1995), ma è anche all’origine di concetti e teorie che sono ancora molto diffusi tra i filosofi della mente.
Russell, sin dalla prefazione, chiarisce che intende usare il monismo neutrale di W. James per trovare una soluzione a quello che sembra essere un apparente paradosso nella filosofia del suo tempo: mentre gli psicologi sembrano avviati a liberarsi definitivamente del dualismo tra mente e corpo e ad adottare con il comportamentismo «una posizione essenzialmente materialistica» (Russell 1921, p. xvii), i fisici viceversa, con la teoria della relatività, sembrano liberarsi del concetto di materia: «il loro mondo consiste di ‘eventi’ dai quali la materia è derivata per costruzione logica» (ibid.). Pertanto, mentre la psicologia diviene materialistica, la fisica sembra invece rinunciare a vedere nella materia la realtà ultima. L’apparente paradosso può essere evitato, secondo Russell, allorché si comprenda, con James, che in effetti i corpi e le menti non sono sostanze differenti, bensì differenti collezioni di ‘particolari’ (ossia dati sensoriali). I particolari non sono in se stessi né fisici né mentali, sono il ‘materiale neutrale’ (neutral stuff) da cui (mediante una differente costruzione) risultano costituite nella nostra esperienza sia le cose che le persone.
Nelle intenzioni di Russell questo monismo neutrale empiristico – che riprende una tesi già adombrata da Hume e ripresa, oltre che da James, anche da Mach – dovrebbe consentire al filosofo di liberarsi sia dell’idealismo che del realismo ingenuo. In effetti, tuttavia, ciò che Russell dice degli oggetti materiali non è molto lontano dall’idealismo di Berkeley. Se, ad esempio, più persone vedono un tavolo, è errato dire – secondo Russell – che il tavolo è la comune causa esterna delle loro percezioni; in effetti il tavolo coincide con l’insieme delle percezioni che ne hanno differenti osservatori (p. 98). L’oggetto reale è solo un focus virtuale che costruisco a partire da un insieme di sensazioni, percezioni e ricordi: l’oggetto reale, quindi, è non una sostanza indipendente dalla mia mente, bensì una determinata collezione di dati sensoriali.
Ma anche le persone compaiono nella mia esperienza – secondo Russell – solo come il risultato di un’analoga costruzione a partire dai medesimi dati sensoriali che vengono utilizzati per costruire gli oggetti materiali. Poniamo il caso che un certo numero di persone in un teatro stia guardando un attore (p. 103). Esse vedranno, ovviamente, nello stesso istante qualcosa di leggermente diverso a seconda del punto di osservazione che occupano in sala. Posso ora ordinare le loro percezioni in due modi differenti: posso anzitutto costruire l’insieme delle differenti percezioni che sono state ricevute in un certo istante da tutti i vari punti della sala e, ripetuta l’operazione per tutti gli istanti, posso mettere in serie questi vari insiemi secondo il loro ordine cronologico; oppure posso limitarmi a costruire la serie cronologica delle percezioni che si sono avute in un unico punto della sala. Nel primo caso l’insieme delle percezioni ricevute da vari punti della sala nello stesso istante costituirà l’attore reale come ‘invariante’ delle percezioni che gli spettatori hanno di lui, mentre nel secondo caso la serie delle percezioni ricevute da un unico punto costituirà ciò che ha visto un singolo spettatore e quindi sarà uno spezzone della sua vita mentale.
Ben si comprende perciò come Russell, dando una formulazione chiara e precisa a quella versione empiristica del monismo neutrale che affonda le proprie radici nella teoria humiana della mente come ‘fascio di percezioni’ (bundle-theory), pensi di aver evitato definitivamente quello scoglio che è invece insormontabile per i dualisti: l’interazione tra mente e corpo (pp. 35 sgg.). Se menti e corpi sono costituiti entrambi dai medesimi ‘particolari’ (cioè dai medesimi dati sensoriali), non si vede perché non dovrebbero esserci fra di loro relazioni causali così come ci sono tra corpo e corpo.
Certo – ammette Russell (pp. 36-37) – resta il dubbio se la mente possa interferire sul funzionamento del corpo. Se il mondo fisico è un sistema ‘chiuso’ a qualsiasi interferenza di ciò che fisico non è (e quindi anche all’interferenza del mentale) e le leggi che lo governano sono deterministiche, ovviamente ciò non è possibile. Ma il determinismo universale è «una mera ipotesi, che deve essere messa alla prova dell’esperienza senza alcun preconcetto. Per ora questo è tutto quello che possiamo dire» (p. 37), conclude Russell, concedendo implicitamente al difensore del libero arbitrio almeno il diritto al dubbio.
Tuttavia nel capitolo conclusivo, dopo essersi chiesto se «gli eventi mentali siano causalmente dipendenti dagli eventi fisici in un senso nel quale la dipendenza inversa non vale» (p. 302), Russell giunge ad affermare che «l’insieme delle prove empiriche a disposizione indica la risposta materialistica come la più probabile» (p. 303). Ma, nonostante queste oscillazioni sul grado di plausibilità del materialismo, resta comunque il fatto che l’accettare una forma di monismo ontologico tra mente e corpo non impedisce a Russell di difendere invece, entro certi limiti, il dualismo metodologico e di sostenere, perciò, che la psicologia non è riducibile alla fisica: le regolarità che si possono trovare tra quelle collezioni di particolari che costituiscono gli oggetti e gli eventi materiali sono, infatti, più numerose e più rigorose di quelle che possono intercorrere tra quegli stessi particolari quando vengano considerati isolatamente come stati mentali di una sola persona (pp. 104 e 302).
La difesa del monismo neutrale empiristico non è l’unico tema affrontato in The Analysis of Mind. In particolare, grande influenza ha avuto il concetto, già presente nelle sue opere precedenti, di ‘atteggiamento proposizionale’, secondo il quale una credenza o un desiderio sono definibili come un atteggiamento di un certo tipo diretto verso una certa ‘proposizione’ (ossia verso il significato di una classe di enunciati dichiarativi). Ad esempio, secondo l’analisi russelliana, ‘Credo che piova’ significa che chi pronuncia questa frase ha un atteggiamento di credenza verso il significato dell’enunciato ‘Piove’.
4.1.3 Il comportamentismo logico degli empiristi logici. Russell, pur riconoscendo nel comportamentismo dal quale era fortemente influenzato una ripresa del materialismo, era giunto a un monismo neutrale che s’ispirava piuttosto alle idee ...

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