Praticare l'Europa
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Esordisce, con un volume dedicato all'Europa, e alla Scuola in chiave europeistica, la collana Puglia@scuola, frutto di una riflessione, elaborata in questi anni, sulle possibilità di mettere in atto strategie e, unitamente, azioni che possano coniugare il bisogno di innovazione, quale prospettiva di sviluppo della società, della quale la Scuola è parte come elemento-motore, ma anche bisogno di riflessività sui processi di innovazione in atto.

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Informations

Année
2013
ISBN
9788861533974
PARTE I
Il contesto

1.

Dimensione europea e innovazione

di Antonio Giunta La Spada*
Per avere solo un’idea della voglia di cooperazione europea della scuola italiana basti pensare che solo nel 2012 sono state diecimila le candidature presentate per tutte le azioni dei programmi Comenius, Grundtvig e per le visite di studio, nell’ambito del programma LLP gestito dall’Agenzia nazionale di Firenze, con un incremento percentuale di oltre il 10%. Ma sono soprattutto i dati sui progetti approvati i più significativi, con oltre un 33% su tutte le candidature presentate, malgrado l’esiguità dei finanziamenti europei rispetto alle domande di partecipazione e l’assenza di cofinanziamenti nazionali integrativi.
Alla vigilia del debutto, nel 2014, della nuova generazione di programmi 2014/2020, i numeri riepilogativi dei sei anni di LLP dal 2007 al 2012 (cfr. il numero 19 de “I Quaderni del Lifelong Learning Programme”) sono numeri importanti perché parlano di persone, persone che hanno voglia di mettersi in gioco, di confrontarsi con altre realtà, di valorizzare il proprio lavoro, siano essi studenti, volontari, docenti, dirigenti scolastici.
Parliamo di oltre 80.000 docenti e alunni che hanno partecipato ai partenariati Comenius, di oltre 6000 borse individuali per formazione in servizio, di quasi 4000 progetti di cooperazione tra scuole, è il popolo dell’Europa dell’istruzione che, malgrado resistenze e difficoltà, sta consolidando lentamente un tessuto connettivo di interazioni vitali, un humus fertile di cittadinanza europea.
Ma oggi quale stagione sta vivendo la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione? Non certo una stagione fiorente. A parità di Trattati, e quindi con i vincoli istituzionali che sappiamo, la Commissione europea nel novembre 2012 ha presentato la sua nuova piattaforma, la sua proposta per “Ripensare l’istruzione”. Ovviamente il documento risente dell’attuale congiuntura economica e l’investimento nell’istruzione e nella formazione, riconfermato come centrale, è orientato ai fini della crescita e della competitività. Da Lisbona in poi l’Unione ha sempre orientato la sua azione sul doppio binario dello sviluppo economico e della coesione sociale. Anche durante il semestre di presidenza italiana del 2003 i consensi unanimi si consolidarono attorno alla coessenzialità dei due temi. Ora, e la Commissione europea preventivamente se ne giustifica nella premessa della sua comunicazione, benché obiettivi quali la cittadinanza attiva, lo sviluppo personale permangano, le sfide più urgenti riguardano il rallentamento della crescita economica, le esigenze dell’economia e la ricerca di soluzioni alla disoccupazione giovanile.
La comunicazione si concentra sulla necessità di sviluppare abilità adeguate per il mondo del lavoro e individua quattro aree prioritarie d’intervento, in verità non del tutto nuove. Le politiche nazionali sono sollecitate a intensificare gli sforzi nel rafforzamento della qualità del loro sistema di istruzione e formazione professionale e nella promozione dell’apprendimento sul lavoro. Le altre due aree sembrano aggiunte per arricchire il pacchetto di proposte poiché riguardano l’una un approccio e una modalità di lavoro, ovvero la promozione di partenariati tra istituzioni pubbliche e private; l’altra la promozione della mobilità (tema presente dalla nascita della cooperazione nel settore) attraverso il futuro programma Erasmus for All. L’analisi del documento evidenzia aspetti già noti e più volte ribaditi; tra questi l’importanza dello sviluppo di abilità trasversali, imprenditoriali, di abilità nell’area scientifica e tecnologica, di capacità linguistiche. Nulla di nuovo anche in merito alla richiamata esigenza di migliorare i risultati, la valutazione e il riconoscimento dell’apprendimento con più specifico riguardo alle qualifiche di istruzione superiore. Parzialmente nuovo risulta l’invito, nell’ambito dell’apprendimento con il supporto delle TIC, a facilitare l’accesso a “risorse educative aperte” (OER), caratterizzate dalla personalizzazione, dall’uso dei media