Commentari sulla società dello spettacolo
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Commentari sulla società dello spettacolo

Guy Debord

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Guy Debord

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Il pensiero di Guy Debord è più attuale che mai
Quando Guy Debord morì, il 30 novembre 1994, Le Monde gli dedicò un lungo articolo intitolato "Guy Debord, esteta della sovversione", una definizione riduttiva che coglieva solo un aspetto della vita e dell'opera di colui che lo Stato francese avrebbe poi considerato nel 2009 "uno degli ultimi grandi intellettuali della seconda metà del XX secolo". Riconoscimento che sembra paradossale, se pensiamo che proprio Debord e i situazionisti influenzarono in modo decisivo il Maggio '68 quando fecero irruzione sulla scena politica con l'obiettivo dichiarato di "partire all'assalto dell'ordine del mondo". Sulla comunicazione
"Si preferisce spesso chiamarlo mediatico, piuttosto che spettacolo, volendo in tal modo indicare un semplice strumento, una sorta di servizio pubblico che gestirebbe con imparziale "professionalità" la nuova ricchezza della comunicazione di tutti grazie ai mass media, comunicazione giunta finalmente alla purezza unilaterale, dove si fa tranquillamente ammirare la decisione che è stata già presa. Ciò che viene comunicato sono degli ordini, e, in modo molto armonioso coloro che li hanno impartiti sono gli stessi che diranno cosa ne pensano."
L'AUTORE: Guy Debord (Parigi, 28 dicembre 1931 – Bellevue-la-Montagne, 30 novembre 1994) è stato uno scrittore, regista e filosofo francese, tra i fondatori dell'Internazionale Lettrista e dell'Internazionale Situazionista.

