Roma, Bisanzio, Mosca.
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Roma, Bisanzio, Mosca.

Le concezioni di "impero" e di "popolo di Dio" nello sviluppo culturale dell'Europa orientale

Endre Von Ivanka, Michael Konrad, Ida Soldini

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Le concezioni di "impero" e di "popolo di Dio" nello sviluppo culturale dell'Europa orientale

Endre Von Ivanka, Michael Konrad, Ida Soldini

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Gli antichi romani pensavano che, grazie alla qualità ideale del loro ordinamento giuridico, potessero mirare a realizzare una comunità umana universale. Anche i cristiani, avendo ricevuto un mandato da parte di Dio di riunire tutti gli uomini in un solo popolo, si trovavano con una missione universale in questo mondo. Come coordinare queste concorrenti pretese di universalità da parte dell’Impero e della Chiesa?
In questo libro, il bizantinista Endre von Ivánka affronta questa domanda esaminando differenti concezioni di “impero” e di “popolo di Dio” in tre epoche storiche: la prima dall’ascesa dell’imperatore Augusto fino alla caduta dell’Impero d’Occidente nel 476; la seconda dall’affermarsi dell’Impero Bizantino fino alla sua caduta nel 1453. L’ultima considera gli sviluppi all’interno dell’ortodossia russa fino alla Rivoluzione d’ottobre.
Secondo von Ivánka, le importanti differenze tra cattolici e ortodossi nella concezione del rapporto tra Chiesa e Stato sono da ricondurre più a fattori storici che a eventuali influssi culturali sui bizantini, estranei alla tradizione europea. Alcuni importanti eventi storici degli ultimi due secoli potrebbero inoltre accendere la speranza di un riavvicinamento dei due ambiti culturali e religiosi.

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Información

Año
2022
ISBN
9788838252075

1. Vita e opera di Endre von Ivánka

Endre von Ivánka nasce il 24 settembre 1902, a Budapest, in una famiglia della nobiltà ungherese. Dopo un anno di studio di teologia a Vienna e uno a Roma, torna a Vienna per dedicarsi allo studio della filologia classica e della storia [1] . Nel 1926 consegue a Vienna un dottorato sulla filosofia pratica di Aristotele con il prof. Hans von Arnim. Nel 1933 infine conclude i suoi studi con una abilitazione nell’ambito della filosofia antica a Budapest.
Dal 1941 al 1944 insegna Filologia classica all’università di Cluj (oggi Romania). Nel 1945 viene chiamato all’università di Vienna e nel 1947 accetta una cattedra di Filologia classica presso l’università di Graz, dove, a partire dal 1961 e fino al suo pensionamento avvenuto nell’anno 1969, insegnerà Filologia bizantina. Von Ivánka muore il 6 dicembre 1974 a Vienna.
Durante la sua vita, Endre von Ivánka ha pubblicato numerosissimi articoli su diverse riviste e anche tre monografie importanti: Hellenisches und christliches im frühbyzantinischen Geisesleben, Herder, Wien 1948 [2] ; Plato Christianus. Übernahme und Umgestaltung des Platonismus durch die Väter, Johannes, Einsiedeln 1964 [3] ; Rhomäerreich und Gottesvolk. Das Glaubens-, Staats- und Volksbewußtsein der Byzantiner und seine Auswirkungen auf die ostkirchlich-osteuropäische Geisteshaltung, Alber, Freiburg 1968. Dopo la sua morte è stata editata una raccolta di suoi saggi sotto il titolo Aufsätze zur byzantinischen Kultur, Hakkert, Amsterdam 1984 [4] .
Qui si offre la traduzione italiana di Rhomäerreich und Gottesvolk. Das Glaubens-, Staats- und Volksbewußtsein der Byzantiner und seine Auswirkungen auf die ostkirchliche-osteuropäische Geisteshaltung. In questo testo del 1968 von Ivánka analizza lo sviluppo storico dell’idea romana di «impero» e dell’idea di «popolo di Dio». Attraverso la storia di questi due concetti von Ivánka illustra il mutevole rapporto tra Chiesa e Stato durante gli ultimi duemila anni, con particolare riguardo al mondo orientale. Egli suddivide questo periodo in tre epoche: il primo capitolo analizza l’epoca che va dall’imperatore Augusto fino alla fine dell’impero occidentale nel 476, il secondo si concentra sugli sviluppi interni all’impero bizantino fino alla sua caduta nel 1453 e il terzo esamina gli sviluppi all’interno dell’ortodossia russa fino alla Rivoluzione d’ottobre del 1917.
Von Ivánka sostiene che occidente e oriente partono sostanzialmente da una concezione comune del rapporto tra Chiesa e Stato. Secondo lui, le importanti differenze odierne nella concezione del rapporto tra le due comunità sono da ricondurre più a fattori storici che a eventuali influssi culturali estranei alla tradizione europea sui bizantini.


