Parte terza
I chiodi
Non mancavano ormai che due giorni al momento in cui avrei preso possesso della colonia di KurjaĆŸ: e quindi era necessario fare e decidere qualcosa nel consiglio dei comandanti, perchĂ© i colonisti potessero organizzare, anche senza di me, la complicatissima operazione di raccogliere e trasferire a KurjaĆŸ tutti i nostri beni.
Nella colonia tutte le paure, le speranze, i nervosismi, gli occhi accesi, i cavalli, i carri, i vortici di piccole cose, di ânota beneâ dimenticati e di corde disperse, si erano impigliati in un nodo cosĂŹ aggrovigliato, che io non credevo che i ragazzi fossero in grado di scioglierlo.
Era passata solo una notte dal momento in cui avevamo ricevuto lâaccordo per il trasferimento a KurjaĆŸ, ma la colonia era giĂ riuscita a mettersi in marcia: con lâumore, con le passioni, con i ritmi. I ragazzi non avevano nessuna paura di KurjaĆŸ; anche perchĂ© non lo avevano ancora visto in tutto il suo splendore. Invece, ai miei occhi, KurjaĆŸ continuava ad apparire come un fantastico ed orrendo cadavere ancora capace di afferrarmi alla gola nonostante che la sua morte fosse stata sancita ufficialmente giĂ da un pezzo.
Il consiglio dei comandanti decise: con me, a KurjaĆŸ, dovevano venire solo nove colonisti e un educatore. Io ne volevo di piĂč. Protestavo dimostrando che con forze cosĂŹ scarse non avremmo combinato niente, che saremmo solo riusciti ad indebolire lâautoritĂ della «Gorâkij», che da KurjaĆŸ era stato licenziato tutto il personale e che molti lĂ ce lâavevano con noi.
Mi rispondeva Kudlatyj sorridendo con un sorriso cordialmente ironico:
- A dire il vero, sia che siate dieci, sia che siate venti, non combinerete un bel diavolo di niente. Quando arriveranno tutti, allora la cosa sarĂ diversa e li travolgeremo. Tenga presente che quelli sono trecento. Qui bisogna prepararsi sul serio. Pensi un poâ cosa ci vuole solo a caricare trecentoventi maiali. E inoltre consideri che quelli di Charâkov o sono impazziti o lo fanno di proposito ogni giorno ci mandano qualche novellino.
I novellini erano un cruccio anche per me. Diluivano il nostro collettivo e ci impedivano di mantenere la «colonia Gorâkij» al meglio della sua forza e purezza. E il nostro piccolo reparto doveva scontrarsi con una folla di trecento persone.
Nel prepararci alla lotta con KurjaĆŸ io riponevo le mie speranze in un unico colpo fulmineo. Il minimo temporeggiamento, qualunque speranza di evoluzione o di «penetrazione graduale» poteva pregiudicare il successo della nostra operazione. Sapevo bene che a «penetrare gradualmente» non sarebbero state solo le nostre forme e tradizioni, il nostro stile, ma anche quelle dellâanarchia di KurjaĆŸ. Le teste dâuovo di Charâkov, con le loro insistenze sulla
«penetrazione graduale», non facevano altro che restar ferme sulle vecchie posizioni di lavoro artigianale: secondo loro i ragazzi buoni avrebbero finito con lâinfluire positivamente su quelli cattivi. Io invece sapevo per esperienza che anche i ragazzi piĂč validi, se inseriti in forme di collettivo disgregate, si mutavano rapidamente in piccole belve selvatiche. Non incrociai apertamente le spade con le teste dâuovo, perchĂ© facevo affidamento con precisione aritmetica sul fatto che il nostro attacco decisivo si sarebbe concluso ancor prima che fosse iniziata qualunque altra strategia graduale. Ma i novellini mi erano dâimpaccio. Quellâintelligente di Kudlatyj si rendeva conto che anche loro andavano preparati per il trasferimento con la stessa cura con cui si preparava tutto il resto.
Per questo, partendo per KurjaĆŸ alla testa del «reparto misto dâavanguardia» non potevo fare a meno di guardarmi alle spalle con profonda inquietudine. Kalina IvanoviÄ, benchĂ© mi avesse promesso di continuare a dirigere le operazioni fino allâultimo, era tanto frastornato e rattristato dallâimminente separazione, che riusciva solo a vagare qua e lĂ ricordandosi a fatica di qualche dettaglio importante per poi dimenticarsene subito, immediatamente sopraffatto dal suo amaro dolore di vecchio. I colonisti ascoltavano con rispetto ed affetto le disposizioni impartite da Kalina IvanoviÄ, rispondevano con un saluto molto marcato e con un impeccabile «agli ordini!», ma appena giunti sul luogo di lavoro si liberavano in fretta di ogni fastidioso senso di compassione per la vecchiaia e facevano di testa loro.
