Dioniso
eBook - ePub

Dioniso

L'esaltazione dello spirito

Roberto Mussapi, AA.VV., Salvatore Renna, Roberto Mussapi, Roberto Mussapi

Compartir libro
  1. Italian
  2. ePUB (apto para móviles)
  3. Disponible en iOS y Android
eBook - ePub

Dioniso

L'esaltazione dello spirito

Roberto Mussapi, AA.VV., Salvatore Renna, Roberto Mussapi, Roberto Mussapi

Detalles del libro
Vista previa del libro
Índice
Citas

Información del libro

Dioniso appare come una divinità vicina alla sfera delle emozioni umane, un dio in un certo senso "popolare" e non aristocratico come gli splendidi sovrani dell'Olimpo omerico. Perciò il suo legame con le feste e i rituali di tutta la Grecia era molto forte. Dioniso in questo senso è davvero un dio «terribile e dolcissimo», come lo definisce il pur scettico Euripide nelle Baccanti. Un dio che nella sua complessità e nelle sue contraddizioni rappresenta uno degli aspetti più misteriosi e originali del paganesimo antico.

Preguntas frecuentes

¿Cómo cancelo mi suscripción?
Simplemente, dirígete a la sección ajustes de la cuenta y haz clic en «Cancelar suscripción». Así de sencillo. Después de cancelar tu suscripción, esta permanecerá activa el tiempo restante que hayas pagado. Obtén más información aquí.
¿Cómo descargo los libros?
Por el momento, todos nuestros libros ePub adaptables a dispositivos móviles se pueden descargar a través de la aplicación. La mayor parte de nuestros PDF también se puede descargar y ya estamos trabajando para que el resto también sea descargable. Obtén más información aquí.
¿En qué se diferencian los planes de precios?
Ambos planes te permiten acceder por completo a la biblioteca y a todas las funciones de Perlego. Las únicas diferencias son el precio y el período de suscripción: con el plan anual ahorrarás en torno a un 30 % en comparación con 12 meses de un plan mensual.
¿Qué es Perlego?
Somos un servicio de suscripción de libros de texto en línea que te permite acceder a toda una biblioteca en línea por menos de lo que cuesta un libro al mes. Con más de un millón de libros sobre más de 1000 categorías, ¡tenemos todo lo que necesitas! Obtén más información aquí.
¿Perlego ofrece la función de texto a voz?
Busca el símbolo de lectura en voz alta en tu próximo libro para ver si puedes escucharlo. La herramienta de lectura en voz alta lee el texto en voz alta por ti, resaltando el texto a medida que se lee. Puedes pausarla, acelerarla y ralentizarla. Obtén más información aquí.
¿Es Dioniso un PDF/ePUB en línea?
Sí, puedes acceder a Dioniso de Roberto Mussapi, AA.VV., Salvatore Renna, Roberto Mussapi, Roberto Mussapi en formato PDF o ePUB, así como a otros libros populares de Histoire y Histoire de la Grèce antique. Tenemos más de un millón de libros disponibles en nuestro catálogo para que explores.

Información

Editorial
Pelago
Año
2021
ISBN
9791280714411

Il racconto del mito

Bacco ebbro, dio del vino, nell’interpretazione scultorea di Michelangelo al Bargello di Firenze.
Bacco ebbro, dio del vino, nell’interpretazione scultorea di Michelangelo al Bargello di Firenze.

Chi è Dioniso?

