Resistenze. Sul concetto di analisi
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Resistenze. Sul concetto di analisi

Jacques Derrida

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Resistenze. Sul concetto di analisi

Jacques Derrida

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Lavorando nei margini de L'interpretazione dei sogni, Jacques Derrida penetra tra le pieghe del testo freudiano portando in luce la natura disseminale del concetto di resistenza all'analisi. Ma, se non si dà una nozione univoca di resistenza, anche il concetto di analisi vacilla, si decostruisce, esponendosi alla possibilità del suo al di là. La psicoanalisi diviene così per Derrida il luogo strategico a partire dal quale ripensare tutta la tradizione della ragione analitica, anche nel suo rapporto con la dimensione etico-politica. Resistenze è un testo fondamentale non solo per ricostruire il confronto derridiano con la psicoanalisi, ma anche per comprendere il ruolo che questo confronto ha svolto nell'evoluzione del pensiero del maestro della decostruzione.

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Informations

Éditeur
Orthotes
Année
2014
ISBN
9788897806776
JACQUES DERRIDA

RESISTENZE

SUL CONCETTO DI ANALISI
Si dovrebbe resistere?
E prima di tutto all’analisi?
Se si dovesse resistere all’analisi, resterebbe ancora da sapere da dove viene e cosa significa questo «si deve». Lo si dovrebbe ancora analizzare.
C’è una «resistenza all’analisi», come dicono gli psicoanalisti? È del resto questo un tema, la resistenza all’analisi, a proposito del quale ci si può chiedere perché gli psicoanalisti stessi, sembrerebbe, parlino meno di questi tempi. Come se accusati, più o meno a buon diritto, di averne abusato, e di aver così trionfato troppo velocemente su tutte le domande o obiezioni, regolarmente respinte dopo analys’express in quanto sintomi di resistenza, si piegassero o si preparassero ad altri contratti di discussione.
Lasciamo ora questo punto che non è soltanto di sociologia. Riattivando questa questione della resistenza all’analisi, tentiamo di andare contro corrente e forse di resistere un po’.
Si deve – e allora come? – analizzare questa resistenza all’analisi, se ve ne è, e il «vi è» di questa resistenza? Si dovrebbe quindi analizzare un «si deve», un «vi è», e prima di tutto sapere se ciò che resiste all’analisi non resista anche al concetto analitico di «resistenza all’analisi». Ogni «resistenza all’analisi» si riduce sempre allo statuto interpretabile che le riconosce o che analizza la teoria analitica? Vi è un’altra resistenza? Deve esserci un altro concetto di resistenza – e di analisi? E di resistenza all’analisi?
Ecco tanti «si deve», e «vi è», e «resistenze» che sembrano tuttavia organizzarsi attorno ad un senso provvisoriamente tutore dell’analisi, vale a dire quello che la suddetta psicoanalisi fissa, in francese piuttosto che in un’altra lingua. Salvo errore, è soltanto in francese che si dice così facilmente «analisi» per psicoanalisi. La storia di questa formazione idiomatica meriterebbe di essere interrogata per se stessa.
Ma è piuttosto un interesse idiomatico, direi quasi idiosincratico per la parola «resistenza» che vorrei confidarvi. Ne va, insomma, di ciò che, in me, non ha potuto imparare a dire «io», se non coltivando un idioma nel quale, per delle ragioni che mi spiego male, ma che vorrei tentare di chiarire un po’ con voi questa sera, come se fossi qui inanalisi con voi, la parola «resistenza» non gioca un ruolo qualunque. Da sempre, per quanto mi ricordi, amo questa parola. Perché? Come si può coltivare la parola «resistenza»? E volerla salvare ad ogni costo? Contro l’analisi, certamente, ma senza l’«analisi», e dall’analisi? E dalla traduzione? Poiché la parola franco-latina resistenza, l’amo in primo luogo in quanto resiste alla traduzione ed anche, per me, alla sua traduzione o alla sua trasparenza in francese, nella mia «propria» lingua.
Perché e come questa parola che risuonò dapprima nel mio desiderio e nella mia immaginazione come la più bella parola della politica e della storia di questo paese, perché questa parola carica di tutto il pathos della mia nostalgia, come se ciò che a nessun costo avrei voluto perdere fosse stato di fare saltare dei treni, dei tanks e degli stati maggiori tra il 1940 e il 1945, perché questa parola ha cominciato ad attrarre verso sé, come una calamita, tanti altri significati, virtù, possibilità semantiche o disseminali? Vi sto per dire quali, anche se non posso scoprire il segreto della mia nostalgia inconsolabile – che resta quindi da analizzare o che resiste all’analisi, un po’ come l’ombelico di un sogno.