A capo della colonia lasciai Kovalâ, che piĂč di ogni altra cosa temeva di essere «imbrogliato» dalla «comune LunaÄarskij» alla quale avremmo ceduto la tenuta, i campi seminati e il mulino. Alcuni esponenti della comune giĂ si facevano vedere fra i reparti della colonia e la barba rossa del presidente Nesterenko giĂ da molto guardava sospettosa Kovalâ. Olja Voronova non amava i duelli diplomatici fra i due e cercava di convincere Nesterenko:
- Nesterenko, vai a casa. Di cosa hai paura? Qui non ci sono imbroglioni. Vattene a casa, ti dico!
Nesterenko sorrideva con aria furba solo con gli occhi, e indicava Kovalâ rosso dâira.
- Ma, OleÄka, lo conosci quellâuomo? Ă un kulak, Ăš kulak per naturaâŠ
Kovalâ si confondeva ed arrossiva ancor di piĂč per lâira e riusciva appena a dire con fatica, ma con la massima decisione:
- E tu cosa credevi? Pensavi che ti dessi tutto gratis, dopo tutto il lavoro che hanno svolto qui i nostri ragazzi. E perchĂ©? PerchĂ© sei della «LunaÄarskij»? Avete messo su pancia e fate ancora finta di essere poveri!⊠Pagate!...
- E con cosa vuoi che ti paghi?
- PerchĂ© dovrei pensarci io? Tu, invece, a cosa pensavi quando ti ho chiesto se dovevamo seminare? Allora hai fatto il signore, hai detto: seminate! Beh, adesso paghi. Per il grano, per la segala, per le barbabietoleâŠ
Ora Nesterenko china la testa da un lato, apre la borsetta del tabacco, cerca attentamente qualcosa sul fondo e dice con un sorriso colpevole:
- à proprio vero, i semi⊠hai ragione, sÏ. Ma perché vuoi che ti paghi il lavoro dei ragazzi?
Avrebbero potuto lavorare, per cosĂŹ dire, per il bene della societĂ .
Kovalâ balza su dalla sedia con aria feroce e, giĂ sulla porta, si volta furioso e caldo come se avesse la febbre:
- E perchĂ© diavolo dovrebbero, dannate sanguisughe? Cosa siete, malati, forse? Dite di essere comunardi e cercate di sfruttare il lavoro dei ragazzini! Se non pagate do via tutto a quelli di GonÄarovkaâŠ
Olja Voronova spedisce Nesterenko a casa e dopo un quarto dâora Ăš in giardino che sussurra qualcosa a Kovalâ, conciliando in se stessa, con âpotereâ tipicamente femminile, le contrastanti simpatie per la comune e per la colonia. La colonia Ăš ancora la madre per Olja, mentre nella comune Ăš lei che ha apertamente in mano le redini, dominando sugli uomini per le sue vaste cognizioni di agronomia, ereditate da Ć ere, e attirandosi le simpatie delle donne con la sua costante e insistente propaganda dellâemancipazione femminile, appoggiandosi nelle situazioni piĂč difficili su un plotone di una ventina di ragazzi e ragazze che la seguono come se fosse Giovanna dâArco. Sâimpone per la sua cultura, per la sua energia fiera e fiduciosa. Kovalâ non manca mai di vantarsi, guardandola:
- Opera nostra!
Olja era orgogliosa del generoso regalo che la «colonia Gorâkij» lasciava alla «LunaÄarskij» sotto forma di una tenuta in perfetto ordine con un sistema di coltivazione su sei campi, mentre per noi questo regalo era una vera catastrofe economica. Da nessun altra parte si avverte lâimportanza del lavoro compiuto in precedenza come in agricoltura. Noi sapevamo molto bene quanto costasse ripulire i campi dalle erbacce, organizzare la rotazione, adattare ed attrezzare ogni particolare, curare e mantenere in ordine ogni elemento di un processo lento, invisibile e tanto faticoso come nellâagricoltura. La nostra vera ricchezza si trovava da qualche parte in profonditĂ , tra gli intrecci delle radici delle piante, nelle stalle ormai familiari e organizzate, nei congegni sapienti delle macchine agricole, nel cuore di semplici ruote, stanghe, timoni, vomeri. E ora che molte di queste cose dovevano essere abbandonate e altre strappate allâarmonia generale per essere stipate negli spazi angusti dei carri merci si capiva perchĂ© Ć ere fosse diventato verde per la tristezza e perchĂ© si notasse nel suo modo di muoversi qualcosa che ricordava la vittima di un incendio.
Ma nemmeno la tristezza impediva a Eduard NikolaeviÄ di preparare con calma metodica il trasloco delle sue cose; ed io, partendo per Charâkov con il misto dâavanguardia, potevo osservare senza patimenti dâanimo la sua faccia abbattut...