Scambi, mercati, concorrenza
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Scambi, mercati, concorrenza

Una piccola introduzione

Luca Arnaudo

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Scambi, mercati, concorrenza

Una piccola introduzione

Luca Arnaudo

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Che cosa muove gli scambi? Il mercato Ú sempre esistito, oppure, come gli stati, si tratta di un esperimento transitorio della storia? Quali sono gli effetti della concorrenza, e perché va tutelata? Attraverso una trattazione che spazia con agilità scientifica e multidisciplinare tra diritto, teoria economica e storia, Luca Arnaudo ci offre un piccolo trattato che mostra come anche regole e meccanismi che diamo per scontati possano riservare numerose sorprese.

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Informations

Année
2015
ISBN
9788861052116

1. Le parole e le idee

1.1 Frammenti di un dizionario etimologico – 1.2 Dagli scambi ai mercati – 1.2.1 Rapporti tra economia e società: le tesi di Karl Polanyi – 1.2.2 Polanyi reloaded: il caso di internet – 1.3 Sulle tracce del pensiero economico occidentale – 1.3.1 I commerci di Aristotele e la misericordia dell'economia – 1.3.2 Mercantilisti e fisiocratici –1.3.3 A proposito di Smith – 1.3.4 Critiche interne all'economia politica classica – 1.4 Scienza economica, concorrenza perfetta – 1.4.1 Cournot, Bertrand e la concorrenza su soglie infinitesime – 1.4.2 Il pensiero marginalista e il nuovo corso dell'economia neoclassica – 1.4.3 Concorrenza perfetta, mercati efficienti e altri giochi – 1.5 Nuove immagini di concorrenza e teoria della decisione – 1.5.1 Concorrenza imperfetta e monopolistica – 1.5.2 Struttura-condotta-performance, workable competition, mercati contendibili – 1.5.3 Fallimenti di mercato e paradossi liberali – 1.5.4 Orizzonti di teoria della decisione: l'economia comportamentale e cognitiva – 1.6 L'economia tra teoria e pratiche dei commerci internazionali – 1.6.1 Economia mondiale, economia-mondo
A sfogliare dizionari, enciclopedie di scienze sociali, trattati di economia e diritto, ci s’imbatte di continuo in definizioni terse e all’apparenza solide della catena di termini che ci interessano: per stabilire un primo orientamento rispetto alle considerazioni destinate a seguire, provvediamo allora a una loro sintesi introduttiva.
Quando si parla di «scambio» il riferimento tipico Ăš all’idea di cessione e acquisizione di beni o servizi secondo un rapporto che puĂČ essere semplice (bene contro bene, ciĂČ che viene tradizionalmente definito «baratto») o complesso (in quanto mediato dalla moneta), ma comunque sul presupposto di un’utilitĂ  perseguita in maniera razionale dai soggetti coinvolti nella relazione di volta in volta rilevante, relazione risolta nell’incontro tra una domanda e un’offerta. Conseguenza di tale impostazione Ăš la correlazione pressochĂ© automatica dello scambio all’esistenza di un mercato e alla definizione di un prezzo, intendendo quest’ultimo come punto d’equilibrio intorno al quale tendono a uguagliarsi le quantitĂ  domandate e quelle offerte.
Se, dunque, in una prospettiva generale lo scambio puĂČ dirsi lo strumento fondamentale per la circolazione di beni e servizi all’interno di una data societĂ , attraverso il quale si realizza il collegamento tra i piani della loro produzione, distribuzione e consumo, esso risulta svolgere al contempo una fondamentale funzione di redistribuzione di ricchezza: redistribuzione che, nell’interpretazione corrente incentrata sui giĂ  accennati criteri di utilitĂ  e razionalitĂ , ha carattere rigorosamente mercantile con risultati finali di equilibrio per le parti coinvolte nella singola transazione, quando non addirittura per un’economia nel suo complesso.
