Processo a Socrate
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Processo a Socrate

Mauro Bonazzi

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Processo a Socrate

Mauro Bonazzi

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Processo a Socrate è un saggio capace di portare il lettore nel clima culturale della democrazia ateniese e di guardare a quella clamorosa tenzone cercando di comprendere le ragioni di entrambe le parti in conflitto.Marco Bracconi, "la Repubblica"Un'indagine ben condotta tra le fonti antiche, con uno stile limpido che consente una lettura agevole sia al lettore non specialista sia al lettore erudito.Dino Piovan, "Alias - il manifesto"399 a.C.: la città di Atene condanna a morte uno dei suoi figli più autorevoli, Socrate. Si ripete spesso che si trattò di un processo politico mascherato, per colpire le simpatie oligarchiche dell'anziano filosofo. Ma forse il vero oggetto del contendere in questa vicenda fu proprio il pensiero di Socrate. Fino a che punto una comunità – ieri come oggi – può tollerare che i principi e i valori su cui si fonda siano messi radicalmente in discussione? E davvero le ragioni della filosofia e quelle della città non sono compatibili?La ricostruzione del processo a Socrate, uno dei più celebri della storia, in cui va in scena il conflitto tra l'integrità morale dell'individuo e le ragioni della politica.

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Información

Año
2020
ISBN
9788858141946
Categoría
Filosofía

1.
In tribunale

Se trasgrediscono le leggi, occorre punirli.
Anonimo, Contro Andocide, 44
Lo storico è nella stessa posizione del giudice.
M. Hansen, The Trial of Sokrates, p. 4

