Umanistica_digitale
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Umanistica_digitale

Jeffrey Schnapp

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Umanistica_digitale

Jeffrey Schnapp

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Cos'Ăš, esattamente, l'Umanistica_Digitale? I metodi informatici applicati alla ricerca storico-artistica e letteraria sono forse la piĂč promettente tra le frontiere che stanno disegnando il nostro modo di concepire, trasmettere, conservare il sapere, e quindi la nostra stessa civiltĂ . Ma ancora non se ne sa molto. Questo libro apre uno spiraglio su un mondo finora conosciuto solo da pochi addetti ai lavori, offrendo un'ampia e aggiornata panoramica su metodologie e tecniche di analisi scarsamente familiari a chi si occupa di ricerca nei campi della letteratura, della storia, della filosofia, delle arti, ma indispensabili per traghettare il patrimonio di conoscenze e competenze tramandatoci da millenni verso il ventunesimo secolo e oltre. In un mondo in cui sempre piĂč si sente parlare di e-book e digital learning, di tablet, e-reader e LIM, le parole dei piĂč illustri studiosi del campo ci spiegano perchĂ© il binomio «informatica e umanesimo», per quanto in apparenza insolito, si riveli invece vincente per fare cultura, in ogni sua sfaccettatura.

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Informations

Éditeur
Mondadori
Année
2014
ISBN
9788852049408

METODI E GENERI IN VIA DI SVILUPPO

Un tempo la conoscenza umanistica aveva un aspetto familiare

La conoscenza umanistica ha mantenuto inalterate le medesime caratteristiche per secoli. Una cultura fondata sulla stampa, sulla pagina, sulla prosa lineare, sull’apparato bibliografico. Una cultura che prevedeva un autore e dei formati statici (il saggio, il libro). E sebbene il «contenitore» potesse variare – a livello materiale o estetico –, gli autori del «contenuto» non avevano voce in capitolo in merito al suo design. Salvo rare eccezioni, la ricerca umanistica ha applicato approcci e metodi omogenei. Ma gli artefatti digitali – ovvero creati per mezzo di strumenti digitali, talvolta fruiti in spazi digitali – presentano caratteristiche peculiari a livello di composizione, autorialitĂ , significato, circolazione, lettura, visualizzazione, navigazione, interattivitĂ  ed espressivitĂ  rispetto agli artefatti creati per il mondo della stampa.