Avviso ai naviganti: la domanda presente nel titolo può essere solo ingenua, o maliziosa: chi la pone, o non ha conoscenza del personaggio o lo conosce bene e sa che la domanda non può avere risposta. Una domanda dispettosa, come dispettoso sa essere Dioniso. Ammesso che si possa rispondere con certezza storica a una domanda su un personaggio del mito – è un errore, diffuso tra gli studiosi di cose antiche, quello dell’ossessione anagrafica, della cronologia a tutti i costi di chi è per natura senza tempo e quindi mai fuori dal tempo –, ammesso che qualcuno possa mai dirci, definitivamente, chi è Ulisse, chi è Amleto, chi è Moby Dick, il caso Dioniso è comunque differente. Infinite e incessanti le interpretazioni che l’uomo svolge di Ulisse o di Amleto, ma tutte convergono su un nucleo forte del personaggio. Ogni lettura condivide un tema centrale della figura in questione: nessuno può negare a Ulisse il tema del viaggio, che si può articolare in mille modi. Il suo, per esempio, è un ritorno. Ma lo è del tutto? Ulisse vuole sempre, sempre volle, fortissimamente volle tornare a Itaca? Anche quando incontrò Calypso, la ninfa della grotta sottomarina che lo incantò tra le sue braccia? Solo un piccolo esempio: Ulisse rappresenta una realtà simbolica complessa, da cui certo il tema del viaggio, dell’isola, del mare, sono ineludibili. Nelle finite pagine su cui l’umanità continua a interrogarlo, da millenni.
Complesso per antonomasia, anche perché premoderno: Amleto; per molti un indeciso e incuboso intellettuale debilitato, per altri, tra cui il sottoscritto, un eroe tragico, in un certo senso. Ma certo nessuno può eludere o escludere un nucleo forte di Amleto: il giovane principe che scopre la verità da uno spettro, il fantasma di suo padre morto. E, tra le nebbie del castello di Elsinore, si interroga da subito se le parole di uno spettro (rivelanti che il padre è stato ucciso, e che quindi Amleto deve vendicarlo e riavere quanto per diritto divino spetta al suo sangue) siano il vero, o un inganno del diavolo avvezzo a mutare di sembianza. Se credere alle apparizioni o diffidarne. La maggior parte dei personaggi del mito sono in ultima analisi inafferrabili (come l’acqua che scorre, o il vento), ma certo legati a un simbolo forte, riconoscibile. Il mare (che è l’ignoto), per Ulisse, il Castello (che è il mondo), per Amleto. E potremmo proseguire. Ma qui ci occupiamo di Dioniso: ecco, nel suo caso è difficile definire, fermare subito un nucleo simbolico forte. Non sapremo mai, e discuteremo, scriveremo, reciteremo all’infinito, se Moby Dick è un essere malefico o benefico: ma di certo è la Balena bianca, invincibile, simbolo dell’ignoto del mare in cui domina, simbolo del mistero e del mito.