[1] Per una breve biografia di Endre von Ivánka cfr. F.F. Schwarz, Endre von Iv á nka †, in «Gnomon» 47, 1975, pp. 430-432; H. Hunger, Endre von Iv á nka, in «Jahrbuch der österreichischen Byzantinistik», 24, 1975, pp. 337-339; A. Kernbauer, Endre von Ivanka (1947-1969), in W. Höflechner (a cura di), Beiträge und Materialien zur Geschichte der Wissenschaften in Österreich. Klassische Philologie in Graz, Habilitationen an der Grazer Philosophischen Fakultät, Einrichtung der Germanistik-Lehrkanzeln, Briefe Adlers an Meinong, Zur Grazer Studentengeschichte, Akademische Druck-und Verlagsanstalt, Graz 1981, pp. 258-262; E. Peroli, Endre von Iv á nka (1902-1974) e la sua produzione scientifica, in E. von Ivánka, Platonismo cristiano. Recezione e trasformazione del Platonismo nella Patristica, Vita e Pensiero, Milano 1992, pp. XXXI-XLII.
[2] Trad. it., Bisanzio. Luogo d’incontro tra pensiero greco e fede cristiana , Lateran University Press, Roma 2016.
[3] Trad. it., Platonismo Cristiano. Recezione e trasformazione del Platonismo nella Patristica , Vita e Pensiero, Milano 1992.
[4] Una bibliografia completa di von Ivánka si trova in E. Peroli, Endre von Iv á nka (1902-1974) e la sua produzione scientifica , in E. von Ivánka, Platonismo cristiano. Recezione e trasformazione del Platonismo nella Patristica , Vita e Pensiero, Milano 1992, pp. XXXI-XLII.

2. Il rapporto tra Chiesa e Stato in Schmitt, Peterson e Schlier

Il testo di von Ivánka non è soltanto di interesse storico, ma arriva anche a delle preziose conclusioni sistematiche. Esso non offre cioè solo delle informazioni sulla solitamente poco conosciuta storia dell’impero bizantino e russo, ma offre dei giudizi precisi sul complesso rapporto che esiste tra la fede cristiana e la politica in generale.
Per comprendere l’importanza sistematica e l’originalità del libro di von Ivánka conviene tener conto del contesto prossimo della storia del problema trattato. Il libro si inserisce in una vivace discussione sull’adeguata comprensione del rapporto tra Stato e Chiesa che si sviluppò in Germania negli anni Trenta. Due autori soprattutto furono famosi per le loro tesi contrastanti. Il primo è Carl Schmitt, il cui scritto Teologia politica. Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità sembrava offrire una giustificazione teologica del regime autoritario di Hitler [1] . Il secondo è invece Erik Peterson il quale, nel suo scritto Il monoteismo come problema politico, negò categoricamente la possibilità di appellarsi alla fede per poter giustificare qualsiasi tipo di regime politico [2] .

Carl Schmitt

Il giurista Carl Schmitt afferma che esiste un nesso molto stretto tra la politica e la teologia. La fede di ogni popolo si rispecchia sempre nella sua modalità di organizzare la società. Nella sua opera Teologia politica, la cui prima edizione vide la luce già nel 1922, sostiene che «tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati» [3] . Il concetto di sovranità si applica così da una parte a Dio che è sovrano perché sta sopra le leggi di natura, e dall’altra anche a quel supremo potere politico che possiede il diritto di prendere delle decisioni in un eventuale stato d’emergenza nel quale le leggi normali non vengono più considerati vincolanti. Rousseau, per fare un altro esempio, applicava al sovrano politico le principali qualità di Dio: egli può fare ciò che vuole, ma non può volere il male; tutto ciò che vuole è automaticamente bene; non si può mai criticare le decisioni di un sovrano.
Schmitt utilizzò la tesi di uno stretto rapporto tra concetti teologici e politici per criticare la società liberale e tecnocratica: essa parte da un concetto troppo debole di Dio. Nei loro confronti preferisce decisamente impostazioni come quella di Juan Donoso Cortés. Costui ritiene che il liberalismo democratico sia incompatibile con la fede cattolica perché nega, se pensato fino alle sue ultime conseguenze, che la fede in Dio possa giocare un ruolo nella legislazione umana. Egli scrive infatti: «La teoria della sovranità costitutente del popolo è di natura atea, e sta nella scuola liberale soltanto come l’ateismo sta nel deismo, come conseguenza lontana, quantunque inevitabile» [4] . Schmitt condivide pienamente tale impostazione.

Come il liberalismo, in ogni occasione politica, discute e transige, così esso potrebbe risolvere in una discussione anche la verità metafisica. La sua essenza consiste nel trattare, cioè in una irresolutezza fondata sull’attesa, con la speranza che la contrapposizione definitiva possa essere trasformata in un dibattito parlamentare e possa così venire sospesa per mezzo di una discussione eterna. La dittatura è l’opposto della discussione. È proprio del decisionismo dello spirito di Cortés di fare riferimento sempre al caso estremo, di attendere l’ultimo tribunale [5] .

Nel 1933 Carl Schmitt aderisce al partito nazionalsocialista e diventa presidente dell’Unione dei giuristi nazionalsocialisti. Quando nel 1934 pubblica nuovamente la Teologia politica le sue tesi vengono interpretate come una giustificazione del regime autoritario di Hitler su base teologiche.

Erik Peterson

In risposta al giurista Schmitt il teologo Erik Peterson ripubblica nel 1935 due contributi, già precedentemente apparsi, ormai riuniti in un unico volume dal titolo Il monoteismo come problema politico. In questo testo nega la possibilità di una teologia politica nell’ambito del cristianesimo. Peterson esemplifica le sue idee con il pensiero dei padri della Chiesa, criticando in particolare quelli che videro nell’impero Romano una provvidenziale corrispondenza con la fede cristiana. Molti padri vedevano infatti nel superamento della divisione tra le nazioni da parte dell’impero Romano a partire da Augusto uno svil...

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