I media digitali non sono piĂč «evoluti» dei libri stampati, e i libri non sono «obsoleti». Ma la proliferazione dei mezzi di comunicazione e l’estrema varietĂ  dei processi di mediazione e ri-mediazione nell’ambito della produzione culturale richiedono grande attenzione. Gli umanisti devono applicare alla cultura digitale la medesima analisi rigorosa sviluppata e affinata per la cultura della stampa. Un’analisi capace di illuminare gli aspetti mediali, sociali, culturali ed economici dei «testi» in esame. Nello specifico, Ăš fondamentale comprendere la natura peculiare e il potenziale della cultura digitale e, al tempo stesso, ripensare la funzione e il ruolo del sapere, la nozione stessa di cultura e di «pubblico» nel mondo dell’informazione globale. Gli umanisti devono, inoltre, progettare, produrre, criticare e, non meno importante, modificare creativamente gli ambienti e le tecnologie che rendono possibile questa ricerca. Una ricerca guidata non solo dall’interesse o dalla passione, ma dal desiderio di comprendere chi siamo, dove siamo e cosa significa tutto ciĂČ.
Obiettivo di questo capitolo Ăš fornire una possibile mappa dei metodi innovativi e dei diversi «modelli di conoscenza» in via di sviluppo nell’ambito dell’Umanistica Digitale. Il nostro intento non Ăš tanto proporre un elenco esaustivo o definitivo quanto fornire un’introduzione concettuale e teorica a pratiche in via di sviluppo nell’ambito della ricerca accademica. La nostra indagine prende avvio da una riflessione sull’impatto della tecnologia sull’analisi testuale. Ci chiederemo: come cambia lo studio degli elementi costitutivi di un testo e delle sue varianti nell’era elettronica? A nostro avviso, il digitale ha reso possibile nuove modalitĂ  di critica e di curatela che si fondano sul concetto di testualitĂ  fluida e «aumentata». Questa fluiditĂ  permette agli umanisti digitali di confrontarsi con una vasta gamma di dati, sia per quanto concerne la gestione delle informazioni, sia per quanto riguarda la modellizzazione dei risultati. L’alternarsi degli approcci ravvicinati e a distanza, macro e micro, di superficie e profonditĂ  si impone come norma. In questo capitolo ci soffermeremo sul ruolo svolto dalla visualizzazione nel contesto dell’Umanistica Digitale prima di passare a generi e metodi correlati, quali l’indagine situata, la mappatura spessa, gli archivi animati, i documentari di database, gli studi di piattaforma e altri studi in via di sviluppo quali l’analitica culturale, il data mining e l’umanistica ludica. Questi studi si collocano a loro volta all’interno di una matrice tecnologica che richiede, anzi esige, la manipolazione e il remix dei contenuti. Concluderemo questo capitolo esaminando la prospettiva utopica secondo cui una conoscenza massicciamente condivisa grazie alla rete potrĂ  dare vita a uno stato di «cultura ubiqua», a forme di partecipazione pubblica, di interconnessione e interazione significative.
Stiamo vivendo un momento particolarmente emozionante per le discipline umanistiche. Non solo perchĂ© Ăš emerso un sapere radicalmente differente rispetto al passato, ma anche perchĂ© questo sapere Ăš sperimentabile in nuovi contesti; Ăš prodotto in forma collaborativa, attraverso pratiche che coinvolgono comunitĂ  che prima d’ora non avevano contribuito alla ricerca accademica
Come si evince dall’indice sottostante, questo capitolo ù suddiviso in una serie di sezioni che riflettono altrettante aree di sperimentazione in via di sviluppo. Il successivo Possibili scenari fornisce esempi concreti e applicazioni di generi e metodi, che illustrano le caratteristiche essenziali dell’Umanistica Digitale.
– Curatela critica ampliata
– Edizioni aumentate e testualità fluida
– Scala: la legge dei grandi numeri
– Distante/ravvicinato, macro/micro, superficie/profondità
– Analitica culturale, aggregazione e data mining
– Visualizzazione e design dell’informazione
– Indagine situata e mappatura spessa
– Archivio animato
– Produzione di conoscenza distribuita e accesso performativo
– Umanistica ludica
– Codice, software e studi di piattaforma
– Documentari di database
– Contenuti modificabili e cultura del remix
– Infrastrutture pervasive
– Pratica accademica ubiqua.
Curatela critica ampliata
raccolte digitali edizioni critiche multimediali pubblicazioni ampliate sperimentali e spaziali mix fisico e digitale argomentazioni basate su oggetti
Il collezionismo e la curatela caratterizzano da sempre la cultura umanistica. Nella letteratura antica, l’elenco, la catalogazione e l’inventario erano considerati strumenti fondamentali della comunicazione poetica. Ad esempio, gli inventari ricorrono con sorprendente frequenza nei testi di Esiodo, Eschilo, Sofocle ed Euripide; le 120 tavole dei Pinakes dell’epigrammista Callimaco sono un catalogo ragionato di tutti gli autori e di tutte le opere contenute nell’immensa Biblioteca di Alessandria; le Argonautiche di Apollonio Rodio si aprono con una dettagliata descrizione degli Argonauti. L’enorme proliferazione di cataloghi tipica dell’epica omerica attesta che il genere letterario della catalogazione puĂČ tradursi in brillanti descrizioni. In questo senso, essa non va confusa con la lista della spesa, con la sua scheletrica organizzazione, ma nemmeno con un esaustivo inventario con esplicite intenzioni didattiche. Si tratta, piuttosto, di una composizione che si sviluppa lungo la linea di confine tra la raffigurazione verbale e quella visiva con l’obiettivo di ottenere compattezza e concisione informativa. Poema in un poema, condensato di nomi, azioni, cose, il catalogo Ăš un’arte mnemonica, ma anche strumento di compressione di dati. In altre parole, nella composizione poetica, katalĂ©gein svolge la medesima funzione dell’algoritmo di compressione ma anche di decodifica da parte del pubblico, ventisei secoli prima che il termine «digitale» venisse usato per indicare il codice binario (0 e 1).