Dioniso è un outsider sia nell’Olimpo greco sia nel mito come si svela meravigliosamente nell’esperienza umana. Non si sa mai da dove arrivi, non si comprende mai bene chi sia. È lo stesso Dioniso che ci vuole confondere, come e più di quanto volle confondere i Greci nel cui Parnaso apparve. È potente, vitale, la sua esistenza non solo è indubbia ma esuberante. Ma non ci fa mai comprendere da dove giunga e chi sia. Gli altri dèi del mondo greco, gli dèi dell’Olimpo, hanno templi e statue, Dioniso no. Inoltre essi stanno, solennemente e luminosamente, nell’Olimpo: Dioniso, a quanto risulta, può avervi fatto qualche scappata. Vive altrove, nei boschi, sulle spume del mare, nei torrenti, nel soffio della brezza sui salici. Nel suo nascondere la propria identità è sincero: il suo simbolo, il suo altare, ciò che attesta la sua presenza, è una maschera. Una maschera affissa a un palo. Lì c’è Dioniso. Che è il dio del teatro, l’arte di assumere sembianza illusoria, recitando finzioni per condurci alla rivelazione del vero.
Il teatro nasce con Dioniso. Poi la tragedia, il teatro occidentale, si sviluppa formalmente e drammaticamente in Grecia, fino a Shakespeare. Ma tutto il teatro del mondo, dalle grotte di Altamira e Lascaux, dove ne vedremo il rito battesimale, nasce con Dioniso. Ecco perché, come scopriremo, il dio si maschera bene.
Dioniso, in sintonia con la quasi totalità degli dèi del mondo greco, ha più di un nome. I suoi due principali sono appunto Dioniso e Bacco. Vedremo come Dioniso, o Bacco, sia da subito e sempre un dio tragico, potente, vitale, legato al mistero ma anche alla gioia della vita.
Va chiarito immediatamente un equivoco: il Bacco rubicondo e ridente che vediamo nelle insegne (ahimè, sempre meno) di tante vecchie trattorie romane, con il volto allegro e il fiasco, un’icona simile a quella del cuoco con il pollo arrosto o gli spaghetti nel piatto di portata, non c’entra niente con il dio Bacco.
Bacco, che è Dioniso come Bob Dylan è Robert Zimmerman, è un dio legato alla vite nel suo euforico mistero di gioia, all’ebbrezza, ma ebbrezza orgiastica, rituale, con cui l’uomo cerca di uscire dai limiti del tempo per accedere a una sorta di elevazione spirituale. Pensiamo a Socrate che si scusa con i discepoli per non avere bevuto abbastanza prima dell’incontro e quindi teme di non essere ispirato. Dioniso è magro, androgino, complesso. E Bacco è lui.
A Roma venne accolto e compreso esattamente come in Grecia. Nelle pagine del grande poeta Ovidio si svela questa sua natura e, nelle fiabe meravigliose, il modo in cui agisce. Passato il tempo antico, nella Roma barocca e cristiana, quella magica delle osterie, Bacco ha perduto la sua regalità ed enigmaticità divina. È diventato il dio del vino e del magnà, ma nel senso gioioso e non certo rituale della Festa de Noantri. E così in tutta la penisola, Bacco è insegna di trattoria dove si beve e si mangia molto, in allegria. Un suo scherzo, da attore. Uno scherzo da Bacco. Si è mascherato.
Una maschera affissa a un palo. Lì c’è Dioniso. Che è il dio del teatro, l’arte di assumere sembianza illusoria, recitando finzioni per condurci alla rivelazione del vero. Il teatro nasce con Dioniso. Poi la tragedia, il teatro occidentale, si sviluppa formalmente e drammaticamente in Grecia, fino a Shakespeare. Ma tutto il teatro del mondo, dalle grotte di Altamira e Lascaux, dove ne vedremo il rito battesimale, nasce con Dioniso.
Ma dura poco. Noi ci occupiamo del vero Bacco, di Dioniso, quello, che, siamo certi, non comprenderemo mai.