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Informations

Année
2013
ISBN
9788897686934
In memoria di Gérard Lebovici
assassinato a Parigi il 5 marzo 1984
in un agguato rimasto misterioso
Per quanto critiche possano essere la situazione e le circostanze in cui vi trovate, non disperate mai; quando si può temere tutto non bisogna temere di nulla; quando si è circondati da tutti i pericoli, non bisogna farsi spaventare da nessuno; è quando non si ha nessuna risorsa che bisogna contare su tutte; è quando si è colti di sorpresa che bisogna sorprendere lo stesso nemico.
Sun-Tse, L’art de la guerre
I
Questi Commentari saranno certamente conosciuti subito da cinquanta o sessanta persone, molte per i giorni che viviamo e quando si affrontano problemi così gravi, ma anche perché ho la fama, in certi ambienti, di essere un intenditore. Va anche osservato che, la metà o pressappoco di questa élite interessata è composta da persone impegnate a conservare il sistema di dominio spettacolare, mentre l’altra metà si ostina a combatterlo. Dovendo tener conto di lettori molto attenti e diversamente influenti, non posso evidentemente parlare in piena libertà. Soprattutto devo stare attento a non istruire troppo chicchessia.
Questi tempi disgraziati mi costringono quindi a scrivere, ancora una volta, in modo nuovo. Alcuni elementi saranno omessi volontariamente, e il piano dovrà restare piuttosto indecifrabile. Ci potrà essere, come la firma stessa di questa epoca, qualche tranello. Il senso complessivo può delinearsi a condizione di intercalare qua e là molte altre pagine, così come sono stati aggiunti articoli segreti al contenuto reso pubblico dei trattati internazionali e allo stesso modo con cui degli agenti chimici rivelano un aspetto sconosciuto delle loro proprietà solo quando vengono associati ad altri elementi. In questo breve lavoro ci saranno d’altronde fin troppe cose, ahimè, facili da capire.
II
Nel 1967 ho spiegato in un libro, La società dello spettacolo, ciò che lo spettacolo moderno era già nella sua essenza: il regno autocratico dell’economia mercantile che aveva acquisito uno statuto di sovranità irresponsabile e l’insieme delle nuove tecniche di governo che accompagnano questo regno. Dato che le rivolte del 1968, continuate in diversi paesi nel corso degli anni successivi, non hanno abbattuto in nessun luogo l’organizzazione esistente della società, lo spettacolo, che da essa sgorga quasi spontaneamente, ha continuato a rafforzarsi dovunque, estendendosi agli estremi da tutti i lati e aumentando la sua densità al centro. Esso ha anche imparato nuovi metodi per difendersi, così come avviene comunemente ai poteri quando sono attaccati.
Quando ho iniziato la critica della società spettacolare venne sottolineato soprattutto, dato il momento, il contenuto rivoluzionario che si poteva scoprire in questa critica, ed è stato percepito, naturalmente, come il suo elemento più deplorevole. Quanto al concetto stesso [di società spettacolare], sono stato accusato, talvolta, di averlo inventato di sana pianta e di essermi compiaciuto in modo eccessivo nel valutare la profondità e l’unità di questo spettacolo e della sua azione effettiva.
Devo convenire che in seguito altri autori, pubblicando nuovi libri su questo stesso argomento, hanno dimostrato perfettamente che si poteva evitare di dirne tanto. Non hanno fatto altro che sostituire l’insieme e il suo movimento con un solo dettaglio statico della superficie del fenomeno, per cui l’originalità di ogni autore è consistita nello sceglierselo differente e in questo modo molto meno inquietante. Nessuno ha voluto alterare la modestia scientifica della sua interpretazione personale inserendovi temerari giudizi storici.
Intanto la società dello spettacolo ha continuato lo stesso la sua marcia. Essa va in fretta perché nel 1967 aveva solo una quarantina di anni alle spalle, ma bene impiegati. Con il suo stesso movimento, che nessuno si preoccupa più di studiare, ha dimostrato in seguito con exploit sbalorditivi che la sua vera natura era proprio quella che io avevo descritto. Questa considerazione non ha solo un valore accademico, perché è indispensabile aver riconosciuto l’unità e l’articolazione di quella forza agente che è lo spettacolo, per poi poter essere in grado di individuare in quali direzioni questa forza ha potuto muoversi, rimanendo se stessa. Sono questioni di grande interesse, perché il prossimo conflitto nella società si giocherà necessariamente in tali condizioni. Dato che oggi lo spettacolo è certamente più potente di prima, come utilizza questa forza supplementare? Fino a che punto, da cui prima era lontano, oggi è arrivato? Insomma quali sono le sue linee operative in questo momento? È ormai largamente diffusa la vaga sensazione che si tratti di una veloce invasione che costringe le persone a condurre una vita molto diversa, ma viene avvertita come fosse un mutamento inspiegabile del clima o di un altro equilibrio naturale, di fronte al quale l’ignoranza sa soltanto che non può dire nulla. Per di più molti affermano che è un’invasione civilizzatrice attualmente inevitabile e alla quale si desidera anche collaborare. Costoro preferiscono non sapere a cosa serve questa conquista e come avanza.
Voglio descrivere alcune conseguenze pratiche, ancora poco note, che derivano dal rapido sviluppo dello spettacolo negli ultimi venti anni. Non voglio, su nessun aspetto della questione, suscitare delle polemiche, ormai troppo facili e del tutto inutili, né, tanto meno, voglio convincere. I presenti commentari non hanno lo scopo di moralizzare, né esaminare ciò che è auspicabile o solamente preferibile: si limiteranno a mettere in evidenza la realtà.
III
Oggi nessuno può ragionevolmente dubitare dell’esistenza e della forza dello spettacolo, si può invece dubitare che sia ragionevole aggiungere qualcosa su una questione che l’esperienza ha già risolto in modo così draconiano. Le Monde del 19 settembre 1987 spiegava felicemente la formula «Di ciò che esiste, non è più necessario parlare», vera e propria legge fondamentale di questi tempi spettacolari che, almeno su questo aspetto, non hanno lasciato indietro nessun paese: «È ormai scontato che la società contemporanea sia una società di spettacolo. Ben presto si dovranno notare coloro che non si fanno notare. Non si contano più i lavori che descrivono un fenomeno che sta caratterizzando le nazioni industriali ma non risparmia i paesi meno evoluti. Va tuttavia rilevato il comico paradosso per cui i libri che analizzano questo fenomeno, generalmente per criticarlo, devono anch’essi adeguarsi allo spettacolo per farsi conoscere». È vero che questa critica spettacolare dello spettacolo, giunta in ritardo e che per di più vorrebbe “farsi conoscere” sul suo stesso terreno, si limiterà forzatamente a vane generalizzazioni o a ipocriti rimpianti; così come appare vana questa saggezza disillusa che buffoneggia su un giornale.
La futile discussione sullo spettacolo, cioè su quello che fanno i padroni del mondo, viene così organizzata dallo spettacolo stesso: si insiste sui grandi mezzi dello spettacolo, senza nulla dire sul loro grande utilizzo. Si preferisce spesso chiamarlo il mediatico, piuttosto che spettacolo, volendo in tal modo indicare un semplice strumento, una sorta di servizio pubblico che gestirebbe con imparziale “professionalità” la nuova ricchezza della comunicazione di tutti grazie ai mass media, comunicazione giunta finalmente alla purezza unilaterale, dove la decisione che è stata già presa si fa tranquillamente ammirare. Ciò che viene comunicato sono degli ordini e, in modo molto armonioso, coloro che li hanno impartiti sono gli stessi che diranno cosa ne pensano.
Il potere dello spettacolo che è fondamentalmente unitario, centralizzatore per la forza delle cose, e perfettamente dispotico nel suo spirito, molto spesso si indigna vedendo che sotto il suo regno compaiono una politica-spettacolo, una giustizia-spettacolo, una medicina-spettacolo o tanti altri sorprendenti “eccessi mediatici”: in tal modo lo spettacolo non sarebbe altro che l’eccesso del mediatico, la cui natura, indiscutibilmente buona, perché serve a comunicare, viene talvolta portata all’eccesso. Di frequente i padroni della società affermano che i loro dipendenti mediatici li servono male e più spesso rimproverano alla plebe degli spettatori la sua tendenza ad abbandonarsi senza ritegno, quasi bestialmente, ai piaceri mediatici. In tal modo si dissimula, dietro una moltitudine virtualmente infinita di pretese divergenze mediatiche, ciò che invece è il risultato di una convergenza spettacolare perseguita con grande tenacia.
Così come la logica della merce prevale sulle diverse ambizioni concorrenziali di tutti i commercianti, o la logica della guerra domina sempre le frequenti innovazioni dell’armamento, anche la logica severa dello spettacolo si impone dovunque sulla rigurgitante diversità delle stravaganze mediatiche.
Il cambiamento più importante che si è verificato negli ultimi venti anni, consiste nel...

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