Social Media Entertainment
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Stuart Cunningham, David Craig, Rocco Fischetti

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Stuart Cunningham, David Craig, Rocco Fischetti

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In poco piĂč di dieci anni, numerose piattaforme di social media sempre in competizione tra loro, come YouTube, Facebook, Twitter, Instagram e Snapchat, hanno creato dal nulla una nuova industria creativa. Il Social Media Entertainment si pone all'incrocio tra l'intrattenimento e l'interattivitĂ , tra il contenuto e la pubblicitĂ . I creator hanno sfruttato queste piattaforme per generare tipologie inedite di testi, diversi dal modello – durato secoli – delle proprietĂ  intellettuali e delle classiche imprese di intrattenimento. Questa forma inedita di produzione di contenuti si Ăš diffusa molto in fretta, costringendo i media tradizionali a cedere parte del loro potere e della loro influenza ai creator, ai fan, agli abbonati. Le piattaforme digitali hanno ritagliato uno spazio di mercato perfetto per ospitare promozione mescolata alle narrazioni, cambiando cosĂŹ in profonditĂ  pure i mondi della comunicazione e del marketing. E tutto questo ha finito per creare nuovi bisogni e nuove sfide per artisti, addetti ai lavori, intermediari e audience.In questo studio approfondito, che raccoglie le indicazioni di oltre cento professionisti, si racconta passo dopo passo la nascita e lo sviluppo del Social Media Entertainment e si analizza il suo forte impatto sulla produzione e sul consumo dei media. La trasformazione dei social e il coinvolgimento degli utenti hanno stravolto l'intrattenimento contemporaneo, e solo adesso cominciamo a capire meglio questa rivoluzione e le sue molte conseguenze.

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Informations

Éditeur
minimum fax
Année
2021
ISBN
9788833892986

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LE STRATEGIE DELLE PIATTAFORME

