Pink is the new black
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Pink is the new black

Stereotipi di genere nella scuola dell'infanzia

Emanuela Abbatecola, Luisa Stagi

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  1. 144 páginas
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Pink is the new black

Stereotipi di genere nella scuola dell'infanzia

Emanuela Abbatecola, Luisa Stagi

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Pinkizzazione è la recente tendenza a coloraredi rosa tutto ciò che appartiene al territoriofemminile: rosa i vestiti e i giocattoli dellebambine, rosa gli oggetti e gli accessoridelle donne; ma rosa è anche il colorescelto dalle donne in marcia nello scioperoglobale dell'8 marzo 2017.
Quando e perché è divenuto così di moda?La divisione dei colori – rosa per le femminee blu per i maschi – è uno dei tanti dispositiviper il mantenimento dell'ordine di genere,un ordine rigorosamente binario che nonprevede sconfinamenti e che ingabbia non soloil femminile, ma anche, o forse soprattutto,il maschile. Ancora oggi, i maschi devonomostrarsi diversi dalle femmine, ma si inizianoa intravvedere significativi segnali di cambiamento,che generano forme di resistenza.
Perché le sfide all'ordine di genere fanno paura?Attraverso una ricerca sugli stereotipi di generenelle scuole di infanzia genovesi, si è provatoa rispondere a queste e altre domande, entrandonelle scuole, parlando con le insegnanti, facendoosservazione nelle classi e provando a catturareil punto di vista creativo di bambine e bambini.

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Información

Año
2018
ISBN
9788878855694

1. Le ipotesi della ricerca
Luisa Stagi

Le riflessioni contenute in questo lavoro si appoggiano a una ricerca-azione svolta nel corso di due anni per il Comune di Genova: il progetto step1 – acronimo di Stereotipi Educazione e Pari opportunità – composto in parte da un percorso di ricerca e in parte da un percorso di formazione, a cui hanno partecipato insegnanti e dirigenti di alcune scuole dell’infanzia genovesi.
Oggetto della ricerca è la riproduzione degli stereotipi di genere nelle scuole dell’infanzia: la nostra analisi si è mossa dal presupposto che i modelli e i ruoli di genere siano costantemente prodotti, riprodotti e veicolati attraverso pratiche e modalità che sfuggono al controllo e alla coscienza dei soggetti, poiché l’ordine sociale di genere è qualcosa di invisibile e dato per scontato. L’ipotesi da cui siamo partite è che sia in atto un processo di ri-genderizzazione – un ritorno a più marcati confinamenti di genere – e che questo riguardi soprattutto le categorie sociali più fragili.
Gli stereotipi, che descrivono come crediamo che il mondo sia, infatti, si trasformano in prescrizioni su come il mondo dovrebbe essere. Una volta appresi, poi, stereotipi e pregiudizi sono resistenti al cambiamento: le persone, per esempio, abbracciano aneddoti che rinforzano i loro pregiudizi, mentre ignorano l’esperienza che li contraddice. L’immagine stereotipata, quindi, ha effetti sulla formazione delle identità e delle capacità delle persone, a un punto tale che può anche arrivare a influenzare e ad arginare lo sviluppo delle potenzialità dell’individuo, fino a condizionare lo sviluppo della sua personalità (Pojaghi 2011).
La “pericolosità” degli stereotipi consiste nella loro capacità di persistere nel tempo; difatti, la semplicità di queste immagini riduttrici della realtà, fa sì che esse siano tramandate di generazione in generazione, mantenendo spesso in vita concetti di per sé già superati dalle leggi e dalla cultura e fungendo così da “veicoli del senso comune” (Priulla 2011: 136). Come ha mostrato Pierre Bourdieu, peraltro, gli stereotipi di genere sono tra gli stereotipi sociali più potenti e anche i più difficili da decostruire «perché ciò implica una denaturalizzazione delle rappresentazioni sociali e una decostruzione di questo mondo incorporato sotto forma di habitus» (Bourdieu 1998: 16).
Forse ancor più comprensibile, in questo senso, è parlare di “attitudini” maschili e femminili, di come queste vengano considerate caratteristiche naturali dell’essere uomo o donna e di come invece possano rappresentare delle “profezie che si autoadempiono”, esito dell’interiorizzazione di stereotipi; come ben esplicitato nei manuali di sociologia, infatti: «l’attitudine è una persistente inclinazione che spinge l’individuo verso oggetti, situazioni, persone, concetti o credenze. Le attitudini sono apprese e si possono considerare spesso come espressioni di valori o credenze» (Giner 1999: 322).
L’altro aspetto che incentiva la persistenza nel tempo degli stereotipi di genere consiste nel senso di “rassicurazione” che inducono in coloro che, inconsciamente, li mantengono attivi: dinanzi al confronto con una realtà complessa e mutevole nel tempo, gli stereotipi ne restituiscono una visione parziale e inalterata che, ben lungi dall’essere una visione completa del mondo, ha il vantaggio di far sentire le persone a proprio agio, in quanto le colloca in un ambiente limitato, familiare, in cui potersi comportare secondo certe previsioni (Priulla 2011: 137).
Tale “normalità” è particolarmente rassicurante in epoche di transizione in cui si trovano a convivere modelli differenti di socializzazione di genere. Nei momenti di anomia, cioè di mancanza, o sovrabbondanza, di norme, è più facile fare riferimento al noto, al conosciuto, a ciò che viene chiamato “naturale”. Essendo il genere un territorio di costruzione e rafforzamento dell’identità, agire sui suoi confini significa lavorare sui sostegni identitari. Non stupisce perciò che in un’epoca di crisi economica e di cambiamento delle relazioni di genere, riappaiano modelli e corporeità di genere di tipo tradizionale: come hanno mostrato alcune ricerche a ridosso del d...

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