Firenze russa
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Firenze russa

Aleksej Kara-Murza, Valerij S. Sirovskij, Valerij S. Sirovskij

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Aleksej Kara-Murza, Valerij S. Sirovskij, Valerij S. Sirovskij

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Nell'introduzione al volume Firenze russa, Aleksej Kara-Murza scrive che se si può definire Roma come la città eterna e Venezia come quella astratta, a Firenze spetta senz'altro l'appellativo di città naturale: integrata nel suo paesaggio di colline dalla luce diafana e vibrante. Aleksandr Blok, il grande poeta simbolista ha scritto queste parole sulla città: nella cui profondità è dolce sognare e vivere e nel ciclo Versi italiani la definì tenero giglio. E il letterato e storico dell'arte Pavel Muratov osservò che nell'immagine di Firenze si ravvisa l'armonia di uno splendido albero e che le sue pietre appaiono più lievi delle pietre con cui furono costruite altre città.Quella di Firenze, dunque, è una bellezza particolare che si può abbracciare con lo sguardo dalla prospettiva della basilica di San Miniato o dalle alture di Fiesole, mete imprescindibili per i viaggiatori russi in Toscana. Firenze è la città con cui il viaggiatore instaura un legame intimo, familiare: se da un lato è rapito dalla grandiosità della sua arte e dell'architettura, dall'altro si abbandona alla dolcezza del suo scenario e all'atmosfera delle sue piazze e rioni. Firenze non è solo un museo a cielo aperto: nei memoir e nelle lettere di intellettuali e artisti russi in visita, oltre che alla scoperta della pittura del Quattrocento e alle peregrinazioni per musei e cattedrali, il discorso dà inevitabilmente un'importanza consistente alle sensazioni trasmesse dalla natura e persino dall'aria, intrisa di storia e di cultura. Firenze è una città che pare sottrarsi alla corruzione del tempo e offrire continui stimoli alla ricerca artistica e creativa. Dostoevskij, nel soggiorno dal 1868 al 1869, ultimò nella casa all'angolo tra via Guicciardini e via dei Velluti il suo romanzo L'idiota. Come altri suoi connazionali sostò in estatica contemplazione davanti alla bronzea Porta del Paradiso del Ghiberti, sognando di acquistarne una riproduzione fotografica a grandezza naturale per poterla tenere in Russia nel proprio studio come emblema di eterna bellezza. Firenze è anche la città di Dante, capostipite e patrono degli intellettuali esuli di ogni tempo, e di molti illustri immigrées russi, da Muratov a Zajcev a Osorgin, che la considerarono un rifugio riposto, in accordo a quella lezione fiorentina che fu per molti un incessante e profondo arricchimento interiore.Firenze è il luogo che rispecchia la continuità della storia e l'avvicendarsi delle generazioni, di quelle infinite schiere di anime che, secondo una suggestiva metafora dello scrittore Boris Zajcev, fin dai tempi di Dante hanno lasciato nella sua fulgida corona i loro diamanti.

