I. Per la giustizia e per la pietĂ
Il simbolo della nostra stirpe
non Ăš il cacciatore che acceca gli uccelli,
ma Garibaldi che nella notte tempestosa
di Caprera, pieno di dolori fisici,
lascia il duro giaciglio per cercare e per salvare
una pecora belante e sperduta nel buio
Luigi Luzzatti
1. Le origini del protezionismo animale
Le prime forme di interesse per la condizione degli animali maturarono nellâOttocento presso le Ă©lites urbane colte, benestanti, tendenzialmente progressiste. Nel nuovo contesto prodotto dallâindustrializzazione e dallâurbanizzazione, i valori di rispettabilitĂ e decoro propri delle middle classes, il modello familiare di tipo borghese, le attitudini di cura e protezione verso i bambini, la «romanticizzazione» della natura e del mondo agreste furono i principali fattori che aiutarono a plasmare una nuova percezione del rapporto con gli animali. A tale processo contribuirono anche le riflessioni dei filosofi utilitaristi e illuministi e la teoria evoluzionista darwiniana, primi tentativi di formulare in modo nuovo i temi dellâ«umanità » e dellâ«animalità ».
Per secoli, e con poche eccezioni, il pensiero occidentale aveva postulato una differenza irriducibile tra uomo e animale: lâuomo dotato di autocoscienza, pensiero razionale, capacitĂ logico-inguistica e per taluni anima immortale; lâanimale essere inferiore, finalizzato allâutilizzo e allo sfruttamento da parte dellâuomo e infine assimilato da pensatori come Bacone e Cartesio ad una «macchina» incapace di sentire e soffrire. In questa visione rigorosamente gerarchica e antropocentrica poteva al massimo configurarsi â come proponevano, tra gli altri, san Tommaso e Kant â lâinvito a non esercitare crudeltĂ sugli animali nella presunzione che potesse preludere a quella contro gli stessi umani. A sfidare parzialmente questa struttura concettuale furono lâutilitarismo e la filosofia dei Lumi, che aprirono unâepoca nella quale i non umani cominciarono a diventare «soggetti della filosofia e della morale». Le riflessioni di Hume, Voltaire, Diderot, John Stuart Mill, sostenendo lâevidenza di analogie comportamentali fra umani e non umani, andavano nella direzione di avallare la possibilitĂ di estendere agli animali le basilari norme del comportamento etico. In Italia lâabate Antonio Rosmini, a partire dal «senso» come «radice dellâessenza animale», vi riconosceva «un essere individuo, che sentendo opera». Fu perĂČ Jeremy Bentham, nel 1789, a fissare per la prima volta nella «sensività » il principio etico e giuridico per lâattribuzione dei diritti a tutti gli individui, umani e non: «la domanda non Ăš âpossono ragionare?â, nĂ© âpossono parlare?â, ma âpossono soffrire?â». StabilĂŹ paragoni espliciti tra la condizione degli schiavi e quella degli animali e fu il primo ad affermare la necessaria inclusione degli animali nella comunitĂ morale e politica; inclusione che, secondo il principio dellâutilitĂ a fondamento della sua filosofia, avrebbe consentito di perseguire la felicitĂ per il maggior numero di individui, e dunque aumentato la quantitĂ totale di benessere collettivo. Dal canto suo, la teoria darwiniana evidenziĂČ la continuitĂ evolutiva tra la specie umana e le altre e aprĂŹ la strada a tutta una serie di studi e discipline che nel corso del Novecento avrebbero dimostrato le forti analogie biologiche e comportamentali tra lâuomo e gli altri viventi. Inoltre Darwin riteneva che anche lâimpulso alla considerazione etica Ăš sottoposto alle leggi dellâevoluzione, essendosi sviluppato a partire dagli istinti di appartenenza al branco, e in tale prospettiva non escludeva che la morale potesse superare i confini della specie umana per includervi tutte le creature animali.
