Lâaffermazione della teoria dellâevoluzionismo
Se nelle scienze della vita lâOttocento puĂČ essere visto a ragione come il secolo dellâevoluzionismo, solo a partire dagli anni Cinquanta del Novecento lâevoluzionismo di derivazione darwiniana si affermerĂ come teoria unitaria della biologia, in molti casi divenendo un paradigma esplicativo utile anche in altri campi del sapere: dalla psicologia allâeconomia, dalla sociologia alla medicina, dallâantropologia allâepistemologia. Nel Novecento si adotterĂ lâapproccio evoluzionistico per spiegare, con un principio causale maggiore, molti fenomeni comuni sia ai viventi sia a quei sistemi culturali che dei viventi sono un prodotto dinamico. Il principio causale evocato Ăš quello di selezione naturale, la riproduzione differenziale di genotipi: un meccanismo anonimo capace di spiegare fenomeni che altrimenti richiederebbero un atto di fede nel soprannaturale, il ricorso a ipotesi finalistiche. La forza dellâevoluzionismo, come di qualunque solida teoria scientifica, sta nella sua capacitĂ di misurarsi con i dati empirici offrendo riscontri verificabili delle spiegazioni proposte. Consapevoli dellâenorme complessitĂ dei sistemi viventi, gli evoluzionisti, da Darwin sino ai contemporanei, non hanno mai avanzato pretese di perfezione teorica; al contrario il senso di provvisorietĂ e di relativa incompletezza hanno sempre caratterizzato la teoria darwiniana e quella sintetica dellâevoluzione. Questa relativitĂ della teoria, tuttavia, e tutte le regolazioni importanti e gli aggiustamenti che si sono succeduti per includervi le conseguenze di scoperte completamente nuove, come quelle collegate agli sviluppi della biologia molecolare, non ne hanno mai intaccato il cuore. Nel processo di evoluzione dellâevoluzionismo rimangono perfettamente riconoscibili lâidea darwiniana di discendenza con modificazione e lâidentitĂ della teoria della selezione naturale elaborata da Charles Darwin e da Alfred Russel Wallace, che sono ancora oggi il cuore e il baricentro della teoria dellâevoluzione. Il principio di selezione continua ad avere lo stesso potere esplicativo che aveva per Darwin: selezione naturale Ăš in effetti il nome del meccanismo che in presenza di variazione (genetica e ambientale) produce lâordine biologico e giustificandolo ne fonda il significato. Tuttavia va osservato che lâevoluzionismo attuale, in quanto modello di spiegazione di dati empirici del mondo vivente, non si riduce a a selezionismo giacchĂ© la moderna teoria dellâevoluzione (in perfetta coerenza con quanto sostenuto da Darwin) affianca alla selezione sia altri fattori responsabili dellâevoluzione (mutazione, deriva genetica, migrazione-flusso genico ecc.), sia nuove nozioni successive a Darwin e ai neodarwiniani. Questo per dire che lâattuale evoluzionismo non Ăš identico a quello di Darwin e dei suoi seguaci ottocenteschi, ma Ăš il frutto di quasi mezzo secolo di ricerca sfociata nella teoria sintetica dellâevoluzione.
Una parola, molte teorie
Contrapposto al fissismo ancora vivo nel Settecento, sostenitore dellâimmutabilitĂ e della costanza delle specie fin dalla loro creazione, lâevoluzionismo concepisce, la modificabilitĂ delle specie e la comparsa di specie nuove. La sua origine moderna Ăš nellâOttocento e Jean-Baptiste Lamarck, il primo naturalista capace di dimostrare scientificamente lâesistenza dellâevoluzione delle specie, ne viene riconosciuto come lâautore. Sono perĂČ Darwin e Wallace a individuare nel principio di selezione il meccanismo esplicativo dellâevoluzione, dato che Lamarck dellâevoluzione adattativa delle specie aveva fornito una spiegazione errata, basata sullâereditarietĂ dei caratteri acquisiti. Darwin in particolare elabora una teoria complessa e rifinita dellâevoluzione biologica. Dai tempi di Darwin le scienze della vita sono progredite enormemente e la teoria dellâevoluzione Ăš cambiata molto e in molti modi diversi, sicchĂ© si sono succeduti o hanno convissuto lâuno accanto allâaltro numerosi e differenti evoluzionismi. Un primo gruppo di teorie evoluzionistiche Ăš quello delle teorie autogenetiche accomunate dallâidea di una tendenza intrinseca nei viventi al progresso, al loro perfezionamento.