Un processo celebre e un altro processo celebre

Il 399 a.C. fu l’anno di un celebre processo ad Atene, una città che non riusciva a chiudere i conti con il proprio passato. La parola d’ordine era di non rievocare i mali trascorsi: me mnesikakein, si diceva. Per chi avesse osato farlo i rischi non mancavano. Ci aveva provato, ad esempio, un cittadino destinato a rimanere senza nome, di cui parla Aristotele: fu ucciso senza neppure essere giudicato. Nessuno, chiosa il filosofo, si azzardò più1. Ma in realtà, la situazione concreta era ben diversa da quello che suggerisce l’aneddoto: troppe cose erano accadute perché si potesse davvero dimenticare, e ogni occasione era buona per ritornare su vicende vecchie di anni, ma che ancora bruciavano. Senza mai nominare esplicitamente i fatti del passato: bisognava stare attenti a non violare il giuramento. Del resto, non ce n’era bisogno. La guerra, i tradimenti, il conflitto civile, le liste di proscrizione: tutti ricordavano tutto2.
Così si spiega, quell’anno, il processo di Andocide, figlio di Leogora (440-390 a.C. circa). Un episodio apparentemente marginale diventava l’occasione per tornare su uno dei momenti chiave della storia recente di Atene, forse quello decisivo, di sicuro il più discusso. Pochi mesi prima Andocide aveva preso parte ai Misteri, i riti sacri che si tenevano ad Eleusi; si vociferava anche che avesse deposto un ramo da supplice nell’Eleusinion di Atene, un atto proibito durante la celebrazione dei Misteri. Gesti banali, in fondo, che ad alcuni apparvero invece una provocazione intollerabile. Perché Andocide non era una persona qualunque. Rampollo di una delle più prestigiose e ricche casate ateniesi, membro dell’eteria di Eufileto, era rientrato da poco in città, grazie alla recente amnistia del 403, dopo un lungo esilio3. Durante il quale, a differenza di tanti altri, aveva dato prova di un notevole spirito di intraprendenza: aveva fatto fortuna e ora ritornava «nell’indiscriminato grigiore della democrazia restaurata e da tutti accettata, perché ancorata al singolare principio che a nessuno si dovesse chiedere conto di nulla», pronto a godersi l’onore ritrovato e le ricchezze guadagnate4. La partecipazione alla cerimonia dei Misteri voleva significare questo desiderio di normalità da parte di un reduce che era riuscito a superare in modo brillante anni turbolenti. La reazione dei molti che avevano ancora conti aperti con lui fu immediata. Fu rispolverato un vecchio decreto, quasi dimenticato, e fu processato per empietà5.
Il decreto di Isotimide era stato approvato nel 415 (probabilmente per colpire proprio Andocide). Proibiva a chi si fosse macchiato di atti sacrileghi l’ingresso nei templi o la partecipazione ai riti religiosi della città. È vero che nel 403 a.C. era stata votata un’amnistia. Ma non era chiaro se essa riguardasse anche crimini tanto gravi, e su questo avevano giocato gli accusatori6. Perché ad essere fuori di dubbio era che Andocide, anni addietro, si era macchiato di quei crimini7. Quindici anni prima era stato uno dei protagonisti della vicenda della mutilazione delle Erme e della profanazione dei Misteri. Vecchie storie, appunto, che nessuno voleva o riusciva a dimenticare.
La mattina del 7 giugno (Targhelion 29, nel calendario attico) 4158 gli Ateniesi, risvegliandosi, si erano trovati davanti ad uno spettacolo inquietante. Lungo le strade della città erano poste delle colonne a base quadrangolare con la testa e il fallo del dio Hermes. Durante la notte il viso di queste statue era stato sfregiato e gli organi genitali mutilati. Si pensò inizialmente alla bravata di qualche giovane scapestrato: ad Atene abbondavano. Ma con il passare del tempo si fece strada in modo sempre più pressante il sospetto che questo atto di vandalismo fosse in realtà il preludio a qualche cosa di più grande: solo un gruppo organizzato poteva aver operato su un’area così vasta. Un colpo di Stato contro la democrazia? Intanto iniziò anche a circolare la voce che in quello stesso periodo alcune persone – tutte riconducibili ai gruppi oligarchici, guarda caso – avessero parodiato i Misteri di Eleusi, uno dei momenti fondanti della vita religiosa della città9.
A rendere preoccupanti questi episodi era il quadro politico generale. In quelle stesse settimane del 415 ad Atene fervevano i preparativi per una nuova e ambiziosa spedizione, approfittando di un momento di tregua nelle ostilità con Sparta. Da poco era stato deciso di aprire un nuovo fronte, muovendo guerra contro Siracusa. Chi più di tutti si era speso per questa nuova iniziativa era stato il personaggio più in vista di Atene, Alcibiade, l’erede della linea politica periclea, subito eletto tra i generali che avrebbero guidato l’esercito in Sicilia. Voci anonime, fatte circolare ad arte, iniziarono a segnalarlo tra i protagonisti della “bravata”, gettandogli addosso un’ombra di discredito, come se anche lui fosse implicato nelle trame contro la democrazia. «Andavano gridando – scrive Tucidide – che era in vista dell’abbattimento della democrazia che erano state fatte le cerimonie misteriche e la mutilazione delle Erme, e che non uno solo di questi misfatti era stato compiuto senza la partecipazione di Alcibiade»10. A nulla valsero le sue proteste di innocenza, e nessun seguito ebbe la sua richiesta di essere processato subito, prima della partenza della flotta, in modo da poter sgomberare immediatamente il campo da sospetti tanto pericolosi.
Il seguito è cosa nota. Poco dopo il suo arrivo in Sicilia Alcibiade scelse la fuga e il tradimento, mentre si avvicinava la nave di Stato “Salamina” che avrebbe dovuto riportarlo ad Atene, per processarlo in un clima ben diverso rispetto a quello dei giorni festosi in cui la flotta era salpata dal Pireo. Senza di lui, la spedizione si risolse in una catastrofe assoluta, da cui Atene non sarebbe più riuscita a riprendersi completamente. La sconfitta contro Sparta nella guerra cominciata nel 431 sarebbe arrivata solo nel 404, ma era iniziata in questo momento. L’affare delle Erme e la profanazione dei Misteri avevano contribuito in modo sostanziale a indirizzare il corso degli eventi nel modo peggiore per Atene.
Andocide fu uno dei protagonisti indiscussi di quella vicenda11: subito individuato come uno dei partecipanti, o comunque come uno che sapeva molte cose, fu imprigionato: e se si salvò dal carcere fu grazie a una serie di delazioni mirate, che condussero ad una nutrita serie di condanne. Pur reo confesso (non senza ambiguità e distinguo, comunque), ebbe così salva la vita. Ma, circondato da un’ostilità crescente (e colpito dal già menzionato decreto di Isotimide che di fatto lo escludeva dalla vita della città), finì per scegliere l’esilio. Da cui, come detto, rientrò definitivamente nel 403, dopo la fine della guerra e dopo l’abbattimento del famigerato regime filo-spartano dei Trenta Tiranni, grazie all’amnistia, mentre era in corso una revisione di tutto il corpo delle leggi attiche, con gravi rallentamenti nel lavoro ordinario dei tribunali12. Tra il 401 e il 400 questa opera di revisione terminò e la macchina dei processi tornò a funzionare a pieno regime. E alla prima occasione anche il ricco aristocratico finì nell’ingranaggio.
Il processo, però, si concluse con l’assoluzione. Ancora una volta Andocide era riuscito a spun...

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