La nozione di «mercato», dal canto suo, ha una portata sia materiale che astratta. Nel primo caso, per mercato s’intende il luogo fisico in cui avvengono contrattazioni e scambi, secondo una coincidenza tra spazi e attivitĂ  che, complice la progressiva smaterializzazione di queste ultime, si Ăš sempre piĂč affievolita nella percezione collettiva. La rilevanza avuta storicamente da luoghi del genere nella definizione identitaria di gran parte delle societĂ , in particolare europee, Ăš nondimeno centrale, come s’intende giĂ  solo pensando al ruolo topografico dei mercati, disposti a seconda dei contesti rurali e cittadini entro spazi aperti, come piazze o incroci di strade, ovvero chiusi e appositamente dedicati, come le logge dei mercanti o gli edifici delle borse valori. Lo svolgimento dei mercati, ancora, ha costituito nel corso dei secoli una vera e propria funzione di orologio sociale, scandendo i tempi di intere comunitĂ  lungo archi piĂč o meno ampi, come dimostrano le grandi fiere ed esposizioni che ancora oggi si tengono con cadenze regolari in tutto il mondo.
In astratto, la teoria economica intende invece per mercato l’istituzione deputata alla realizzazione degli scambi qualificati come incontro tra offerta/produzione e domanda/consumo di beni o servizi, sulla base di una serie specifica di condizioni. PerchĂ© vi sia mercato, infatti, devono darsi quantomeno: (1) libertĂ  d’azione dei partecipanti rispetto alle contrattazioni finalizzate allo scambio; (2) formazione di un prezzo che definisca lo scambio; (3) regole organizzative delle contrattazioni e dell’esecuzione delle prestazioni richieste per la realizzazione dello scambio, comprese quelle relative ai mezzi di pagamento del prezzo.
La tassonomia dei mercati Ăš assai ampia e varia, a seconda che si prendano in considerazione l’oggetto degli scambi (e si potrĂ  allora parlare di mercati immobiliari, mobiliari, del lavoro, ecc.) o le caratteristiche operative (con la pletora di distinzioni tra mercati all’ingrosso, al minuto, a pronti, a termine, fisici, telematici, ecc.). Ulteriori classificazioni sono poi state sviluppate col sostegno di discipline contigue all’economia: secondo una recente rassegna, ad esempio, ci si puĂČ riferire al mercato come a una cornice cognitiva di consumo, all’esito di pratiche performative, allo stabilimento di reti di conoscenza (cfr. Diaz Ruiz, 2012, pp. 61 ss.). Si tratta, nel complesso, di rappresentazioni emerse negli ultimi decenni nell’ambito della sociologia e soprattutto del marketing, funzionali all’obiettivo di un’impresa di distinguere il piĂč possibile i propri prodotti al fine di renderli meno sostituibili con altri concorrenti nella percezione dei consumatori. Per restare nel recinto piĂč consacrato della teoria economica, in ogni caso, una classificazione fondamentale dei mercati Ăš quella in base alla loro struttura, cosĂŹ come definita dal numero dei partecipanti sui versanti dell’offerta e della domanda. Qui, la presenza di una pluralitĂ  di operatori Ăš intesa come indice di concorrenza, mentre al decrescere degli offerenti si parlerĂ  di gradi diversi di oligopolio, fino alla situazione di monopolio in cui l’offerta Ăš espressa da un unico operatore; quando la presenza di un solo soggetto sia registrata sul versante della domanda, si parla invece di monopsonio.
La «concorrenza», di cui si Ăš appena detto rispetto alla struttura dei mercati, viene considerata dalla teoria economica contemporanea il requisito operativo fondamentale perchĂ© domanda e offerta s’incontrino in maniera efficiente, tale cioĂš da garantire l’ottenimento della massima utilitĂ  personale in capo ai partecipanti degli scambi sulla base delle risorse complessivamente a disposizione. Si tratta, con ogni evidenza, di una nozione centrale nella definizione di un’economia di mercato, senza tuttavia che per lungo tempo ne sia conseguita una piĂč puntuale determinazione concettuale. Di fatto, come pure Ăš stato riconosciuto da una molteplicitĂ  di autorevoli commentatori, la maggior parte degli economisti si Ăš limitata a fare riferimento alla concorrenza come al primo motore del sistema economico, dandone per scontata la condivisione di componenti e funzionamento.