Per gli studi critici sull’industria dei media, il contesto chiave in cui collocare il SME ù il rapporto tra Hollywood e la Silicon Valley.
Le analisi del tasso di variazione dei membri del Fortune 500 (la classifica delle piĂč grandi societĂ  statunitensi) mostrano che con il passare del tempo Ăš aumentata la velocitĂ  di turnover.1 Al contrario, tra i grandi dell’industria dello schermo si Ăš evidenziata una notevole stabilitĂ . Delle otto societĂ  originali che hanno dominato il cinema per tutta la prima metĂ  del ventesimo secolo (Paramount, Metro-Goldwyn-Mayer, Fox, Warner Brothers, Radio-Keith Orpheum, Universal, Columbia e United Artists), solo RKO Ăš scomparsa, sostituita dalla Disney all’interno dell’oligopolio anni Cinquanta, mentre MGM-UA Ăš scivolata fuori dalla lista annuale dei primi dieci distributori durante gli anni Duemila. L’oligopolio dei broadcaster, sebbene di piĂč breve durata, Ăš ancora piĂč ristretto. Ai sei grandi studios cinematografici si uniscono Cbs, Nbc e Abc che hanno dominato il panorama televisivo per quasi settant’anni, con l’unica aggiunta di Fox tra i network statunitensi principali.
Queste «major» si sono adattate a varie ondate di cambiamenti significativi nella struttura normativa, nella tecnologia e nel gusto, rimodulando le proprie strutture aziendali attraverso un’integrazione verticale de facto con le loro societĂ  madri: Nbc-Universal; Viacom-Paramount-Cbs; Time-Warner; Disney-Abc; e Fox. Grazie alla saldatura tra contenuti e distribuzione – e attraverso film e televisione, nonchĂ© etichette musicali, editoria, parchi a tema e veri e propri feudi di merchandising – le major hanno formato un oligopolio che ha dominato la scena per decenni.
Ora si trovano invece ad affrontare sfide per alcuni aspetti inedite. Malgrado la frammentazione di un pubblico un tempo monolitico non impedisca all’audience atomizzata ma pur sempre vasta della televisione di rimanere una risorsa preziosa per gli inserzionisti, l’analisi del settore, come presentata nella figura 1.1, mostra che nel 2016 negli Stati Uniti, e nel 2017 nel mondo, le entrate della pubblicitĂ  digitale hanno superato quelle della pubblicitĂ  televisiva tradizionale.2 Il box office del cinema nordamericano si mantiene alto grazie all’aumento dei prezzi dei biglietti che compensano l’affluenza stagnante, e il settore della tv via cavo, di fronte all’escalation dell’annullamento degli abbonamenti (cord cutting), ha risposto con l’aumento dei prezzi con l’unico risultato di far salire ulteriormente il tasso di abbandono.3 Una nuova confluenza di societĂ  tecnologiche Ăš stata in grado di fornire contenuti su larga scala, creando nuovi mercati nazionali e globali e ponendo le basi per supportare nuove forme di contenuto. In questa nuova ecologia dello schermo che sfida il predominio delle societĂ  di media tradizionali, le aziende che hanno avuto piĂč successo nella distribuzione digitale sono outsider rispetto al vecchio contesto oligopolistico; si tratta di imprese molto piĂč grandi con risorse di gran lunga maggiori, che utilizzano modelli di business del settore digitale piuttosto che quelli di contenuti e prezzi premium tipici di Hollywood.
1.1. Confronto tra le entrate pubblicitarie del SME e quelle dei media tradizionali
1.1. Confronto tra le entrate pubblicitarie del SME e quelle dei media tradizionali. Fonti: PricewaterhouseCoopers, Statista, Alphabet, Facebook, Twitter, Pew Research Center.
1.2. Ricavi dei nuovi attori e di quelli consolidati. Fonte: US Securities and Exchange Commission
1.2. Ricavi dei nuovi attori e di quelli consolidati. Fonte: US Securities and Exchange Commission.
La differenza fondamentale tra gli operatori storici dei media e le nuove societĂ  (Apple, Amazon, Google, Facebook, Netflix) Ăš che queste ultime sono attivitĂ  internet pure-play con una vasta popolazione di clienti o utenti online che generano un’enorme quantitĂ  di dati sulle abitudini di ricerca e sugli acquisti; esse inoltre condividono un focus primario sull’innovazione tecnologica e vantano anni di esperienza nel marketing diretto al loro bacino di utenti, rivolgendosi specificamente a coloro che hanno maggiori probabilitĂ  di essere interessati a un particolare genere o programma sulla base del loro comportamento passato. Nel passato questi nuovi attori hanno lavorato con le major oppure hanno messo a punto tattiche di blocco dei loro contenuti. Commissionando contenuti inediti e favorendo cambiamenti sostanziali nella loro presentazione, distribuzione e tipologia hanno ora in mano il controllo delle piattaforme che forniscono contenuti a un pubblico multischermo in crescita. Negli Stati Uniti, Netflix e YouTube rappresentano al momento oltre il 50% del traffico internet in prima serata, con Amazon Prime Video e Hulu rispettivamente al 3,96% e al 2,47%.4 In tutto il mondo le persone caricano su YouTube piĂč di cinquecento ore di video al minuto.5 Netflix si autodefinisce la «rete internet tv leader nel mondo». La figura 1.2 mostra che i redditi 2016 delle major (con le loro societĂ  madri) ammontano a solo il 35% di quelli dei nuovi attori (Google, Amazon, Apple, Facebook, Yahoo, Netflix, Twitter): 29,2 miliardi di dollari contro 83,3.
Attingendo alle lezioni della storia e tenendo conto della specificitĂ  delle nuove sfide, vogliamo sostenere che Ăš piĂč facile comprendere l’economia politica della forma emergente del SME nell’ottica di uno scontro interdipendente di culture industriali. Per questo motivo – riprendendo la «nota rivalità» nella cultura popolare tra il Nord e il Sud della California, testimoniate dalle differenze nell’accento e nel grado di progressismo politico – sfrutteremo la distinzione tra NoCal (o NorCal) e SoCal.6 La nostra attenzione si concentra sul fatto che questa geografia culturale della rivalitĂ  si associa anche con notevole pertinenza a due culture industriali molto differenti, ma entrambe leader a livello mondiale, che si scontrano, convergono e diventano sempre piĂč interdipendenti. La cultura aziendale NoCal implementa strategie di IT, propugna una perturbazione aggressiva del mercato e apprezza la prototipazione rapida e l’iterazione, la cosiddetta versione «beta permanente», la misurazione avanzata e la «programmazione». Da parte sua, la cultura aziendale SoCal Ăš incarnata dai media cinematografici consolidati, cioĂš Hollywood, dalle principali emittenti e dalle lobby delle reti via cavo, con i loro modelli di business consolidati basati sullo spettacolo e sui contenuti premium e il ricorso a tecniche di misurazione vecchie di decenni.
Se da una parte l’insieme delle nuove piattaforme digitali costituisce una formidabile sfida per le industrie storiche dei media, altrettanto significativamente i colossi dell’IT devono fare i conti con i vecchi e nuovi fondamenti dell’intrattenimento dei mass media. CiĂČ vuol dire confrontarsi con le disordinate idiosincrasie del gusto dei consumatori che hanno dato origine ai metodi consolidati con cui i media affrontano la radicale incertezza della domanda (nelle parole dell’economista Richard Caves: «non Ăš del tutto accurato – ma quasi – dire che l’innovazione nella domanda di attivitĂ  creative si riduce essenzialmente a un continuo cambio di idea dei consumatori su ciĂČ che gli piace»7). Va anche preso in considerazione il cauto conservatorismo nei confronti del digitale nutrito da brand e inserzionisti – che sono la fonte di quasi tutti i finanziamenti – cosĂŹ come i nuovi poteri e agency dei produttori di contenuti. Da una parte, l’ecologia dello schermo si sta abituando a ritrovarsi in uno stato che l’industria del software definisce «beta permanente»: uno stato di prototipazione rapida, riassunto bene dal motto «fallisci velocemente, impara, cambia». Dall’altra, Facebook, Twitter e la cultura ingegneristica di Google sono stati costretti ad affidarsi al marketing degli influencer, ai contenuti brandizzati e alle altre realtĂ  commerciali high touch (cioĂš caratterizzate da una stretta e intima interazione tra utente e innovazione tecnologica) per generare ricavi. Questa Ăš la sfida della «monetizzazione dopo [Google] AdSense», nelle parole del dirigente digitale Jordan Levin:8 mettere a punto una tipologia di marketing e di pubblicitĂ  che non sia scalabile in modo massiccio tramite l’automazione (o la programmazione, come viene piĂč spesso chiamata nel settore).