Perché ho sempre sognato la resistenza? E perché ci si dovrebbe preoccupare qui di un ombelico [ombilic]?
Tutto sembra annunciare, ma non preoccupatevi troppo, una conferenza sulla parola «resistenza», uno sguardo compiaciuto e narcisista [nombrilique] su una parola molto francese, sul suo radicamento nella storia di questo paese e, peggio, sul mio amore confessato per la parola e forse per la cosa – o sulla mia resistenza all’analisi. Non prometto di non cedere in nulla alla tentazione, ma cercherò, strada facendo, di suggerire altre cose: quanto più possibile poco idiomatiche, esse risponderanno, spero, sia al titolo, quindi al contratto di questo colloquio, al concetto generale di analisi, sia, prima di tutto, alla bella conferenza di Miguel Giusti.
Ripeto quindi pressappoco la mia domanda: perché sognare la resistenza? E, ci si dovrebbe ancora preoccupare dell’ombelico di un sogno?
1. Il gusto di una soluzione
Miguel Giusti ha cominciato citando Goethe: per tirare i primi fili conduttori quanto a ciò che si scioglierebbe attraverso l’analisi, attraverso l’análysis come scioglimento, slegamento, distacco, affrancamento, addirittura liberazione – e quindi anche, non dimentichiamolo, come soluzione. La parola greca analúein, è risaputo, significa slegare e quindi anche sciogliere il legame. Si lascerebbe così rigorosamente accostare, se non tradurre, dal solvere latino (staccare, rilasciare, assolvere o prosciogliere). La solutio e la resolutio hanno allo stesso tempo il senso dello scioglimento, del legame sciolto, della liberazione, del disimpegno o del saldo (per esempio del debito) e della soluzione del problema: spiegazione o rivelazione. La solutio linguae è anche la lingua sciolta.
Avendo quindi Miguel Giusti nominato il geistige Band di Goethe, mi si permetta di evocare a mia volta un grande lettore di Goethe, qualcuno che lo citava molto, come Heidegger, con il quale egli condivide almeno questo debito impagabile e contemporaneamente altri investimenti meno apparenti. Quando parla dell’ombelico del sogno, a proposito del Sogno dell’iniezione fatta a Irma, Freud confessa un sentimento, un presentimento (ich ahne, dice)1. La confessione ha il suo luogo naturale in una nota aggiunta con qualche ritardo. Il tono di Freud e lo statuto di questa nota sono decisamente quelli di una confessione. Rimorso o pentimento, la nota si offre a cose fatte [après coup] ma come tale all’analisi. Essa prende il lettore a testimone come ci si rivolge a un confessore o a qualche destinatario transferenziale, alcuni direbbero come ad un analista, supposto che un lettore non lo sia sempre. Freud dunque presente (Ich ahne) che qualcosa eccede l’analisi. L’interpretazione, la decifrazione analitica, la Deutung di tale frammento non è andata abbastanza lontano: un senso nascosto (verborgene Sinn) eccede l’analisi. Diciamo per il momento che il senso eccede l’analisi e non che le resiste: il concetto di resistenza all’analisi ha in effetti un’altra portata e appartiene a un altro codice nel discorso freudiano, benché, ora ci arriviamo, esso appaia nello stesso contesto e non sia senza rapporto con questo eccesso.
In questa nota, Freud sembra d’altronde non dubitarne un istante: questa cosa nascosta ha un senso. Questo senso appare per il momento segreto o dissimulato (verborgene Sinn), ma ciò che resta ancora inaccessibile non può non essere compenetrato di senso. Il segreto inaccessibile è senso, è pieno di senso. In altre parole, il segreto si rifiuta per il momento all’analisi ma, in quanto senso, è analizzabile, è omogeneo all’ordine dell’analizzabile. Compete alla ragione psicoanalitica. Alla ragione psicoanalitica come ragione ermeneutica. Sottolineo questo tratto e, proponendo di problematizzarlo, spero di andare incontro a Miguel Giusti, sebbene ci vada, come accade troppo spesso, di traverso. Vorrei tentare di raggiungerlo in quei paraggi in cui, prossimo a concludere, egli evocava le «voci contemporanee discordanti» che entrano e si scontrano, cito, ne «la discussione stessa sul senso della razionalità, cioè la controversia intorno al senso, ai limiti o alle illusioni della ragione», discussione che potrebbe essere «interpretata, prosegue, come una discussione topica attraverso la quale […] si prolunga l’esercizio del dialogo con la tradizione, che Aristotele chiamava l’arte della dialettica».2