digitali, dalla collaborazione di pratiche che esulano dai circuiti formali. È una leva per ampliare l’offerta formativa utile, come dichiara la Commissione, per uscire dalle forme e dai confini tradizionali dei processi di apprendimento/insegnamento ma che impone agli Stati alcune azioni chiave: la regolamentazione dei diritti e degli obblighi degli utenti di contenuti digitali; l’istituzione di meccanismi per convalidare e riconoscere le abilità e le competenze acquisite attraverso le OER. In linea con le pregresse linee di orientamento dell’Unione è invece l’invito agli Stati alla revisione e al rafforzamento della formazione iniziale e del profilo professionale di docenti e dirigenti scolastici.
A livello dell’Unione, se viene garantito maggiore sostegno agli Stati membri impegnati ad attuare le priorità indicate, proseguirà l’azione di monitoraggio dei progressi compiuti da ciascun Paese e l’utilizzo dei risultati raggiunti per la preparazione di specifiche raccomandazioni.
Ciò che cambia, è bene rammentarlo, nella strategia Europa 2020 è tutto il modello di governance con un più marcato ruolo di coordinamento della Commissione europea e una costante funzione di “accompagnamento” delle politiche degli Stati membri.
L’influenza sulle politiche nazionali, anche sull’istruzione che rimane a norma dei Trattati di diretta responsabilità degli Stati, si basa sugli elementi strettamente integrati che contraddistinguono la governance della strategia. Con riferimento agli orientamenti integrati di Europa 2020, la Commissione assolve, infatti, ad una funzione di vigilanza macroeconomica di stimolo alla crescita e alla creazione di occupazione, ma anche di monitoraggio delle riforme ritenute fondamentali per lo sviluppo, pur incluse nelle politiche chiamate di coordinamento tematico, come per l’appunto le politiche educative e della formazione. Paradossalmente è il prezzo che queste politiche “pagano” per acquisita consapevolezza della loro centralità ai fini dello sviluppo economico da Lisbona in poi, quando si avvia la fase “politica” della cooperazione nel settore, dopo quella “legale” nata con Maastricht e l’inclusione dell’istruzione nei Trattati, seguita a quella “sperimentale” avviata dal 1976 coi primi progetti pilota. Tutte le riforme che riguardano la valorizzazione del capitale umano, ovvero istruzione, formazione, ricerca, innovazione sono oramai considerate strutturali per lo sviluppo.
Ulteriore elemento di valutazione è quello collegato al cosiddetto “patto di stabilità e crescita”, sempre citato e spesso criticato, che implica in sostanza una funzione di sorveglianza e controllo di bilancio per garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche e che detta alcuni vincoli di bilancio a cui sono soggette le azioni degli Stati membri.
L’istruzione, quindi, subisce una duplice azione: da un lato monitorata sui risultati in quanto rientrante tra le politiche strutturali, dall’altro vincolata e condizionata dalle esigenze di risanamento dei conti pubblici.
In poche parole l’Unione costruisce una strategia, offre un quadro politico di supporto con strumenti come le “iniziative faro” e con atti più politici come le raccomandazioni specifiche per Paese ma rafforza complessivamente i meccanismi di monitoraggio e di orientamento sulle politiche educative e della formazione.
Sta di fatto che la tanto criticata scuola italiana ha mostrato tanta “voglia d’Europa” da condurre il nostro Paese, con il supporto tecnico dell’Agenzia nazionale LLP di Firenze, a primeggiare sia per numero di domande presentate che auto-rizzate e ad ottenere riconoscimenti di qualità da parte della Commissione europea, in tutte le misure del programma.
Ma a tale entusiasmo di partecipazione è seguita una modifica degli atteggiamenti e del modo di fare scuola? La partecipazione alle attività proposte dai programmi europei ha prodotto innovazione all’interno del sistema scuola? Nel modo di operare e di essere dei suoi attori principali? A tali questioni dà risposta una recente indagine realizzata dall’Agenzia LLP, coadiuvata dal dipartimento statistica, informatica, applicazioni dell’Università di Firenze, indagine che si è avvalsa, fra l’altro, di un questionario distribuito ad un campione rappresentativo di 411 scuole.
Gli esiti dell’indagine, disponibile integralmente sul sito dell’Agenzia LLP, sono estremamente significativi ed evidenziano che chi partecipa all’Europa non solo migliora la propria formazione ma diviene agente di innovazione su contenuti, metodi, rapporti e, in piccolo, contribuisce alla crescita di “una comunità di apprendimento”.