Le metamorfosi di un dio

Dioniso ha comunque una caratteristica evidente: appare all’improvviso, in forme diverse, e manifesta magicamente le sue straordinarie energie. Questo in tutte le storie in cui lo si incontra. Infatti i Greci stessi lo ritenevano giunto da Oriente, seppur il mito lo considera nato a Tebe, e figlio di Zeus. Molti gli episodi fondamentali che ne indicano l’ubiquità, la natura di viaggiatore, e la sua unicità nel mondo degli dèi olimpici.
La città di Tebe viveva un momento di caos drammatico. Le vie erano percorse da donne invasate che celebravano riti orgiastici in onore di una nuova divinità, giunta non si sapeva da dove. Il re Penteo era infuriato. «Che pazzia vi sconvolge la mente? – disse Penteo – Tanto potere ha quindi il bronzo percosso col bronzo, il flauto dalla canna ricurva, su gente che non ha avuto paura delle spade e delle trombe di guerra, delle schiere con le lance in pugno? Ora i valorosi cittadini di Tebe si lasciano irretire da voci femminili, dall’ebbrezza provocata dal vino, da una masnada oscena che percuote vuoti tamburelli? I tebani hanno superato ogni guerra, lottando eroicamente. Ma se era destino che Tebe morisse, sarebbe stato meglio a causa del ferro nemico, non di urla, tamburelli, vino e danze effemminate in onore di un ragazzino inerme, che non ama né le guerre né i dardi né l’uso dei cavalli, ma i capelli unti di mirra, ghirlande femminee e vestiti tinti di porpora e ricamati d’oro! Tebe gli sbatterà le porte in faccia, adesso quindi andate a prenderlo, vi ordino di catturarlo e portarlo qui da me, incatenato. E non siate vili, non abbiate paura di un ragazzino efebico!»
I dignitari tentarono di trattenerlo, rimproverandolo per il rischio avventato a cui si esponeva, ma il risultato fu di incattivirlo ulteriormente, come un fiume, le cui acque scorrono tranquille senza incontrare intoppi, ma non appena tronchi o macigni le ostacolano, si agitano e spumeggiano ribollendo.
Inutile quindi ogni tentativo di placarlo, mentre i servi tornavano, tutti graffiati, con un uomo incatenato. Dissero di non aver scorto Dioniso, nel luogo dove poco prima era stato visto, come se fosse scomparso nel nulla, ma di avere catturato quell’uomo, un suo adepto, che partecipava ai riti in onore del nuovo dio.
Trattenendo a stento la collera Penteo gli chiese chi era, da dove veniva e perché seguiva quei riti dementi. Gli ingiunse di raccontare tutto, perché poi sarebbe stato punito con la morte, a esempio e monito per tutti i cittadini di Tebe. Con stizza, Penteo si accorse che l’uomo non era per nulla intimorito, né scosso dalla condanna a morte. E iniziò con calma, quasi sorridendo, il suo racconto.
«Mi chiamo Acete, sono della Meonia, e i miei genitori erano povera gente. Mio padre non ha potuto lasciarmi campi da arare e buoi per tirare l’aratro, né greggi o altro bestiame. Mio padre, ripeto, era povero, e si procurava il cibo con il filo e con l’amo e la canna, pescando i pesci dal mare. Morendo mi disse che mi poteva lasciare solo ciò che aveva, il mare. Questa è l’unica eredità che ho ricevuto. Io, per non passare la vita attaccato allo stesso scoglio, imparai come si governa un timone, e mi impressi negli occhi le costellazioni. Con i denari risparmiati acquistai una piccola barca e cominciai così una nuova attività di pesca, devo dire molto più fruttuosa della precedente. Ora potevo permettermi anche un equipaggio, il mercato al villaggio aspettava a ogni alba le mie ceste di pesce. Per caso, diretto a Delo, approdai sulle spiagge di Chio, per passare la notte. Al mattino, quando ci svegliammo, accanto alle ceneri dei fuochi dove avevamo arrostito le triglie e le murene, un po’ intontiti dal molto vino, sbadigliando ma di buon umore per la fresca brezza marina e il sole caldo che ci animava a poco a poco, ripartimmo, e vidi che i pescatori avevano portato a bordo un ragazzino, trovato come preda in una spiaggia poco lontana, quando già avevamo bevuto molto vino e ci piegavamo pieni di pesce e pane senza poter connettere bene. Poco dopo averlo visto nei bagliori del fuoco che si spegneva crollavo addormentato, come tutti i miei compagni, gonfi di vino come otri. Solo al mattino, salendo a bordo, mi accorsi bene della sua presenza. Appesantito dal vino e sonnolento, il giovane barcollava, ma io mi accorsi subito che non poteva essere un umano. Dissi all’equipaggio: “Non so quale presenza divina sia in questo ragazzo, ma sono certo che in questo corpo si manifesta un dio”. Gli altri risposero ridendo e schiamazzando, avvicinandosi al giovane dall’aspetto virgineo con pacche pesanti sulla schiena e pizzicotti sui glutei, ai quali non reagiva, tutto tremante e barcollante. Eppure io ero certo di avere di fronte un dio. “Chiunque tu sia, proteggi la nostra rotta e la nostra pesca, e soprattutto perdona questi uomini, che non sanno quello che vedono”.
