L'arte per diritto
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L'arte per diritto

I primordi giuridici dell'estetica fotografica

Paola Pennisi

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L'arte per diritto

I primordi giuridici dell'estetica fotografica

Paola Pennisi

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Questo libro offre i primi risultati di una ricerca, tuttora in corso, sui problemi – di natura insieme giuridica ed estetica – sollevati, nella Francia del XIX e del XX secolo, dall'acquisizione della fotografia tra le opere d'arte degne di essere tutelate dalle norme sul diritto d'autore. Frutto di scrupolose indagini d'archivio, il volume analizza gli atti di due processi molto famosi e le vicissitudini legali che, proprio nel paese che vide nascere l'«invenzione maravigliosa», la fotografia dovette affrontare prima che le fosse riconosciuto lo statuto giuridico di oeuvre d'esprit. Integrando la ricostruzione storica con la riflessione filosofica, il libro lascia emergere tutta la portata teoretica del dibattito giuridico sulla natura artistica della fotografia e, mentre sollecita un ripensamento del complesso tema dell'"originalità", offre un contributo prezioso alla storia dell'estetica fotografica.

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Información

Año
2015
ISBN
9788870006643
Categoría
Art
§ 1. Problemi pratici: la fotografia in tribunale
1.1. Due processi celebri
Analizzeremo due casi giuridici molto importanti per la storia della fotografia, dibattuti entrambi nei tribunali parigini.
Caso n° 11
Alla fine del 1852, Félix Tournachon (in arte ‘Nadar’) stava lavorando al celebre Panthéon Nadar. Si trattava di un progetto che di certo avrebbe procurato grande fama all’artista: le caricature di circa trecento personaggi noti riunite in un’unica, enorme immagine. Nonostante i guadagni che prometteva, l’opera si rivelava estremamente dispendiosa: una parte consistente degli investimenti veniva infatti impiegata per ritrarre fedelmente i personaggi, in modo da predisporre una serie di immagini puntuali necessarie per studiare i punti deboli destinati a essere ridicolizzati in caricatura. Un amico consigliò allora a Nadar di affidarsi, in questa fase preparatoria, alla fotografia (che a quel tempo egli non praticava ancora sistematicamente). Tra gli altri collaboratori dell’impresa c’era anche il fratello di Félix Tournachon, Adrien. Nadar decise dunque di far studiare fotografia al fratello presso lo studio di Gustave Le Gray e ne finanziò il tirocinio. I due avevano in progetto di fondare insieme una società e, nel 1854, Nadar trasformò la casa della madre (situata a Parigi in 113, Rue Saint-Lazare) in uno studio. Tuttavia Adrien disattese i patti e provò ad avviare un’attività per proprio conto.
Nel marzo dello stesso anno, il Panthéon Nadar, con due anni di ritardo, fu finalmente completato e firmato come segue: Nadar, fiero e contento quando tutto fu finito. Grazie al Panthéon, Nadar divenne, con il suo pseudonimo, una celebrità.
Nel 1855, Adrien si trasferì con altri fotografi in un altro studio sito in Boulevard des Italiens, inserì nell’insegna il nome “Nadar” e prese l’abitudine di firmare le sue opere con la sigla “Nadar Jeune”, spesso abbreviandola in “Nadar Jne”. Se ne generò una confusione a tutto svantaggio di Félix, assai più noto e artisticamente assai più dotato. Nel 1856, Adrien approfittò di questa confusione per impossessarsi in maniera esclusiva della medaglia d’oro ottenuta da entrambi i fratelli per la serie di fotografie al mimo Deburau.
Félix diffidò diverse volte il fratello Adrien dall’uso dello pseudonimo; ma Adrien continuò impunemente ad adoperarlo e nello stesso anno si giunse al processo.