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Información

Año
2019
ISBN
9788899918927
I. A FIRENZE
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Il fiume Arno fuori Firenze
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I DEMIDOV
Kiprenski.tif
Sulla riva sinistra dell’Arno, nei pressi del lungofiume del Ponte alle Grazie, c’è piazza Nicola Demidoff, cosí chiamata in onore di Nikolaj Nikitič Demidov (1773-1828), inviato russo alla corte toscana, mecenate, cittadino onorario di Firenze. Sulla piazza, sotto una tettoia di vetro traforato, sorge il monumento a lui dedicato, opera di Lorenzo Bartolini. Al centro del monumento si erge il Demidov, in veste di senatore romano, nell’atto di abbracciare il figlio bambino; una figura femminile, simboleggiante la Riconoscenza, gli porge una corona d’alloro. Ai quattro angoli, altrettante statue allegoriche: la Natura, l’Arte, la Misericordia e la Siberia (quest’ultima tiene in braccio Pluto con un sacco pieno d’oro). Il monumento venne eretto su commissione del figlio di Nikolaj Demidov, Anatolij Nikolaevič, e da questi donato alla città di Firenze.
La stirpe dei Demidov, destinata a svolgere un ruolo importante nella storia fiorentina piú recente, trae origine dal figlio di un mercante-contadino di Tula, Nikita Demidovič Antuf’ev. Nel 1696 Pietro il Grande, in viaggio verso Voronež, si fermò a Tula e ordinò di chiedere agli artigiani locali se la sentivano di forgiare in un mese trecento alabarde secondo un modello prestabilito. All’appello del sovrano rispose un unico volontario: il mercante Nikita Antuf’ev. Poco dopo questa prima prova, Pietro gli ordinò di produrre dei fucili secondo un modello straniero, e anche questa volta Antuf’ev esaudí con successo la richiesta dello zar. In segno di ringraziamento, Pietro gli elargí un appezzamento di terra sulla riva della Tulica, nonché i diritti di sfruttamento di una miniera di ferro e gli attribuí il cognome Demidov. Qualche anno dopo i Demidov ricevettero in dono dallo zar vasti territori sugli Urali e in Siberia, dove aprirono miniere di magnesio, d’argento e di rame. Secondo la testimonianza di Golikov, il biografo ufficiale di Pietro il Grande, nel 1715, quando allo zar nacque il figlio Pëtr Petrovič, Nikita Demidov inviò al principe ereditario “per il primo dentino... una gran quantità di preziosi oggetti d’oro provenienti dagli antichi kurgan siberiani e centomila rubli in contanti”. Nel 1720 Pietro elevò Nikita Demidovič Demidov nei ranghi della nobiltà ereditaria.
Nikita Demidov morí il 17 novembre 1725 e fu sepolto a Tula, nella chiesa Christoroždestvenskaja, della Natività di Cristo, chiamata anche Demidovskaja, dei Demidov, in una bara di ghisa sotto il terrazzino d’ingresso. Suo figlio Akinfij Nikitič Demidov sviluppò l’impresa paterna, e quando morí, nel 1745, i suoi tre figli, Prokofij, Grigorij e Nikita Demidov, ereditarono un patrimonio enorme: decine di fabbriche e di miniere, altri beni immobiliari e piú di trentamila contadini.
Il primo dei Demidov a visitare l’Italia fu Prokofij Akinfievič, durante un suo grande viaggio all’estero. Lo storico S. Šubinskij cosí ce ne parla:
“Lo scopo di questo viaggio era naturalmente quello di ammirare il lusso straniero e di sperimentare quei divertimenti e quelle piacevolezze che in Russia non si potevano trovare a nessun prezzo. Facendo sosta in tutte le principali città d’Europa, Prokofij Akinfievič si lasciava andare a vita cosí futile e brillante, acquistando enormi quantità di oggetti preziosi di ogni tipo, tanto da lasciare sconcertati i suoi conoscenti stranieri. Questi, partecipando ai suoi conviti luculliani, scuotevano il capo perplessi e si sussurravano l’un l’altro: ‘Quanto sperpero! Con che cosa ripartirà?’. Prokofij Akinfievič invece si faceva ad alta voce sberleffi della miseria europea, lamentandosi di non sapere come spendere i suoi soldi e di non riuscire a procurarsi neppure le cose piú elementari. Quel folle modo di buttare il denaro lo rese ovviamente presto famoso in tutta Europa: dovunque arrivasse veniva trattato come un principe, e sommerso di onori e adulazione”.
In Russia Prokofij Demidov aveva stabilito la sua residenza a Mosca, poiché a San Pietroburgo, come nota ancora il suo biografo: “la presenza della corte da un lato frenava i suoi capricci e, dall’altro, con il suo splendore offuscava in parte il lusso di cui egli si circondava”. Avendo ereditato a Mosca diverse case, Prokofij se ne fece costruire ancora un’altra, nella via Basmannaja, vicino al quartiere Razguljaj, in uno stile architettonico particolarmente bizzarro, e per di piú tutta ricoperta all’esterno di ferro, come difesa dagli incendi a quei tempi molto frequenti.
Ma seguiamo ancora quanto riferito dallo Šubinskij: “La rifinitura interna della casa era splendida, e rifletteva perfettamente la colossale ricchezza del proprietario. Enormi quantità di oro, argento e pietre dure abbagliavano i visitatori, sulle pareti, rivestite di damasco e di broccato spiccavano quadri meravigliosi; le finestre a specchio e le scale erano incorniciate da piante rare; i mobili, di legno di palma, legno di rosa e ebano, erano decorati da intagli di impressionante finezza, simili a merletti; sui pavimenti a mosaico erano distesi tappeti e pellicce di tigre, di ermellino e di orso; dai soffitti pendevano svariate gabbie d’oro con uccelli provenienti da tutti i paesi del mondo; per le stanze si aggiravano scimmie ammaestrate, orang-utan e altri animali; in vasche di marmo nuotavano pesci di tutti i generi; le armoniose melodie degli organi, abilmente inseriti nelle pareti, deliziavano l’udito dei visitatori; in sala da pranzo, da fontane d’argento decorate da bellissime sculture, sgorgavano fiumi di vino; vivande abbondanti e magnifiche erano costantemente a disposizione di chiunque ne volesse – in una parola, Demidov aveva riunito in casa sua tutto il lusso e la magnificenza che l’arte e la fantasia dell’epoca rendevano immaginabili”.