A fronte di tale scarsa sistematizzazione, non stupisce che varie siano le forme di concorrenza postulate in teoria per definire le modalitĂ  operative dei mercati e gli esiti degli scambi conseguenti. In termini introduttivi, e con riserva di raffinare ulteriormente alcuni elementi nel corso del libro, si puĂČ dire che il catalogo spazia qualitativamente dal caso della concorrenza definita perfetta – corrispondente a una situazione di mercato ideale in cui i beni scambiati sono tra loro omogenei e nessun operatore, nĂ© sul versante della domanda nĂ© su quello dell’offerta, detiene un potere di mercato – a quelli digradanti di concorrenza imperfetta, fino al caso estremo del monopolio. È importante segnalare, peraltro, come oltre alla nozione strutturale e statica di concorrenza appena richiamata ne sussista una di natura comportamentale e dinamica: con essa si fa riferimento al processo di innovazione perseguito da un’impresa, alla base del progresso tecnologico e sviluppo industriale, in un contesto di rivalitĂ  con gli altri operatori. Secondo un’accezione ideale, tale concorrenza viene pure intesa come espressione piena della libertĂ  e intraprendenza individuale, ponendola alla base della procedura tipicamente umana di scoperta del nuovo e selezione della conoscenza.
In tema di concorrenza merita annotare ancora come i riferimenti ad essa abbiano notevole rilievo nell’ambito dell’economia internazionale: tale disciplina si occupa infatti del grado di limitazioni esistenti negli scambi economici tra stati nazionali o entitĂ  sovranazionali, in tal senso rilevando in primo luogo i dazi doganali o vincoli di altro tipo alla circolazione di beni e servizi previsti da parte delle varie legislazioni vigenti. I limiti alla concorrenza imponibili da parte di un ordinamento possono, del resto, essere assoluti, come dimostra il caso dei monopoli legali, quando cioĂš l’assenza di concorrenza Ăš determinata dall’attribuzione privilegiata dello svolgimento di un’attivitĂ  da parte di un soggetto avente legittimazione a farlo – di solito uno stato – a soggetti privati (e in tal caso si parla di monopoli privati), oppure a sĂ© stesso (ed Ăš questo il caso dei monopoli pubblici). Storicamente, come si avrĂ  modo di osservare attraverso una pluralitĂ  di casi, tali monopoli sono spesso corrisposti alla mera costituzione di rendite di posizione di favore, con la conseguente estrazione di ampi extra-profitti. Vi sono, nondimeno, casi in cui il riconoscimento di un monopolio legale puĂČ trovare giustificazioni di efficienza: si pensi, al riguardo, all’assegnazione a un’impresa di un monopolio – meglio, della rendita che ne consegue – quale corrispettivo per la realizzazione di opere infrastrutturali ingenti, come avviene nella prospettiva del project financing.
Il tema dei monopoli legali s’intreccia pure a quello della protezione della proprietĂ  intellettuale predisposta dai diversi ordinamenti per difendere, come si suol dire, i frutti dell’inventiva e dell’ingegno umani, secondo un meccanismo di premio-incentivo volto a ricompensare l’innovazione in una pluralitĂ  di ambiti. Nella categoria della proprietĂ  intellettuale rientrano il diritto d’autore relativo a creazioni artistiche, cosĂŹ come la tutela della proprietĂ  industriale rispetto a invenzioni e segni distintivi, sebbene con modalitĂ  di riconoscimento diverso. La tutela autoriale, infatti, non richiede particolari oneri di registrazione, mentre per ottenere i brevetti e marchi, con i quali sono rispettivamente protette invenzioni e segni distintivi, i richiedenti devono sottostare ad apposite procedure di verifica. Dal riconoscimento di una proprietĂ  intellettuale discende quindi un monopolio legale di sfruttamento temporaneo, presidiato da appositi strumenti di reazione rispetto ai tentativi di interferenza da parte di terzi, la cui portata rappresenta una questione assai delicata per le conseguenze che puĂČ comportare sul benessere di una societĂ .
Oltre ai monopoli legali, negli studi di economia e diritto si registra altresì l’ipotesi di monopoli naturali, dove l’esercizio in esclusiva da parte di un’impresa di determinate attività dipende da peculiari ragioni tecnologiche o strutturali dell’industria di riferimento: ù questo il caso, per esempio, in cui la replica di un’infrastruttura non sia economicamente sostenibile rispetto alle necessità di utilizzo, come di frequente s’intende ripetere a proposito di reti quali quelle ferroviarie o autostradali, ed ù allora da interventi mirati di regolazione che si attende la soluzione per la viabilità di altri operatori in concorrenza, o quantomeno l’applicazione di condizioni eque agli utenti da parte del monopolista.

