Il testo di von Ivánka non è soltanto di interesse storico, ma arriva anche a delle preziose conclusioni sistematiche. Esso non offre cioè solo delle informazioni sulla solitamente poco conosciuta storia dell’impero bizantino e russo, ma offre dei giudizi precisi sul complesso rapporto che esiste tra la fede cristiana e la politica in generale.
Per comprendere l’importanza sistematica e l’originalità del libro di von Ivánka conviene tener conto del contesto prossimo della storia del problema trattato. Il libro si inserisce in una vivace discussione sull’adeguata comprensione del rapporto tra Stato e Chiesa che si sviluppò in Germania negli anni Trenta. Due autori soprattutto furono famosi per le loro tesi contrastanti. Il primo è Carl Schmitt, il cui scritto Teologia politica. Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità sembrava offrire una giustificazione teologica del regime autoritario di Hitler [1] . Il secondo è invece Erik Peterson il quale, nel suo scritto Il monoteismo come problema politico, negò categoricamente la possibilità di appellarsi alla fede per poter giustificare qualsiasi tipo di regime politico [2] .
Carl Schmitt
Il giurista Carl Schmitt afferma che esiste un nesso molto stretto tra la politica e la teologia. La fede di ogni popolo si rispecchia sempre nella sua modalità di organizzare la società. Nella sua opera Teologia politica, la cui prima edizione vide la luce già nel 1922, sostiene che «tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati» [3] . Il concetto di sovranità si applica così da una parte a Dio che è sovrano perché sta sopra le leggi di natura, e dall’altra anche a quel supremo potere politico che possiede il diritto di prendere delle decisioni in un eventuale stato d’emergenza nel quale le leggi normali non vengono più considerati vincolanti. Rousseau, per fare un altro esempio, applicava al sovrano politico le principali qualità di Dio: egli può fare ciò che vuole, ma non può volere il male; tutto ciò che vuole è automaticamente bene; non si può mai criticare le decisioni di un sovrano.
Schmitt utilizzò la tesi di uno stretto rapporto tra concetti teologici e politici per criticare la società liberale e tecnocratica: essa parte da un concetto troppo debole di Dio. Nei loro confronti preferisce decisamente impostazioni come quella di Juan Donoso Cortés. Costui ritiene che il liberalismo democratico sia incompatibile con la fede cattolica perché nega, se pensato fino alle sue ultime conseguenze, che la fede in Dio possa giocare un ruolo nella legislazione umana. Egli scrive infatti: «La teoria della sovranità costitutente del popolo è di natura atea, e sta nella scuola liberale soltanto come l’ateismo sta nel deismo, come conseguenza lontana, quantunque inevitabile» [4] . Schmitt condivide pienamente tale impostazione.
Come il liberalismo, in ogni occasione politica, discute e transige, così esso potrebbe risolvere in una discussione anche la verità metafisica. La sua essenza consiste nel trattare, cioè in una irresolutezza fondata sull’attesa, con la speranza che la contrapposizione definitiva possa essere trasformata in un dibattito parlamentare e possa così venire sospesa per mezzo di una discussione eterna. La dittatura è l’opposto della discussione. È proprio del decisionismo dello spirito di Cortés di fare riferimento sempre al caso estremo, di attendere l’ultimo tribunale [5] .
Nel 1933 Carl Schmitt aderisce al partito nazionalsocialista e diventa presidente dell’Unione dei giuristi nazionalsocialisti. Quando nel 1934 pubblica nuovamente la Teologia politica le sue tesi vengono interpretate come una giustificazione del regime autoritario di Hitler su base teologiche.
Erik Peterson
In risposta al giurista Schmitt il teologo Erik Peterson ripubblica nel 1935 due contributi, già precedentemente apparsi, ormai riuniti in un unico volume dal titolo Il monoteismo come problema politico. In questo testo nega la possibilità di una teologia politica nell’ambito del cristianesimo. Peterson esemplifica le sue idee con il pensiero dei padri della Chiesa, criticando in particolare quelli che videro nell’impero Romano una provvidenziale corrispondenza con la fede cristiana. Molti padri vedevano infatti nel superamento della divisione tra le nazioni da parte dell’impero Romano a partire da Augusto uno svil...