Lâidea di progresso, giĂ presente in Lamarck, si ritrova in molti biologi dellâOttocento e del primo Novecento. Per esempio, verso la fine dellâOttocento a seguito della scoperta delle cosiddette âserie fileticheâ di fossili prese piede in America una teoria autogenetica conosciuta come ortogenesi ; era questo il nome del principio di perfezionamento che fu adottato e diffuso nel tardo Ottocento da Theodor Eimer, uno zoologo di Tubinga. Tale principio si basa sullâidea di unâevoluzione lineare delle specie (esemplificata dallâevoluzione sequenziale dellâarto negli antenati del cavallo moderno) sostenuta da una forza non fisica, ma da una causa interna, che guida il mondo vivente verso una sempre maggiore perfezione. La visione di unâevoluzione orientata deriva dal lamarckismo, giacchĂ© la linearitĂ viene interpretata come il risultato operato sui caratteri da modificazioni ambientali, le quali, una volta acquisite vengono poi trasmesse alla progenie. Negli stessi anni di nascita dellâortogenesi, due studiosi americani, il paleontologo Henry Fairfield Osborn e lo psicologo James Mark Baldwin, e lo zoologo e psicologo inglese Conwy Lloyd Morgan, elaborano indipendentemente uno dallâaltro la teoria della selezione organica. Nellââeffetto Baldwinâ (la selezione organica Ăš anche conosciuta con questo nome) gli individui messi di fronte a un problema ambientale scelgono la risposta piĂč idonea, compatibilmente con le loro capacitĂ reattive. Una volta acquisita, la nuova abitudine (il ruolo del comportamento Ăš centrale nellâeffetto Baldwin) modifica il soma. Questo meccanismo non prevede lâereditarietĂ dei caratteri acquisiti (sebbene Osborn fosse incline a vedere nella selezione organica un meccanismo ponte tra la spiegazione lamarckiana e quella darwiniana dellâevoluzione); anzi la teoria affida allâeventuale insorgenza di mutazioni e allâazione selettiva la possibilitĂ di rendere ereditabili caratteri adattativi. Nellâeffetto Baldwin, tuttalpiĂč, câĂš lâidea che lâadattabilitĂ eco-etologica allâambiente possa stimolare una futura azione della selezione naturale in presenza di variazione genetica ereditabile, quando questa sarĂ disponibile.
Paleontologi come Osborn e il francese Pierre Teilhard de Chardin hanno elaborato varianti di evoluzionismo ortogenetico rispettivamente noti come âaristogenesiâ e âprincipio omegaâ. La teoria del gesuita francese rientra nel suo tentativo di accordare la teoria scientifica dellâevoluzione biologica con la dottrina cristiano-cattolica; la scienza con la fede. Lâevoluzionismo ortogenetico delinea lâimmagine di una discendenza con modificazione (il cosiddetto âalbero della vitaâ) dallâaspetto assai poco arborescente, al contrario dellâevoluzionismo darwiniano, ove la struttura ad albero dellâevoluzione dei grandi gruppi di organismi manifesta continue ramificazioni (dovute alla nascita di nuove specie) come esito di cambiamenti evolutivi imprevedibili e in qualche modo collegati ai mutamenti dellâambiente. Coeva e opposta allâortogenesi Ăš lââologenesiâ, unâaltra teoria autogenetica, quindi anche essa non darwiniana, nata in Italia e accolta favorevolmente in Francia. Il suo autore, lo zoologo piemontese Daniele Rosa (1857-1944), assume che ogni specie si sviluppi nella sua interezza. Per Rosa e gli ologenisti la forma dellâalbero della vita Ăš rigidamente dicotomica e il suo andamento ordinato Ăš dovuto agli effetti delle continue scissioni evolutive attraverso cui una linea filetica evolve, originando un âramo precoceâ e un âramo tardivoâ. Analogamente a quanto avviene alla cellula che si divide continuamente in due fino ad avere esaurito le sue potenzialitĂ , la variante ologenista dellâevoluzionismo ritiene vi sia allâinterno della specie una causa materiale che ineluttabilmente la obbliga a evolvere: unâevoluzione che termina con lâesaurirsi della vitalitĂ della specie. Tutto ciĂČ indipendentemente dal contesto ambientale. NĂ© Rosa nĂ© gli altri sostenitori di teorie evoluzionistiche per cause interne, riescono tuttavia a dimostrare lâesistenza di meccanismi evolutivi autogenetici.