I biografi della famiglia Demidov sono concordi nel testimoniare che con il passare degli anni le stranezze di Prokofij Demidov aumentarono. A Mosca si spostava solo con una carrozza tirata da una fila di cavalli e dipinta di un arancione brillante. L’equipaggio era composto da due cavalli piccoli sotto le stanghe, due enormi in centro, con un battistrada quasi invisibile, e ancora due cavalli piccoli davanti, ma questa volta con un battistrada talmente alto che con i piedi arrivava a toccare il selciato. La livrea dei lacchè si accordava perfettamente alla bardatura: per metà era di broccato dorato, per metà di un panno ruvidissimo; una gamba era rivestita di calze di seta e calzata con una scarpetta, l’altra era avvolta da una pezza e calzata da un sandalo di corteccia. Quando venne la moda degli occhiali, Demidov li fece indossare non solo alla sua servitú, ma anche ai cani e ai gatti di casa...
Prokofij Akinfievič Demidov, tuttavia, non è passato alla storia soltanto per la sua stravaganza. Elarg infatti somme enormi anche all’Università di Mosca e sempre a Mosca fondò a sua spese un istituto commerciale per i figli dei mercanti. L’imperatrice Caterina la Grande gli confer, per queste sue attività filantropiche, il grado di consigliere di Stato effettivo. P.A. Demidov morí nel novembre del 1786 e fu sepolto nel monastero Donskoj presso l’altare della chiesa Sretenskaja, della Presentazione al Tempio; alle esequie l’università riconoscente partecipò con una nutrita delegazione.
Prokofij non fu l’unico dei figli di Akinfij Demidov a compiere un viaggio in Italia: lo imitò anche il fratello, Nikita Akinfievič Demidov, erede della parte delle sostanze paterne relativa ai possedimenti di Nižnij Tagil. Tra il 1771 e il 1772 insieme alla moglie egli visitò la Germania, l’Olanda, la Francia e l’Inghilterra e nel dicembre del 1772, accompagnato dal pittore russo Šubin, approdò in Italia “con l’intenzione di vedere la terra che abbonda di ogni sorta di opere d’arte e di grandi uomini”. Visitò Napoli, dove non mancò di compiere anche un’escursione sul Vesuvio, e Roma, dove ottenne addirittura un’udienza dal Papa. Durante il viaggio di ritorno in Russia, a ottanta verste da Pietroburgo, nel villaggio di Černovicy, il 9 novembre 1773 nacque Nikolaj Nikitič Demidov, futuro diplomatico e cittadino onorario di Firenze.
N.N. Demidov si trasferí a Firenze da Parigi dopo la morte della prima moglie, Elizaveta Aleksandrovna (nata Stroganova), e presto sostituí N.F. Chitrovo come legato russo presso la corte del Granduca di Toscana. Il conte D.P. Buturlin, che aveva anch’egli trascorso molti anni a Firenze, descrisse la vita e le abitudini della colonia russa di Firenze e in particolare quella di N.N. Demidov, che, secondo le sue parole, “aveva ivi cominciato a vivere alla maniera di un principe ereditario”:
“Prese in affitto Palazzo Serristori, vicino al Ponte delle Grazie, e ne fece una variopinta via di mezzo tra un museo pubblico e la dimora di un dignitario russo del secolo scorso. C’erano segretari francesi, agenti italiani, impiegati provenienti dalle miniere siberiane, mantenute, educande e come se tutto questo non bastasse la troupe al gran completo di una compagnia francese di vaudevilles... Oltre a tutta questa gente, in casa soggiornavano costantemente vagabondi e parassiti vari... Nel palazzo si trovava anche una mostra di oggetti in malachite e di altri materiali preziosi e il giardino era allietato da una collezione di pappagalli... Entrambe queste istituzioni erano aperte alle visite degli sfaccendati locali... La compagnia francese rappresentava i suoi spettacoli due volte alla settimana e normalmente ad essi seguiva un grande ballo. Il padrone di casa, colpito da una paralisi, veniva trasportato da una camera all’altra su di una sedia a rotelle. Le stalle erano piene di purosangue inglesi...Capitò che N. N., esaminando i conti delle sue fabbriche siberiane, decidesse di convocare lí a Firenze uno dei suoi direttori direttamente dagli Urali. Questi, ricevuto l’ordine, preparò una trojka alla bisogna e, fidando nel proverbio ‘se hai la parlantina arrivi fino a Kiev’, attraversò tutta la Russia e la Germania e si presentò a Firenze come richiesto, senza sapere una parola di nessuna lingua, tranne il russo”.
Tuttavia, proprio come suo zio, Nikolaj Demidov era famoso, piú che per le bizzarrie, per le sue opere di beneficenza: aiutò generosamente la città di Firenze, sostenne la chiesa e fondò diverse scuole. Dopo la sua morte la sua eredità passò al figlio, Anatolij Nikitič Demidov. Questi, che aveva sposato una nipote di Napoleone I, Matilde (figlia di Girolamo, fratello dell’imperatore), acquistò nei pressi di Firenze il principato di San Donato e vi fece costruire una villa. La chiesa privata di Demidov a San Donato fu per lungo tempo la chiesa ortodossa piú importante di Firenze. Anatolij Demidov incrementò anche le ricchissime collezioni paterne, completandole con ingenti quantità di vasi preziosi, di statue e di busti di marmo e di bronzo, tra cui anche alcuni pezzi reperiti nel corso degli scavi di Pompei e Ercolano. Quando, molti anni dopo, le collezioni della famiglia Demidov vennero trasportate a San Pi...

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