«Omnis mundi creatura
quasi liber, et pictura
nobis est, et speculum.
Nostrae vitae, nostrae mortis,
nostri status, nostrae sortis
fidele signaculum».
Alano di Lilla, Omnis mundi creatura, carmen, vv. 1–6
Introduzione
Pubblicando nel 1640 l’editio princeps dei Documenti d’Amore1 di Francesco da Barberino il nobile senese Federico Ubaldini, conte di Urbania e segretario del cardinale Francesco Barberini, sottolineò come la monumentale opera del notaio valdelsano avesse l’intento di voler insegnare «l’arte di renderci amabili con le belle maniere, e con i saggi avvisi, i quali ci conducono per quella strada per cui eternandosi la Fama, veniamo ad essere in ogni secolo felici».2 Tuttavia, agli occhi di un erudito secentesco pienamente inserito nelle dinamiche della curia romana, quale era l’Ubaldini, i Documenti d’Amore si presentavano degni di nota almeno per due altre ragioni. Proprio nel 1640, infatti, egli intraprendeva la stesura di una dettagliata storia della famiglia Barberini, rilavorata lungo tutta la sua vita e mai portata a termine,3 e individuava erroneamente in Francesco da Barberino un illustre antenato del Cardinale, per cui la pubblicazione dei Documenti aveva anche carattere encomiastico e doveva rendere omaggio alla «gloria di questa Casa».4 L’Ubaldini, inoltre, perseguiva l’intento, facilmente rintracciabile nella struttura dell’edizione, di far «ancora apparire qual fosse la prima età della nostra lingua, e chi cominciasse primieramente a sollevarla»,5 cosa perfettamente in linea con l’opera di riscoperta linguistica e filologica della lirica delle Origini che caratterizzò l’attività del senese, di cui ci resta traccia in numerosi codici della Biblioteca Apostolica Vaticana da lui annotati e trascritti.6
Proprio in virtù dell’interesse per gli autori medievali e del giudizio sulla purezza linguistica del valdelsano7 l’Ubaldini scelse di selezionare dai tre livelli di scrittura dei Documenti d’Amore solo il testo volgare, non pubblicando quindi né l’autotraduzione latina né le glosse, e pose a chiusura della sua edizione una lista di autori italiani e provenzali e una Tavola delle voci e maniere di parlare più considerabili usate nell’opera.8 L’editore secentesco aveva dunque individuato una delle colonne portanti dei Documenti, ovvero l’attenzione dedicata dal suo autore ai fatti linguistici,9 un fenomeno che viene declinato dal Barberino in modi diversi. Egli, infatti, struttura l’opera come un Bildercodex in cui il livello testuale si richiama costantemente a quello figurativo rendendo l’autore «equilibratore dei rapporti testo-immagine»10 e la scrittura, aggiungo, iconica e figurabile,11 ma vi include al contempo diversi excursus sulla doctrina dicendi che spaziano dal trattatello metrico contenuto nella parte seconda dell’opera,12 ai frequentissimi rimandi alla tradizione precettistica in cui campeggia la figura di Albertano da Brescia, fino all’impiego massivo di tecniche retoriche della divulgazione pastorale attinte dalle artes praedicandi.13
Federico Ubaldini si rivolge dunque ai Documenti d’Amore come a una fonte dalla quale trarre informazioni linguistiche e lessicali nonché la gloriosa genealogia della famiglia Barberini. Se quindi una lettura del poema come documento al contempo storico e linguistico è stata già tentata, ciò che potrebbe sensibilmente rivalutare il ruolo intellettuale del Barberino come abile utilizzatore di letteratura latina e volgare è la realizzazione di un repertorio esaustivo delle fonti impiegate nella coppia Reggimento-Documenti e una problematizzazione delle stesse nelle macroquestioni che modellano in filigrana l’intera opera letteraria del valdelsano, sebbene importanti sondaggi abbiano già fatto luce sul suo scrittoio.14 I Documenti non sono semplicisticamente quel manifesto del volgare illustre che l’Ubaldini voleva leggervi proprio perché la coesistenza di cultura latina, cultura in lingua d’oc e in lingua di sì non può essere messa in secondo piano, e se tale coesistenza ha valore strutturante nei tre livelli testuali dell’opera, diventa ancor più rilevante quando si analizza come lo stesso tema o la stessa problematica siano smembrati non solo nei diversi piani di scrittura, ma anche nella pluralità di fonti a cui il valdelsano attinge nel processo argomentativo.
L’approccio alla divinazione mi pare che sia un’utile cartina al tornasole nel tentativo di circoscrivere l’operato del valdelsano come auctor e la sua maniera di modellare le auctoritates per più di una ragione. Nei Documenti, infatti, Francesco rivela solide conoscenze dell’inquadramento giuridico, dottrinale e culturale della predizione del futuro, cosa che si ripercuote sull’architettura complessiva dell’opera attraverso il ricorso al linguaggio profetico o la stessa chiusa affidata ad Eternità. Inoltre, il percorso che la divinazione instaura nel testo volgare e nella glossa dei Documenti si articola attraverso molteplici rimandi che egli modula in base alle proprie esigenze comunicative, cosa che permette di avanzare alcune importanti considerazioni su ulteriori livelli di lettura riscontrabili nel testo oltre a q...