1.1 Frammenti di un dizionario etimologico

A valle delle nozioni di riferimento appena raccolte viene da considerare, ricorrendo a una vecchia battuta a sua volta reminescente di Aristotele, che per cominciare Ăš sempre bene iniziare dal principio. A tale fine, dunque, proveremo a considerare i principali termini sin qui impiegati in quanto fatti linguistici, tenuto conto della loro capacitĂ  di misurare, o perlomeno evidenziare, i fatti sociali sin dai rispettivi etimi, all’interno del contesto storico e culturale in cui ci stiamo muovendo (poi, a voler scavare in altre lingue, si potrebbero rinvenire tracce ancora piĂč risalenti nel tempo di scambi e commerci, alla pari con altri tratti caratteristici dell’esistenza umana. Nel sumero in uso tra il 4000 e il 2000 a.C., per fare un esempio, risultano essere stati composti tanto inni amorosi quanto registri commerciali, quasi a suggerire che la vita sia pur sempre una combinazione di poesia e prosa: ma questo evidentemente Ăš un altro discorso).
Ora, scambio Ăš una parola di origine latina, che dall’originario excambiare ha mantenuto il significato sia di atto reciproco di dare e avere, privo di una connotazione economica, sia di transazione commerciale, a cui si riconduce anche l’atto del baratto. Il che ci pone dinanzi a un’interessante divergenza linguistica rispetto all’idioma di riferimento comune in economia: se infatti in italiano esiste un’unica espressione per riferirsi ai distinti concetti appena richiamati (il termine traffico risultando ormai ben piĂč legato alla circolazione stradale o alla malavita che ad attivitĂ  commerciali lecite), l’inglese prevede due termini diversi, exchange e trade, dove il secondo risulta dotato di un significato specificamente mercantile. Introdotto dai mercanti della lega anseatica nel Quattrocento a partire da un omologo basso-tedesco riferito al percorso delle navi, Ăš perĂČ solo dal Settecento che trade diviene sinonimo indiscusso di scambio commerciale, sedimentando nel nostro parlare corrente.
Mercato, dal canto suo, deriva dal latino merx, merce, termine a sua volta originato con ogni probabilitĂ  da un’espressione etrusca. Di nuovo, una valenza astratta dell’espressione risulta acquisita stabilmente in tempi relativamente prossimi: fino a tutto il Seicento, in linea con la nozione materiale giĂ  richiamata nella sezione precedente, al termine si associavano infatti esclusivamente le grida e i commerci propri delle pubbliche piazze, mentre Ăš soltanto dalla fine del Settecento – in corrispondenza degli sviluppi del pensiero economico di cui daremo conto piĂč di seguito – che si comincia a impiegarlo per ragionare idealmente di un’istituzione deputata allo svolgimento di scambi commerciali regolati da domanda e offerta.
Concorrenza conserva il significato agonistico del suo etimo latino cum-currere, significando in primo luogo «correre insieme». In tal modo, essa richiama direttamente solo la nozione comportamentale di rivalitĂ  imprenditoriale vista in precedenza, non quella strutturale di condizione di mercato. Particolarmente suggestivo Ăš poi il termine semanticamente prossimo competere, il quale dall’etimo latino cum-petere trattiene l’ambivalente riferimento tanto al battersi che al richiedere insieme, anche nel senso processuale di richiesta congiunta dinanzi a un giudice, cosĂŹ per certi versi presupponendo una forma di coordinamento tra i diversi soggetti coinvolti. Quanto all'inglese, il termine competition in correlazione a mercato non Ăš registrato prima dell’Ottocento, quasi in contemporanea all’insorgere di una connotazione sportiva che, nell’italiano concorrenza, abbiamo invece giĂ  visto essere componente «atletica» originaria dell’espressione.
In maniera speculare all’analisi etimologica di concorrenza Ăš infine il caso di rilevare come il termine monopolio derivi dalla combinazione di termini del greco antico corrispondente all’espressione «vendere da soli»; nella lingua inglese il termine diventa assai popolare intorno al Seicento legandosi in maniera intima allo sviluppo delle compagnie privilegiate nei commerci con le Indie, le quali, come si vedrĂ , tanta parte avranno nella definizione del sistema economico materiale che farĂ  da supporto alle elaborazioni ideali in tema di scambi e mercati.