C’è di più: la condivisione collaborativa e di realizzazione del progetto comune diviene elemento catalizzatore delle risorse umane e materiali disponibili, prescindendo dai contenuti stessi oggetto della cooperazione e dall’entità dei finanziamenti. La cooperazione comunitaria presuppone, infatti, l’interazione tra soggetti istituzionali diversi, determina lo sviluppo di sinergie, induce a rafforzare l’esigenza delle istanze di coordinamento e concertazione sia nel contesto scolastico che territoriale.
Dall’indagine emerge che gli insegnanti, cooperando in partenariato con altre scuole europee, sono preventivamente indotti a conoscere meglio il “loro” contesto sociale e culturale, quello in cui si trovano ad operare; a modificare poi il rapporto con il territorio e con il mondo esterno; a rafforzare al loro interno i momenti di confronto e programmazione, riorientando attitudini e comportamenti: in sostanza l’Europa ha cambiato la scuola, ampliando le potenzialità dei processi di autonomia e spesso anticipandoli. Ha contribuito a innovare contenuti e metodologie di lavoro, a migliorare la formazione professionale di docenti e dirigenti, a incrementare la motivazione alla conoscenza delle lingue straniere, a diffondere un approccio più integrato all’uso delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Ovviamente sono tanti gli aspetti da migliorare: il momento della valutazione dei risultati è uno di questi, così come quello della loro pubblicizzazione ed eventuale fruibilità in contesti diversi da quelli di origine, ma quello che oramai è un dato acquisito è che tutti i progetti europei entrano a pieno titolo nel Piano dell’Offerta Formativa.
Ma ciò che più interessa e che emerge dalle testimonianze e dalle risposte raccolte è che, grazie ai programmi europei, la scuola esce dal suo particolare ed entra in contatto con culture altre ma senza rinunciare, anzi vivificando il suo lavoro ordinario, al suo fare quotidiano. Nel tempo risulta poi più facile rinnovare la partecipazione, aprire le singole scuole a reti allargate sul territorio, favorire una dimensione interculturale degli apprendimenti.
Affrontando il tema del rinnovamento dell’offerta formativa e dei curricula e analizzando nel dettaglio i dati forniti dal campione, si nota che la corrispondenza fra POF e linee strategiche europee (Europa 2020) è mediamente superiore al 60% (la percentuale è variabile in relazione al profilo professionale di chi risponde).
L’obiettivo maggiormente citato nell’offerta formativa delle scuole del campione è l’acquisizione di competenze (69,79%), seguito a breve distanza dall’acquisizione di competenze interculturali (65,86%); anche altri temi quali quelli dell’integrazione/inclusione e della cittadinanza superano ampiamente la soglia del 50%. Se andiamo a osservare i livelli scolastici, la tematica “creatività e innovazione” è più consistente nella scuola primaria mentre la mobilità degli studenti è più presente in quella secondaria.
È interessante rilevare che POF e progetti europei sembrano avere un comune denominatore principalmente nello sviluppo delle competenze chiave, soprattutto quelle trasversali. Per quanto riguarda l’influenza della partecipazione a progetti europei sull’organizzazione didattica della scuola, la quasi totalità delle scuole del campione ne riconosce la positività in particolare con riferimento alla progettazione del curricolo (70,57%).
Significativo è anche il tasso di apprezzamento delle scuole sul contributo dei progetti europei all’ampliamento dell’offerta formativa. Maggiore e più efficace utilizzo delle nuove tecnologie, potenziamento delle lingue straniere e introduzione del CLIL, più mobilità ma anche uso degli strumenti europei di certificazione delle competenze.
Una delle domande poste al centro dell’indagine è se i progetti di partenariato europeo contribuiscano al rinnovamento delle metodologie nei processi di apprendimento/insegnamento. Ebbene, il 90,33% dichiara che la partecipazione ai progetti europei ha influito sull’organizzazione didattica all’interno della scuola. Ben il 79,60% delle risposte a questo quesito indica come aspetto su cui maggiormente incide la partecipazione la collaborazione tra insegnanti (team work), un dato coerente con quanto già evidenziato in merito alla necessità di una programmazione e di un lavoro collegiale nella progettazione europea. Un altro elemento da ricollegare a questa domanda è la percentuale del 46,22% di risposte affermative sulla creazione di una funzione strumentale per i progetti.
Insomma non la facciamo lunga anche perché gli esiti dell’indagine sono disponibili per le vostre analisi e osservazioni. Quello che a noi preme evidenziare è che, anche per questo aspetto, le ...

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