L'azienda media-company
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L'azienda media-company

Storytelling, brand journalism e organizzazione

Diomira Cennamo

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  1. 224 pages
  2. Italian
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L'azienda media-company

Storytelling, brand journalism e organizzazione

Diomira Cennamo

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Nell'era della disintermediazione digitale, ogni azienda Ú davvero una media company?SÏ! E se ancora non lo Ú, deve diventarlo, se non del tutto, almeno in parte. Questo perché al prodotto che propone deve associare un ulteriore servizio, sempre meno opzionale: l'informazione. Non Ú un processo semplice, perché implica una vera e propria evoluzione delle strutture organizzative e, prima ancora, della mentalità aziendale: l'impresa di oggi deve prima di tutto pensare e pensarsi come una media company, indipendentemente dalle sue dimensioni e attività.L'azienda media company fornisce un'immersione nel vivo della scena editoriale delle organizzazioni italiane, unendo principi di base e ricerca applicata (contiene la prima analisi specifica del settore in Italia) a riflessioni di esperti e case history raccontate dagli stessi brand reporter, oltre a indicazioni pratiche per l'autovalutazione e la creazione delle condizioni per impostare una redazione aziendale eff iciente ed efficace.

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Informations

Éditeur
Hoepli
Année
2020
ISBN
9788820392949
PARTE 1
Da aziende a media. Lo scenario italiano e internazionale
Qual ù lo scenario dell’azienda media company a livello italiano e internazionale?
Quale potrebbe essere un percorso ideale di trasformazione delle imprese e, in generale, delle organizzazioni non editoriali in veri e propri media? Come si stanno organizzando concretamente le aziende che hanno deciso di intraprendere questo percorso nel nostro Paese?
In questa sezione proveremo a rispondere a queste domande attraverso la proposta di possibili schemi interpretativi, una ricerca applicata e l’esperienza di aziende come Pirelli, Unipol e A2A.
Capitolo 1
Every company is a media company?
di Diomira Cennamo
Volendo guardare dall’alto il fenomeno della trasformazione delle aziende in media, potremmo dire che Ăš il sistema dell’informazione che sta allargando le sue maglie fino a comprendere ambiti in precedenza ritenuti da esso separati, come quello della comunicazione d’impresa, e non soltanto. Persino il singolo individuo con il suo cellulare, attraverso testi, foto e video, puĂČ documentare la scena in cui si trova in presa diretta e in maniera piĂč tempestiva delle stesse agenzie di stampa, diventandone un testimone unico, e in parte giĂ  un reporter, nel suo essere non soltanto fonte, ma anche narratore (sebbene spontaneo e non professionale) della notizia. Tant’ù che per queste pratiche Ăš stato coniato il termine “citizen journalism”.
Attraverso il web, che ù una infrastruttura potenzialmente infinita di canali su cui le fonti e le informazioni nel loro darsi hanno la capacità di entrare in connessione tra loro e con i canali tradizionali, la scena dell’informazione si ù notevolmente ampliata rispetto al passato.
Si va verso la consapevolezza dell’esistenza di un ecosistema informativo, da alcuni osservatori definito “infosfera”1. A questo ecosistema contribuiscono, come detto, soggetti diversi, dai media classici di informazione alle organizzazioni pubbliche e private fino ai cittadini. Tutti questi attori possiedono oggi un’equa abilitazione all’accesso ai canali di comunicazione digitale, entrati di diritto nel novero dei media mainstream, e pertanto un equo potenziale di penetrazione nell’opinione pubblica e nella collettività in generale.