1.2 Dagli scambi ai mercati

Dalla sommaria rassegna lessicale assemblata qui sopra emerge chiaramente come, a fronte di attività fondamentali e distintive dell’esistenza umana, molti dei relativi termini a cui siamo abituati nelle discussioni di diritto ed economia abbiano acquisito i loro significati e le concettualizzazioni correnti in tempi piuttosto recenti, spesso con notevoli contrazioni o variazioni semantiche.
Da un lato, ciĂČ induce a mantenere un relativismo di fondo sia negli obiettivi che nei contenuti del presente scritto: giĂ  solo per la lingua impiegata ci si muove pur sempre, insomma, in un contesto tendenzialmente proprio di «nativi occidentali», mentre la considerazione del pensiero economico vigente, come si vedrĂ  meglio di seguito, indirizza necessariamente al contesto culturale proprio di una «economia-mondo» ancora d’impronta anglosassone. D’altro lato, appare evidente come non si possa procedere con un minimo di fondatezza nel nostro discorso senza dare conto dei comportamenti umani originari, cosĂŹ come allo stato delineati dagli studi a disposizione, a cui le parole richiamate si riferiscono. In questa prospettiva nessuna disciplina si mostra piĂč adatta dell’antropologia economica, le cui ricerche si sono definite, ormai un secolo fa, proprio nel tentativo di comprendere lo scarto esistente tra quelle nozioni di exchange e trade che, come appena visto, nell’italiano convivono invece abitualmente in un unico lemma.
In principio, in effetti, era lo scambio: uno scambio non connotato nei termini economici richiamati in apertura e a cui siamo comunemente abituati, bensì riconducibile a logiche di reciprocità, funzionali allo stabilimento e mantenimento di legami interpersonali. Al proposito, ù opportuno chiarire sin d’ora come uno scambio di beni contro beni in assenza di moneta possa essere cosa diversa dal baratto. Con tale termine, infatti, s’intende uno scambio già diretto da logiche mercantili, finalizzato cioù a un guadagno di tipo economico, con la possibilità, in una prospettiva giuridica, di registrare eventualmente uno squ...

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