Potere e pericolo

Questo capitolo tratta dell’oscillazione tra la strategia NoCal e SoCal utilizzata dalle principali piattaforme che forniscono le affordance necessarie all’affermazione del SME. Le storie delle principali piattaforme sono costruite attorno a questo scontro di culture e in relazione alla loro convergenza sul video come motore dei contenuti della piattaforma. Disponiamo la strategia delle piattaforme lungo un continuum. Da un lato del continuum ci sono le piattaforme digitali che giocano in modo preponderante nello spazio dei contenuti generati dai professionisti (PGC): Hulu, Amazon, iTunes di Apple, Netflix e i suoi numerosi epigoni regionali. All’estremitĂ  opposta ci sono le piattaforme di social media pure che prosperano su larga scala – Facebook, Twitter, Twitch, Instagram, Snapchat – le quali per monetizzare cercano di sfruttare i contenuti generati dagli utenti (UGC) e gli effetti dell’ampia rete di pubblico che mettono loro a disposizione. Nel mezzo c’ù YouTube, che Ăš un’enorme piattaforma di contenuti annidata in una piattaforma di comunicazione (Google) con qualche affordance da social media. La nostra enfasi su YouTube Ăš giustificata sia dal suo status di pioniere del SME che dalla sua vicinanza e spesso assimilazione ai canali televisivi e alle piattaforme di abbonamento video on demand (SVoD). Il lancio nel 2015 di YouTube Red, la sua piattaforma di abbonamento, che presenta generi e format multimediali piĂč tradizionali basati su proprietĂ  intellettuale e accordi di licenza simili alla tv, supporta ulteriormente le nostre affermazioni circa la peculiaritĂ  di YouTube nel quadro di questa nuova ecologia dello schermo. Trattando dei contenuti e delle strategie del SME, al centro della nostra ricostruzione sarĂ  la convergenza (a vario grado) delle piattaforme social media sul video come motore dei contenuti monetizzabili.
Questa stessa ricostruzione intende presentare anche un contrappunto alla potenza apparentemente invincibile delle piattaforme. Gli attacchi generalizzati alle grandi piattaforme digitali, come quelli lanciati da Michael Wolff9 e Jonathan Taplin,10 muovono da posizioni diametralmente opposte. Da un lato, Wolff si schiera a favore della continuitĂ , scagliandosi contro il potere delle piattaforme di smantellare la fondamentale resilienza aziendale della televisione e liquidando i loro contenuti come «traffico» mercificato piuttosto che come prodotto di qualitĂ . Dall’altro, Taplin monta un racconto cospiratorio riguardo al potere che hanno le piattaforme di «muoversi velocemente e distruggere tutto», inclusi i venerandi mezzi di produzione dei contenuti per gli schermi statunitensi. Sebbene la tendenza al monopolio su cui insiste Taplin sia reale – come spiegheremo nella sezione seguente, che tratta tra l’altro di economia della rete – tali tendenze hanno anche creato le condizioni per la potenziale visibilitĂ  di nuove voci e nuove forme di contenuto che costituiscono il SME. CiĂČ non toglie che esistono diversi motivi per nutrire legittime preoccupazioni circa le piattaforme e il loro potere, tra cui l’elusione fiscale, la tutela della privacy, il comportamento anticoncorrenziale e la sicurezza nazionale,11 molte delle quali sono qui pienamente riconosciute. Ma ciĂČ che sosteniamo Ăš che, nella travagliata «distruzione creativa» che lo storico e teorico dell’economia Joseph Schumpe...

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