Da Clausewitz a Putin: la guerra nel XXI secolo
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Da Clausewitz a Putin: la guerra nel XXI secolo

Riflessioni sui conflitti nel mondo contemporaneo

Matteo Bressan, Giorgio Cuzzelli

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  1. 190 páginas
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Da Clausewitz a Putin: la guerra nel XXI secolo

Riflessioni sui conflitti nel mondo contemporaneo

Matteo Bressan, Giorgio Cuzzelli

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Dalle Torri Gemelle alle insurrezioni in Irak e in Afganistan, dalle proxy wars nel Levante e nel Golfo Persico al ruolo della Wagner in Nord Africa e nel Sahel, dalle sfide nello spazio cibernetico alla nuova corsa per la conquista dello spazio e, infine, dal programma navale della Repubblica Popolare Cinese ai T-72 russi schierati alla frontiera dell'Ucraina. Il filo conduttore che unisce questo mosaico, pur nella diversità delle forme e delle rappresentazioni, è sempre lo stesso: imporre con la forza la propria volontà all'avversario.È la logica della violenza organizzata, della guerra che si è ripresentata alle porte di casa nostra. Mai come in questo momento il mondo è apparso così insicuro. È quindi necessario conoscere, per comprendere e per difendersi. Questo libro, attraverso il contributo di alcuni tra i più qualificati studiosi italiani della materia, ha l'ambizione di spiegare l'evoluzione della guerra moderna dalla teoria alla pratica, dalle idee di Clausewitz e di Sun Tzu ai cingoli di Putin e alle navi di Xi Jinping.