Allâinizio del Novecento lâevoluzionismo darwiniano muove giĂ in cattive acque e quando vengono riscoperte le leggi di Mendel le sue condizioni di salute peggiorano. I genetisti sperimentali del primo Novecento, infatti, sostengono lâidea che il nucleo della teoria evolutiva debba essere rappresentato dalla variazione genetica e non dalla selezione naturale; inoltre siccome la variazione dei caratteri studiati si manifesta attraverso discontinuitĂ ne deducono che, analogamente, lâevoluzione stessa non possa che essere nel complesso discontinua. La mutazione diventava perciĂČ il meccanismo dellâevoluzione: ed ecco il mutazionismo. Negando il ruolo della selezione naturale e la dinamica gradualista dellâevoluzione, mendelismo e mutazionismo sono teorie evoluzionistiche antidarwiniane. Gran parte dei biologi sperimentali degli anni Venti e Trenta spiegherĂ la produzione di nuove specie e lâadattamento ricorrendo alle mutazioni del patrimonio ereditario. Inoltre, visto che un punto qualificante dellâevoluzionismo lamarckiano considera le mutazioni di per sĂ© adattative, non stupisce che la maggioranza dei genetisti fosse lamarckiana: lâadattamento procede senza bisogno della selezione. Sono antiselezionisti sia genetisti mendeliani e antigradualisti come William Bateson sia saltazionisti puri come Hugo de Vries: Ăš loro convinzione che le variazioni di tipo continuo siano troppo piccole per produrre pressioni selettive significative e che quindi la sorgente di variazione per lâevoluzione debbano essere solo le macromutazioni. Al contrario, Thomas Morgan, dopo avere sostenuto per oltre un ventennio posizioni antigradualiste e antiselezioniste, si converte al gradualismo una volta che constata su Drosophila molti esempi degli effetti evolutivi collegati a mutazioni di piccola entitĂ .
Mendeliani contro biometrici: la nascita della genetica di popolazione
Con la riscoperta delle leggi di Mendel, i genetisti del primo Novecento con una concezione particellare, mendeliania, dellâereditĂ si concentrano nellâanalisi della variazione genetica che presto indicano come principale causa del cambiamento evolutivo. A questa posizione subito si oppongono i biologi non genetisti di formazione naturalistica o statistica, non a caso legati a una concezione continuista e adattazionista della variazione e dellâevoluzione. In effetti, mentre i mendeliani possono facilmente osservare nei loro laboratori la produzione di singole cospicue mutazioni, ai naturalisti molto raramente capita altrettanto sul campo. Dunque, mentre i mendeliani danno grande rilievo alla variazione e in particolar modo a quella discontinua assai vistosa, i biometrici giudicano del tutto ininfluente il mendelismo per la teoria dellâevoluzione. I mendeliani sostengono che lâevoluzione sia eminentemente discontinua e sostanziata dalla mutazione; i biometrici, pur sostenendo correttamente lâimportanza del gradualismo nellâevoluzione, ancora credono, erroneamente, che lâereditĂ avvenga per mescolanza. Il contrasto appare inconciliabile e specialmente in Gran Bretagna Ăš molto acceso quando, negli anni Venti, in Inghilterra e negli Stati Uniti matura a opera di Ronald A. Fisher , di John B.S. Haldane e di Sewall Wright un approccio teorico allâevoluzione nato dal dibattito sulla continuitĂ dellâevoluzione (gradualismo) e sullâefficacia della selezione naturale (selezionismo). I lavori di Fisher sulla dominanza, il polimorfismo bilanciato e sul rapporto tra varianza genetica ed...