Dal verbale del processo emergono una serie di tematiche legate alla fotografia che rivestono primaria importanza: Félix Tournachon aveva colto il problema cui abbiamo accennato sopra ed era riuscito ad esplicitarlo in termini che, se allora gli fecero vincere il processo, oggi possono essere letti con profitto da chi studia la storia e la filosofia della fotografia. I brani qui di seguito riportati sono tratti dal discorso che Nadar tenne in tribunale per difendere la propria causa. Ne emergono ipotesi del tutto sorprendenti ed attuali sul concetto stesso di “fotografia”:
la Photographie est une découverte merveilleuse, une science qui occupe les intelligences les plus élevées, un art qui aiguise les esprits les plus sagaces – et dont l’application est à la portée du dernier des imbéciles (Nadar, 1856)
Questa citazione è un po’ una parafrasi della retorica tipica di Daguerre e Arago: la fotografia è un’invenzione meravigliosa, che interessa gli intellettuali e le intelligenze più importanti ma che – al contempo – è alla portata dell’ultimo degli imbecilli. Questa diversa formulazione dissimula già la presa di posizione ben più importante che a breve seguirà nel documento. Essa suona infatti un po’ contraddittoria: come può uno strumento che aguzza gli ingegni e coinvolge le intelligenze più sagaci avere allo stesso tempo una valenza tanto democratica? Qui si percepisce un livello di analisi già più profondo di quello che possiamo rilevare nelle ben più semplici e lapidarie parole di Arago: «il n’est personne qui ne doive réussir aussi certainement et aussi bien que M. Daguerre lui-même» (Arago 1839: 36).
E, nel rispetto del principio daguerriano, Nadar continua:
la théorie photographique s’apprend en une heure; les premières notions de pratique en une journée. Voilà ce qui s’apprend, […] et ce qui fait que tout le monde, sans aucune espèce d’exception, peut aspirer du jour au lendemain à se dire photographe, sans témérité (Nadar, 1856)
Félix Tournachon sta qui affermando che la tecnica fotografica si apprende con facilità; ovvero che è possibile apprendere agevolmente a produrre un’immagine con la luce. Nelle proposizioni che seguono però leggeremo il passo avanti, la differente sfumatura che egli – grazie alla sua pratica – colse tra la produzione di un’immagine tecnicamente gradevole e la produzione di un’opera meditata non soltanto nelle sue varianti formali, ma anche in quelle psicologiche. La differenza, insomma, tra un’immagine impersonale e un’immagine personale. Nadar sta per sottrarre potere alla macchina, rendendo nuovamente al creatore ciò che un’immagine non impersonale e non fredda lascia emergere: quindi al genio i suoi meriti. Egli sta per spiegare in tribunale quali capacità innate deve possedere un fotografo per produrre un’opera che abbia un qualche valore artistico, un’opera che merita di essere legalmente tutelata.
Ce qui ne s’apprend pas, je vais vous dire: c’est le sentiment de la lumière, c’est l’appréciation artistique des effets produits par les jours divers et combinés, c’est l’application de tels ou tels de ces effets selon la nature des physionomies qu’artiste vous avez à reproduire.
Ce qui s’apprend encore beaucoup moins, je vais vous le dire: c’est l’intelligence morale de votre sujet, c’est ce tact rapide qui vous met en communion avec le modèle, vous le fait juger et diriger vers ses habitudes, dans ses idées, selon son caractère, et vous permet de donner, non pas banalement et au hasard, une indifférente reproduction plastique à la portée du dernier servant de laboratoire, mais la ressemblance la plus familière et la plus favorable, la ressemblance intime. C’est le côté psychologique de la photographie, le mot ne me semble pas trop ambitieux.
Ce qui ne s’apprend pas non plus, c’est la probité dans le travail, c’est, dans un genre aussi délicat que le portrait, le zèle, la recherche, le travail infatigable à la poursuite persévérante acharnée du mieux; c’est, en un mot, l’honnêteté commerciale (Nadar, 1856).