Per un’introduzione molto provvisoria, reperiamo in un passaggio singolare della Traumdeutung certe domande che si affacciano da lontano su ciò che potremmo chiamare l’analitica, la topica e la dialettica freudiane. Non interrogherò direttamente, come si fa troppo poco in Francia, ma di più nell’ambito analitico anglosassone, l’epistemologia implicita di Freud, i suoi modelli di analisi, di argomentazione, di dimostrazione, la sua logica della prova, la sua retorica, la sua narratica e, se volete, la sua analitica e la sua dialettica. Ma senza farlo direttamente spero di precisare, anche qui obliquamente, quale possa essere il principio di questo compito. All’orizzonte si profilerà la questione di sapere se la psicoanalisi, se l’idea di analisi che le dà il suo nome, trovi una sistemazione adeguata nella storia della ragione, in ciò che in essa è in discussione tra analitica e dialettica.
Questo scrupolo analitico (rendere ragione del senso come senso, fosse anche nascosto – die verborgene Sinn, dice la nota in questione) si confonde qui con una pulsione o una parola d’ordine ermeneutica. In verità, con il principio di ragione stesso, laddove esso prescrive di «rendere ragione», reddere rationem, ad ogni costo. Si deve rendere. Fedeltà al senso, dovere, debito, senso della restituzione richiesta, della restituzione del senso al senso, tutto ciò appare tanto più notevole in quanto Freud radicalizzerà presto questa annotazione. Egli procederà a una generalizzazione facendo un passo in più. Ed è qui che nominerà l’ombelico del sogno.
Questo passo sarà in realtà un salto.
Non dirò niente di nuovo su questo «Sogno dell’iniezione fatta a Irma». Il senso di questo testo, se non di questo sogno, dico proprio il senso di questo testo, se ne ha, sarà stato sicuramente esaurito da lungo tempo dall’enorme letteratura analitica che, nel mondo intero, l’avrà sottoposto a investimento e investigazione da ogni parte. Più nulla di nascosto o di segreto in esso, sembrerebbe. Il mio solo alibi per sostenere l’innocenza o la freschezza della mia modesta lettura, è che è appunto assorbita da altro, forse, questa lettura, che dal senso stesso – e quindi da altro che dall’analisi, una certa analisi, qualche cosa che, in un altro senso, forse, resiste all’analisi, a una certa analisi. Non pretenderò di insegnare qui alcunché a chicchessia, ma piuttosto di ri-porre la questione del senso e dell’analisi, di una certa determinazione del senso e dell’analisi, e di farlo sull’esempio, sull’esempio esemplare, quanto all’analisi, di una certa soluzione (Lösung).
Freud ha quindi appena finito di rimarcare che l’analisi di questo frammento non è stata «condotta» (geführt) abbastanza lontano: vi sarebbero ancora una scorta di senso e un movimento per andare più lontano. Freud fa allora due osservazioni appassionanti, si direbbe anche appassionate, la cui giustapposizione ed eterogeneità meriterebbero un’analisi interminabile. Le due osservazioni sono separate nel testo originale da un punto e un trattino che spariscono nella traduzione francese, in ogni caso dalla prima traduzione, che bisogna quindi subito mettere da parte, soprattutto se ci si interessa a questo passaggio.
Prima osservazione: la donna di Freud tra tre e quattro
Dobbiamo fermarci un momento su ciò che Freud suggerisce a proposito di un quadrato di donne. Nel registro della riserva di senso e dell’analisi provvisoriamente interrotta, Freud nota curiosamente che, se portasse avanti il confronto (Vergleichung) delle tre donne, non mancherebbe di smarrirsi. Perché? Egli non lo dice, non veramente. Perché rischierebbe così di smarrirsi? Perché ne è persino sicuro? Perché ha paura di ciò di cui sembra così sicuro? Perché si perderebbe confrontando le tre donne? E soprattutto, che ne sa? Come può sapere che si smarrirebbe là dove confessa o pretende confessare di non essere andato a vedere, non abbastanza lontano?
Proprio qui, a questo punto, non è impossibile parlare di resistenza all’analisi. D’altronde, nel paragrafo del testo principale così commentato, nel richiamo in nota, Freud aveva detto un po’ di più, appena un po’ di più, sulla propria resistenza, ma notando che ciò che queste tre donne avevano in comune, appunto, era già una certa resistenza all’analisi. Leggiamo questo paragrafo. Tutti sanno che Freud sta analizzando il proprio sogno, un sogno che finirà per presentare lui stesso, in co...

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