Un sistema integrato che, incrementando a dismisura il flusso dei messaggi, puĂČ moltiplicarne gli effetti, in positivo e in negativo. Si pensi al fenomeno delle fake news e della disinformazione, dovuto anche alle peculiari dinamiche di fruizione e diffusione dei messaggi della Rete, in cui rientrano, tra l’altro, gli algoritmi delle piattaforme abilitanti (motori di ricerca, social media ecc.) e in generale tutte le dinamiche di manipolazione legate all’intelligenza artificiale. All’interno del suddetto sistema tutti gli operatori del settore sono chiamati ad agire in maniera etica per far sĂŹ che il trasferimento dei messaggi, al di lĂ  degli interessi rappresentati da chi quei messaggi li emette, rispetti il diritto delle persone a essere correttamente informate, che Ăš fondamentale per la tenuta stessa del sistema democratico. Non a caso l’Ordine dei Giornalisti ha recentemente deliberato la proposta di rinominarsi “Ordine del Giornalismo”, segnalando una volontĂ  di tutela del diritto alla corretta informazione, sancito nel nostro Paese dalla Costituzione.2 Questa spinta a considerare l’informazione come un bene pubblico si sta producendo non soltanto in Italia, ma a livello internazionale.3
In questo quadro, complice anche la crisi del modello economico alla base dell’informazione tradizionale, che ha avuto come diretta conseguenza la progressiva e drastica riduzione degli organici delle redazioni, Ăš sempre piĂč sentita l’esigenza che il comunicatore di organizzazioni pubbliche e private sia, in tutti i suoi aspetti di attivitĂ , un agevolatore del lavoro del giornalista tradizionale.
In particolare, l’utilizzo, tipico del brand journalism, di metodi, tecniche e formati giornalistici all’interno delle organizzazioni non editoriali, se eticamente condotto, puĂČ servire a questo scopo di mediazione virtuosa tra i fatti aziendali e tutti gli stakeholder, utenti e giornalisti compresi.
Va inoltre detto che sono sempre di piĂč le societĂ  editoriali che differenziano la propria offerta di prodotti, garantendo in questo modo la sostenibilitĂ  dell’attivitĂ  di informazione. Si pensi a realtĂ  come Gambero Rosso che, oltre al rinomato magazine, alle guide, a un canale televisivo satellitare, fornisce consulenza e organizza corsi di formazione e master, eventi enogastronomici, frutto di un’autorevolezza conquistata proprio attraverso un’attivitĂ  editoriale piĂč che trentennale.4
Si pensi ancora a RCS che, oltre a pubblicare quotidiani come il “Corriere della Sera”, periodici e libri, ha da poco avviato una sua Academy.5
E gli esempi potrebbero continuare. Dunque, se le aziende diventano sempre piĂč editori, gli editori diventano sempre piĂč aziende. Il brand journalism, di conseguenza, Ăš destinato a riguardare anche loro.
Brand journalism e azienda media company: l’azienda-editore ù l’azienda che informa
Che relazione c’ù tra quella che chiamiamo “azienda media company” e il giornalismo d’impresa? Se Ăš vero che l’informazione di brand non esaurisce tutti i campi dell’editoria aziendale, l’adozione del modello giornalistico nell’ambito della strategia di comunicazione rappresenta chiaramente un indicatore dell’evoluzione dell’organizzazione nel suo ideale processo di trasformazione editoriale. PerchĂ© questo? In primis per i ritmi elevati che la produzione di contenuti editoriali di stampo giornalistico richiede: pensiamo alla rapiditĂ  delle breaking news o comunque all’attualitĂ  quotidiana insita nel concetto di notizia. Questa velocitĂ  esecutiva Ăš diretta conseguenza del grado di agilitĂ  organizzativa della realtĂ  presa in considerazione. Lo stare sulla notizia, che sia propria o del mercato di riferimento, richiede uno sforzo di realizzazione che presuppone delle routine quotidiane ben oliate e che mettono in campo processi continuativi, in grado di seguire i fatti del presente, passarli al setaccio della notiziabilitĂ , e di conseguenza trasformarli in notizia, attraverso un lavoro piĂč o meno approfondito di ricerca e di successivo racconto. Il tutto con i tempi limitati che l’attualitĂ  impone. Per questi mo...

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