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Información

Editorial
Ledizioni
Año
2022
ISBN
9788855266475
Quarta parte. Uno sguardo ai giorni nostri
12. Guerra d’altri tempi: la Corea del Nord
e l’atomica di Kim Jong Un
di Stefano Felician Beccari
Le complesse dinamiche di sicurezza che riguardano la penisola di Corea abbracciano un insieme variegato e completo di opzioni: nell’area, infatti, coesistono potenzialità di un confronto “simmetrico” di tipo convenzionale, per di più cristallizzato in una dimensione da Guerra fredda (stato “pro-Usa” versus stato “pro-comunismo”) e di un confronto non convenzionale. Quest’ultimo, particolarmente sfruttato dal Nord, si articola a sua volta su diversi piani: se ormai il ricorso al terrorismo è diminuito (negli anni si sono succedute da infiltrazioni e attacchi in territorio sudcoreano ad addirittura un attentato contro soggetti sudcoreani in Myanmar1) più recentemente non sono mancati omicidi mirati (come l’assassinio di Kim Jong Nam all’aeroporto di Kuala Lumpur, «degno di un film di James Bond2»), spionaggio, disinformazione e attacchi informatici, rivolti non solo ai rivali del Sud ma anche a soggetti terzi, come nel caso della compagnia giapponese Sony3.
Nelle dinamiche non convenzionali che coinvolgono la penisola di Corea svetta poi la più ingombrante e minacciosa, anche in chiave regionale: la variabile nucleare, da anni ben presente nei dibattiti che interessano la geopolitica dell’Asia Pacifica.
Frutto di una ricerca decennale, di lunghi e complessi tentativi, di tormentate negoziazioni ed esperimenti, di offerte di denuclearizzazione e repentini ripensamenti, il nucleare del Nord è la somma di un vasto insieme di fattori; ne consegue che, complessivamente, l’atomica dei Kim si presti a diversi piani di lettura e di analisi che vanno oltre la mera dimensione militare. Il nucleare di Pyongyang può essere quindi affrontato con una lettura analitica attraverso diversi livelli, che partono dall’elemento più tangibile (la dimensione militare del nucleare) per poi arrivare alla dimensione politico-simbolica (il ruolo del nucleare per la propaganda), alla dimensione diplomatica (il nucleare come elemento che influenza le dinamiche regionali e geopolitiche del Nord) ed infine alla dimensione tecnologica (ovvero i rapporti fra gli sviluppi missilistici e l’arsenale nucleare). La somma di questi piani di lettura può offrire un’immagine più completa e precisa delle implicazioni che ha questa tecnologia per la Corea del Nord e la dinastia “regnante” nel paese.
Il nucleare nordcoreano: la dimensione militare
Le implicazioni più immediate dell’atomica nordcoreana si legano direttamente alla nascita stessa del paese; per la precisione, alla Guerra di Corea (1950-1953) nella quale l’allora comandante delle truppe delle Nazioni Unite, il celebre Generale MacArthur, minacciò di usare la neonata arma atomica contro i cinesi, alleati del Nord («il suo dito era sul grilletto nucleare4»). Se questa prospettiva rimase teorica, dopo la fine della guerra e fin dagli anni ’50 Kim Il Sung, fondatore della Corea del Nord, comprese come il nucleare (non solo civile) costituisse una grande opportunità per il paese. Ondeggiando con destrezza fra il supporto sovietico e quello cinese, il fondatore del paese riuscì quindi a ottenere supporto e know-how specifico, seppur con riluttanza, da sovietici e cinesi. Negli anni ’80, con l’adesione al Trattato di non Proliferazione Nucleare5, il percorso del nucleare militare nordcoreano sembrava destinato ad esaurirsi; la successiva carestia e grave crisi interna della Corea del Nord confermò il (temporaneo) allontanamento del nucleare dall’agenda di Pyongyang. Ma con il ritiro unilaterale dal Trattato di Non Proliferazione Nucleare (NPT) nel 20036 e la successiva ammissione di un programma nucleare militare, lo status di potenza atomica del Nord si rafforzò, mentre, in parallelo, la diplomazia cercava di riaprire degli spiragli negoziali per fermare questo sviluppo militare di Pyongyang. Il formato più noto fu il c.d. Six Party Talks, “i dialoghi a sei”, «finalizzati a far cessare il programma nucleare nordcoreano tramite negoziazioni con la Cina, gli Stati Uniti, la Russia, il Giappone e le due Coree7»: dopo diversi anni di negoziati infruttuosi, però, i Six Party Talks persero la loro spinta propulsiva, senza aver conseguito risultati rilevanti.
In parallelo alle preoccupazioni della comunità internazionale, invece, cresceva l’impegno di Pyongyang a testare la capacità atomica: con il primo esperimento, avvenuto nell’ottobre 2006, la Corea del Nord iniziava de facto la sua presenza nell’elitario “club nucleare” mondiale, confermando la sua scelta controcorrente. Nel corso degli anni esperimenti del genere sono proseguiti a cadenza di circa tre o quattro anni, con l’eccezione del 2016, in cui vi furono due test nello stesso anno. Ecco che quindi i vari test del 2006, 2009, 2013, 2016 (due test) e 2017 sono serviti a consolidare la presenza dell’atomica nell’arsenale nordcoreano, dimostrando al mondo come i Kim abbiano, fra le loro opzioni militari, anche il potere dell’atomo. Anzi, la Corea del Nord è stato l’unico stato al mondo che ha effettuato test nucleari nel XXI secolo, un poco ambito primato che la comunità internazionale, Cina compresa, ha sempre stigmatizzato.
L’analisi della capacità nucleare del Nord va inserita nel particolare contesto della difesa del piccolo paese asiatico. Come noto, da anni la Corea del Nord svetta nelle classifiche mondiali per la quantità di soggetti sotto le armi: su un totale di circa 25 milioni di abitanti Pyongyang dispone di 1,2 milioni di militari in servizio attivo, 600.000 riservisti e ben 5,7 milioni di paramilitari8. Sono numeri impressionanti che, a livello quantitativo, collocano il Nord fra gli stati con gli organici militari più consistenti al mondo; ma dietro questa facciata così “muscolare” si nasconde un insieme di tecnologie, sistemi d’arma e capacità ben al di sotto degli standard attuali. Una semplice occhiata agli arsenali del Nord fa facilmente comprendere come a livello terrestre, aereo e navale il livello tecnologico nordcoreano sia sostanzialmente modesto, e questo spiega, in parte, anche il ricorso alla dimensione nucleare: per questo, nelle parole dell’autorevole International Institute for Strategic Studies, «la Corea del Nord, consapevole dell’inferiorità qualitativa delle sue forze convenzionali, ha investito in capacità asimmetriche, in particolare nello sviluppo di armi nucleari e missili balistici9». In altre parole, come garanzia della sicurezza esterna e per compensare la debolezza delle proprie capacità militari, Pyongyang ha accelerato lo sviluppo dell’atomica proprio per compensare il progressivo invecchiamento del proprio arsenale convenzionale. La sola presenza di una embrionale capacità atomica è infatti sufficiente a (ri)bilanciare a favore del Nord il disequilibrio tecnologico e capacitivo che sconta nei confronti del Sud e degli statunitensi; ecco che quindi la variabile nucleare assume una rilevanza militare che ormai nessuno nella regione può evitare di considerare. È ovviamente una concezione nucleare “difensiva”, soprattutto nei confronti degli Stati Uniti: è infatti improbabile che i Kim possano o vogliano utilizzare questa capacità contro un avversario. Piuttosto, disporre di un seppur piccolo arsenale atomico allontana, o renderebbe comunque estremamente costoso in termini economici, militari e di vite umane, una violazione della sovranità nordcoreana. Queste considerazioni quindi permettono di introdurre un’altra riflessione “interna” sul nucleare del Nord, ovvero la sua dimensione politico-simbolica.
Il nucleare nordcoreano: la dimensione politico-simbolica
L’importanza “militare” dell’atomica dei Kim se da un lato è il necessario punto di partenza di ogni analisi, dall’altro, però, non riesce forse a dare tutte le risposte ad una scelta così controversa. Aver optato per una capacità nucleare esplicita e aver effettuato diversi esperimenti nel primo ventennio del secolo è infatti “costato” molto a Pyongyang, in termini di isolamento e critiche anche da parte di paesi vicini e alleati, come Russia e Cina. Ma, nel contempo, ricorrere al nucleare ed anzi esaltarne così tanto gli esperimenti (come, peraltro, sono esaltati i test missilistici) trascende la dimensione militare del nucleare per passare nel campo della politica interna ed addirittura della propaganda. E infatti in Corea del Nord la retorica che circonda il nucleare è perfettamente in linea con i dettami del governo, del Partito e con i desiderata della famiglia Kim: rafforzare nella popolazione quel sentimento di “sindrome da assedio” che è già naturalmente presente nella mentalità nordcoreana. Piccola penisola circondata da vicini ambiziosi, per centinaia di anni la Corea, quando ancora era unita, è stata attratta nelle sfere di influenza delle dinastie cinesi o, più recentemente, in quella giapponese. Quest’ultima (1910-1945) è stata particolarmente tragica, ed è una ferita ancora aperta nell’immaginario collettivo sia del Nord che del Sud. Ebbene, dopo la Guerra di Corea, per il Nord di Kim Il Sung il cardine politico è sempre stato l’indipendenza e, per quanto possibile, la “non ingerenza” da parte di soggetti terzi nella propria sovranità. Per rinforzare questo concetto, e nel contempo garantirsi dal sempre più vistoso decadimento del proprio arsenale convenzionale, ecco che la scelta dell’atomica si è rivelata decisiva, proprio perché garantisce la sovranità all’esterno e nel contempo rafforza la coesione nazionale all’interno...

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