Dalla filosofia e dalla scienza vennero quindi i primi impulsi a rivedere la concezione tradizionale dellâanimale-macchina e a trasformare la tipologia del rapporto con le altre specie: da puramente economico e scevro da valutazioni di giustizia a relazione di tipo etico o addirittura etico-giuridico. Allâinizio, tuttavia, queste teorie non ebbero ricadute dirette nel sentire collettivo e nel diritto positivo. Lâorientamento compassionevole verso gli animali scaturĂŹ piuttosto dai fermenti sociali e morali della modernizzazione ottocentesca, dallâumanitarismo dellâInghilterra vittoriana e dal «culto» del pet di famiglia, che soprattutto in Gran Bretagna contribuĂŹ a forgiare il nuovo ideale della domesticitĂ . Presente giĂ dal Cinque-Seicento presso le Ă©lites aristocratiche, la moda di tenere cani e gatti (ma non solo) allâinterno delle abitazioni si diffuse in ambito borghese nel corso del XIX secolo. Innocenti, puri e indifesi, proprio come i bambini, i domestic pets fecero il loro ingresso nelle famiglie delle middle classes e giĂ nel 1851 la scrittrice inglese Jane Loudon volle dedicare loro un libro, illustrandone caratteristiche e necessitĂ ; lei stessa viveva con un cane, un gatto e due pesci, amava tantissimo gli animali e «fortunatamente, nellâinteresse del mio libro, ci sono migliaia di altre persone che li amano quanto me». Furono i gatti la vera «scoperta» dellâInghilterra ottocentesca, dopo che per secoli erano stati perseguitati, associati a demoni e streghe, al massimo utilizzati come acchiappatopi; viziarli divenne di moda allâinterno della borghesia vittoriana che li indentificava con le virtĂč di dignitĂ e decoro e con le doti femminili di grazia, pulizia e leggiadria. «Angelo del focolare» come la donna, il gatto cominciĂČ ad essere celebrato da intellettuali, poeti, pittori e romanzieri che lo rappresentavano come parte attiva della vita domestica. Ovunque il cane di razza, soprattutto da caccia, era simbolo e garanzia di uno status sociale elevato, mentre lo sviluppo delle attivitĂ concernenti la registrazione delle razze canine e feline (allevamenti, circoli, mostre, testi specializzati) dimostrava che intorno alla moda dei pets si stava consolidando un cospicuo giro dâaffari. Anche il settore del pet food, oggi floridissimo, cominciĂČ ad espandersi in Inghilterra e Stati Uniti sul finire dellâOttocento. Negli anni Sessanta-Settanta lâazienda Spratt aveva iniziato a produrre biscotti per cani, creava slogan pubblicitari accattivanti, faceva inserzioni sui quotidiani e sulle riviste cinofile e il successo fu tale che venne presto imitata; durante la prima guerra mondiale rifornĂŹ i cani-soldato inglesi e americani con oltre 70.000 tonnellate di biscotti.
Da un lato quindi fu il pet, eretto a simbolo della nuova intimitĂ delle relazioni familiari, amato e coccolato dai proprietari, ad incrinare in parte la tradizionale visione utilitaristica dellâanimale; dallâaltro, gli ideali vittoriani di moderazione e «contenimento delle passioni» cominciarono ad essere applicati anche al trattamento degli animali, nella convinzione che le violenze nei loro confronti fossero riconducibili ai «comportamenti antisociali» dei ceti lavoratori. Ritenendo che incrudelire sugli animali predisponesse alla violenza verso gli stessi umani, secondo la «tesi della crudeltà » di san Tommaso, tutti i primi attivisti zoofili muovevano da un intento pedagogico di moralizzazione pubblica. La Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals, la prima societĂ protezionista inglese fondata nel 1824, si batteva infatti non solo per difendere gli animali, ma in generale per «civilizzare i ceti inferiori». I quali â si pensava â erano carenti di compassione verso gli animali perchĂ© «essi stessi erano come animali. Era perciĂČ sentito un dovere degli individui illuminati educarli e disciplinarli, proprio come coi cani che non hanno mai conosciuto il collare o un comando». Accadeva spesso, quindi, che le idee zoofile trovassero accoglienza da parte delle organizzazioni di mutuo soccorso, per lâassistenza ai poveri e per la beneficienza; analogamente la causa della tutela animale era patrocinata da e...