“Quanto a noi, dispensaci dalla preghiera, bel ragazzo – esclamò ridendo con la sua voce grassa Tullio – limitati alla prima parte, a rendere allegra e felice la nostra navigazione!” E così dicendo gli diede una pacca sulla schiena e lo abbracciò mentre tutti scoppiavano in una fragorosa risata per poi mettersi ai remi di tutta lena. Allora io mi alzai in piedi e dissi che anche se non lo ricordavano, la navicella era mia, e a me spettava il comando, ma quelli, presi dal desiderio della preda, remavano senza darmi retta, e Rutilio mi si fece incontro e mi spinse al petto, facendomi cadere e rischiare di andare a mare. Mi salvai aggrappandomi al cordame, e mentre tutti ridevano oscenamente io piangevo, perché, anche se contro il mio volere, la mia ciurma stava offendendo un dio.
Allora il giovane, come se all’improvviso si fossero dissolti i fumi del vino e la sonnolenza fosse scomparsa, si scosse e chiese: “Dove sono? Dove mi state portando? Come sono arrivato qui? Chi siete?” “Non aver paura – disse Tiberio – indicaci solo i porti che desideri toccare e sarai accontentato. Vero amici?” “Verissimo!”, risposero tutti remando di lena e ridendo sguaiatamente. “Vorrei che mi portaste a Nasso, visto che siete così gentili. Vengo da Nasso, e lì troverete una terra ospitale” “E allora ti portiamo a Nasso, che vuoi che sia? Amici, a est, verso Nasso, accontentiamo il nostro ospite”. E io rivolto al timoniere, ormai spaventato dalla loro folle solidarietà di commilitoni: “Stai scherzando con un dio”. Ma ormai avevo perso il controllo degli uomini. Tiberio mi venne incontro brandendo un coltello, cosa che non mi fece di per sé molta paura, perché lo sapevo codardo mentre io sono un eccellente lottatore, ma ciò che mi fece comprendere la situazione fu l’assenso questa volta completamente muto di tutti gli altri, che guardavano minacciosi verso di me e sorridenti verso il ragazzo. Allora dissi: “Tiberio, tocca a me il timone, ma te lo lascio, perché non sono più il vostro comandante e il signore di questa nave. Io non partecipo alla vostra azione. Resta pure al timone, dimenticami, un giorno, a terra, ci rivedremo. Tutti. Ci rivedremo”. “Vedo che sei un uomo ragionevole, Acete – disse ridendo Tiberio – e in considerazione di tutto questo non saremo avari con te. Questo nobile ragazzino è ospite della tua nave”. Allora il dio si mise a piagnucolare come un ragazzino pauroso e effemminato, balbettando: “Ma voi non mi state portando verso Nasso, lo ha detto il padrone della barca. Voi mi state ingannando, e forse volete farmi del male. Mi sembra ingiusto verso un povero ragazzino triste e solo. Non vi ho fatto niente che vi possa dispiacere. Non fatemi così paura!” E mentre Rutilio gli passava una mano sui fianchi dicendo: “Coraggio bambino, non avere paura, ti stiamo preparando un’accoglienza regale”, mentre la sua voce tremula di grasso vomitava queste parole e io mi raccoglievo terrorizzato per l’empietà che avveniva a bordo della mia nave, il volto del ragazzo, del giovane dio, s’incoronò di grappoli d’uva e il suo sguardo divenne sfavillante e irridente, e attorno a lui apparvero dal nulla tigri, forme inconsistenti di linci e corpi variegati di minacciose pantere. E più gli uomini insistevano ai remi più si accorgevano che questi erano impigliati in un’edera invincibile, sorta d’incanto dal fondo del mare, la navicella non si muoveva e quella immobilità seminò in loro il terrore. Allora disperatamente si buttarono in mare, e appena toccate le onde Tiberio prese a scurirsi nel corpo e a piegarsi con un’evidente curvatura della spina dorsale. E mentre Rutilio gli gridava: “In che cosa ti trasformi?”, la voce cambiava perché la sua bocca si allargava in quella di un grosso pesce, mentre il suo corpo si copriva di squame. E un altro, di cui non ricordo il nome, vide i propri arti mutarsi in pinne, e poi i suoi occhi arrotondarsi e gonfiarsi come quelli delle cernie che la sera prima avevamo arrostito. Non ricordo il suo nome non a caso: perché niente fece di memorabile da uomo, l’unico episodio significativo della sua vita fu quando si mutò in pesce. Un altro si trovò a saltare argentino nell’acqua mentre credeva di nuotare, simile a un delfino, anzi non simile, era un delfino. Saltavano da ogni parte, irrorandosi di spruzzi, riemergendo e rituffandosi sott’acqua, danzando come in gioco nei corpi gioiosi, per il divertimento del giovane dio che partecipava entusiasta e immobile de...

Índice