In questo passo, vengono distinte due fasi nella produzione delle fotografie. In una prima fase, ci si impegna solo meccanicamente, si adopera uno strumento tecnologico nel migliore dei modi per produrre risultati efficienti. In una seconda fase, si intuisce, si entra in contatto con il modello. Ma a questo secondo livello può pervenire solo chi è già dotato in partenza di una sensibilità particolare: l’intuizione, il contatto con il modello non si apprendono, si sortiscono dalla natura. Li si ha o non li si ha.
La prima dote del fotografo è dunque il “sentimento della luce”. Si tratta di un uso consapevole della luminosità, della scelta di un tono piuttosto che di un altro sulla base dell’effetto che il fotografo vuole rendere, secondo la fisionomia che si desidera riprodurre. Nadar introduce qui un concetto importante: il sentimento, in pieno stile romantico, diventa un elemento di distinzione tra una fotografia impersonale e la fotografia di un artista. Un altro elemento che emerge qui è la possibilità del fotografo di compiere una scelta sulla base dell’effetto che si desidera ottenere sulla fisionomia riprodotta. Il fotografo conquista un potere decisionale: scegliendo una fisionomia da riprodurre egli personalizza l’immagine.
Una seconda – e ancora più importante – dote innata è poi l’attitudine a cogliere e a riproporre la psicologia del soggetto ritratto. È quella che Nadar definisce l’«intelligenza morale» del fotografo ovvero la sua capacità di catturare l’ethos del soggetto, nel senso del «carattere» e nel senso dell’«abitudine». Davanti a un bravo fotografo, il soggetto si sente nel bell’agio delle sue abitudini e dei suoi atteggiamenti consueti. E ciò contribuisce alla naturalezza dell’immagine. Una buona foto, dunque, oltre a far emergere la personalità di chi la scatta, favorisce anche la personalizzazione dell’immagine da parte del soggetto: esso deve emergere nella sua essenza, deve costituire il focus dell’immagine e il fotografo dovrà essere capace di formalizzarne il layout («c’est le côté psychologique de la photographie, le mot ne me semble pas trop ambitieux»).
La terza dote innata di un buon fotografo è l’onestà commerciale. In questo senso, Nadar intende dire – come specifica subito di seguito – che il vero ritratto d’artista è frutto di lunghe ore di ricerca, di zelo, di impegno.
Queste sono le caratteristiche che conferiscono valore alle fotografie: l’empatia con il modello, e la capacità di far emergere la sua personalità, tramite la visione unica del fotografo.
Félix Tournachon vinse il processo e soltanto suo figlio ebbe il privilegio di ereditare il celebre e remunerativo pseudonimo “Nadar”. La fotografia non aveva ancora assunto lo status giuridico di “opera d’arte”, ma – durante il processo – Nadar aveva fatto valere con successo le sue ragioni di artista.
Rileggendo oggi le parole di Nadar, non si può non attribuirgli quell’acutezza di spirito propria soltanto ai geni. Come vedremo, le legislature, gradualmente, andranno muovendosi proprio in questa direzione; non tutte le opere fotografiche possono godere di un medesimo status giuridico.
Caso n° 22
Mayer e Pierson, Camillo Benso Conte di Cavour.webp
Foto n°2 Mayer, E., Pierson, L., Portrait du comte Camille de Cavour (riproduzione da copia non originale), 1856.
A Parigi, nel 1856, Ernest Mayer e Louis Pierson, due fotografi proprietari di uno studio ben avviato nel settore dei ritratti di personaggi noti, scattarono due fotografie: una ritraeva il Conte di Cavour, Camillo Benso, l’altra lord Palmerston. I fortunati ritratti furono riprodotti anche dallo studio rivale Thiebault & Betbéder, contro cui Mayer e Pierson decisero di intentare una causa, chiedendo che fosse riconosciuto alla fotografia lo status legale di opera d’arte. Il processo fu molto controverso, la prima battaglia in tribunale, infatti, si risolse con la sconfitta di Mayer e Pierson. Come spiegano in La Photographie considérée comme art et comme industrie, histoire de sa découverte, ses progrès, ses applications, son a...

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