Stereotipo, stigma sociale e discriminazione: l'audiovisivo e il cinema
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Stereotipo, stigma sociale e discriminazione: l'audiovisivo e il cinema

Quaderni didattici - Percorsi per l'inclusione - 1/2021

Paola Cavallo

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Stereotipo, stigma sociale e discriminazione: l'audiovisivo e il cinema

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À propos de ce livre

Si vuole iniziare questo excursus affrontando una problematica molto diffusa che si intreccia fortemente con le logiche discriminatorie che si tenta di avversare. La stigmatizzazione Ăš il fenomeno sociale che attribuisce una connotazione negativa a un membro (o a un gruppo) della comunitĂ  in modo da declassarlo a un livello inferiore. Oggetto di studio della sociologia e dell'antropologia a partire dagli anni sessanta, la stigmatizzazione Ăš uno strumento utilizzato dalla comunitĂ  per identificare i soggetti devianti.

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Informations

Éditeur
Youcanprint
Année
2021
ISBN
9791220350372

Gli altri sono contagiosi

Un’altra delle tante illusioni che il mio cervello produce Ăš il mio senso del sĂ©: Io mi avverto come isola di stabilitĂ  in un mondo in continuo mutamento.
La professoressa di italiano ù disperatamente volubile: così ben disposta fino a un minuto fa, e adesso così critica! Sono molto diverso da lei ma non posso fare a meno di riflettere i suoi cambiamenti di umore: E’ contagiosa: non posso fare a meno di imitarla!
Ma non ù solo lei ad essere così: lo ù ognuno di noi; sappiamo bene che l’empatia di cui siamo capaci ci consente di condividere automaticamente le azioni che vediamo compiere da altri.
Osserviamo due individui nel corso di una conversazione che li appassiona: li vedremo sincronizzare gradualmente le loro azioni, accavallare e distendere simultaneamente le gambe, piegarsi l’uno verso l’altro nel medesimo istante.
Quando interagiamo con qualcuno, lo imitiamo. Diventiamo piĂč simili a lui. Non abbiamo neppure bisogno di guardare gli altri perchĂ© tale contagio abbia luogo.
Uno studente entra nel laboratorio di psicologia e la sua “capacitĂ  linguistica” viene sottoposta a test. Deve trasformare liste di parole casuali in frasi. CiĂČ che non gli Ăš stato detto Ăš che la maggior parte dei termini si riferisce a stereotipi che hanno a che fare con gli anziani: preoccupato, vecchio, solo, grigio ecc. Lo sperimentatore, in realtĂ , non Ăš interessato alla capacitĂ  linguistica; misura la velocitĂ  con cui lo studente si allontana quando abbandona il laboratorio e cammina verso l’ascensore: gli studenti che sono stati “imbottiti” di parole “da anziani” camminano piĂč lentamente, si comportano come una persona di una certa etĂ  ma non sanno neanche che lo stanno facendo (Barg et al., 1996).
Gli altri sono estremamente contagiosi, persino se ci limitiamo a pensare a loro; i nostri pregiudizi e le nostre osservazioni del comportamento ci fanno automaticamente diventare, per un istante, piĂč simili alla persona con cui stiamo interagendo: questo ci facilita il compito di predire ciĂČ che faranno o diranno fra poco.
Allenare la “mentalizzazione” attraverso le immagini filmiche :”Che bel film, ho pianto tanto!”
.
L’immedesimazione nel sentimenti altrui puĂČ entrare in gioco persino quando siamo perfettamente coscienti di assistere a una finizione (Frith e Frith, 1999).
Non abbiamo bisogno di riprodurre integralmente il comportamento degli altri per coglierne la valenza emotiva; del resto, neanche la comprensione del significato delle azioni osservate richiede la loro replica. Pur coinvolgendo aree e circuiti corticali diversi, le nostre percezioni degli atti e delle reazioni emotive altrui appaiono accomunate da un meccanismo specchio che consente al nostro cervello di riconoscere quanto vediamo, sentiamo o immaginiamo fare da altri, poiché innesta le stesse strutture neurali (rispettivamente motorie o viscero-motorie) responsabili delle nostre azioni o delle nostre emozioni.
Nel caso delle azioni si Ăš sottolineato come tale meccanismo di risonanza non sia l’unico modo in cui il nostro cervello puĂČ afferrare atti e intenzioni altrui (GrĂšzes et al.,2004).
Lo stesso vale per le emozioni: Ăš possibile che esse vengano comprese anche sulla base di una elaborazione riflessiva degli aspetti sensoriali connessi alle loro manifestazioni sul volto o nei gesti degli altri, anche nella visione di un film; ma tale elaborazione presa di per sĂ©, senza cioĂš alcuna risonanza viscero-motoria, resta a livello di, per dirla con un autore la cui pregnanza non cessa di stupire, William James (1890), “una percezione soltanto cognitiva, pallida, fredda, destituita di qualsiasi colore emotivo”.
La comprensione immediata, in prima persona, delle emozioni degli altri, che il meccanismo dei neuroni specchio rende possibile, rappresenta il prerequisito necessario per quel comportamento empatico che sottende larga parte delle nostre relazioni interindividuali.
Condividere a livello viscero-motorio lo stato emotivo di un altro Ăš cosa, perĂČ, diversa dal provare un coinvolgimento empatico nei suoi confronti; per esempio se vediamo una smorfia di dolore non per questo siamo automaticamente indotti a provare compassione: ciĂČ spesso accade, ma i due processi sono distinti, nel senso che il secondo implica il primo, non viceversa.
Inoltre, la compassione dipende da altri fattori oltre al riconoscimento del dolore: per esempio da “chi ù” l’altro, dal ruolo che l’altro gioca nella nostra vita, dal fatto che siamo piĂč o meno in grado di metterci nei suoi panni, che abbiamo piĂč o meno intenzione di farci carico della situazione emotiva, dei suoi desideri, delle sue aspettative, ecc.; se Ăš qualcuno che conosciamo o contro cui non abbiamo nulla, la risonanza emotiva causata dalla vista del suo dolore puĂČ spingerci a compassione ovvero a pietĂ ; le cose, naturalmente, possono andare diversamente se l’altro Ăš un nemico o sta facendo qualcosa che in quella data situazione rappresenta per noi un potenziale pericolo; oppure se siamo dei sadici irriducibili, se non perdiamo occasione per godere della sofferenza altrui, ecc.: in tutti questi casi percepiamo il dolore dell’altro, ma non in tutti i casi tale pe...

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