Il collezionismo e la curatela sono espressioni della cultura umanistica di straordinaria persistenza. Le incontriamo nell’antichità remota come nelle prime corti medievali, nelle accademie di epoca barocca come nelle università del diciannovesimo secolo. Entrate in crisi nella ventesimo secolo, oggi hanno riacquistato la piena centralità grazie all’Umanistica Digitale.
L’accumulazione e la conservazione del sapere erano di primaria importanza all’interno delle culture classiche, pre-moderne e della prima EtĂ  moderna. Le opere in circolazione erano poche e frammenti di esse godevano di un’importanza a priori, per cui venivano automaticamente conservati, trasmessi e riutilizzati indipendentemente dal fatto che venissero o meno integrati in una struttura coesa o in un sistema di credenze. L’abbondanza e la copiatura (dei documenti) erano considerati aspetti intrinsecamente positivi in queste circostanze, e il collezionismo era funzionale alla raccolta, alla conservazione e all’accesso alle informazioni. Con la diffusione della stampa e la nascita delle moderne istituzioni della memoria (orientate alla raccolta e alla conservazione sistematica) si afferma un nuovo regime caratterizzato dalla proliferazione di dati storici e di materiali culturali. Questa trasformazione sollecita una ridefinizione dello stato e del valore delle informazioni, che perdono il loro statuto di «bene a priori». Le informazioni diventano allora un supporto alla produzione della conoscenza. In altri termini, diventano la pre-condizione, ma non la sostanza, della conoscenza.
Si afferma, in questa fase, la necessità di valutare criticamente il rapporto fra originale e copia, l’autorialità di un determinato artefatto o di un gruppo di artefatti, la progettualità di un’impresa. Questi criteri si affiancano e presto soppiantano l’accumulo indiscriminato delle informazioni. Seguendo il modello che si era affermato nelle corti della prima età moderna, caratterizzato da committenti e collezionisti, sul finire del diciannovesimo secolo emergono nuove figure professionali, equipaggiate di un arsenale di strumenti tecnici, scientifici e analitici, alle quali viene affidato il compito di tutelare le testimonianze del passato: archivisti, curatori di musei, catalogatori e bibliotecari. Queste figure si affiancano a quelle degli studiosi professionisti, sebbene la distinzione tra le due categorie non fosse mai assoluta, come conferma il ruolo degli studi di attribuzione nella storia dell’arte e delle edizioni critiche nell’ambito degli studi letterari. Ciononostante, assistiamo all’emergere di due mondi istituzionali paralleli, due mondi che la rivoluzione digitale sta finalmente mettendo in comunicazione diretta alla luce di nuove circostanze.
Questo collegamento prevede molteplici configurazioni: raccolta/collezione digitale e curatela da parte di un singolo studioso all’interno e all’esterno di archivi digitali esistenti come nuova pratica accademica; modalitĂ  multimediali di argomentazione basate su oggetti anzichĂ© discorsi; unione di media digitali audiovisivi con oggetti fisici in spazi espositivi esperienziali; pubblicazione aumentata dei risultati di ricerca supportata dai documenti d’archivio e da altre informazioni; collaborazioni su larga scala che si traducono in un’opera scientifica strutturata in termini geo-spaziali; edizioni critiche di artefatti mediali che circondano un artefatto primario attraverso elementi multimediali anzichĂ© esclusivamente testuali. Tutto ciĂČ Ăš, inoltre, alimentato dalla spinta a una ricerca innovativa, dalla gamma notevolmente ampliata di materiali culturali prodotti e collezionati da specifiche istituzioni (archivi, musei, laboratori), ma anche da individui e aziende; dalla maggiore accessibilitĂ  a queste collezioni da parte di specialisti e non specialisti grazie alla loro diffusione via internet; infine, dalla crisi della stampa accademica, nonchĂ© dalle nuove tecnologie editoriali (o post-editoriali) che rendono possibile la realizzazione di progetti e di modelli che operano su scale impensabili sotto il regime della stampa (vedi Scenario 2, Scenario 3 e Scenario 5).
Si dice che la Biblioteca di Alessandria d’Egitto avesse archiviato circa mezzo milione di rotoli di pergamene, quantificabili in decine di migliaia di opere. A venti secoli di distanza, Google Books ha scansionato circa 14 milioni degli oltre 130 milioni di libri presenti nelle librerie fisiche di tutto il mondo. Questo significa che uno studioso contemporaneo puĂČ accedere facilmente a circa 500 volte l’intero corpus del sapere disponibile nel mondo antico senza dover nemmeno consultare un secondo archivio letterario o vagare per i corridoi di una grande biblioteca di ricerca. Questa cifra cresce esponenzialmente se volgiamo la nostra attenzione in un’altra direzione, ignorando, per un momento, il concetto di «libro» e di «opera»: consideriamo cioĂš categorie come artefatti stampati, lettere, registrazioni sonore, dipinti, fotografie, oggetti, telegrammi, pagine web, messaggi di posta elettronica, blog, tweet.
La rilevanza e la portata di queste «collezioni» – per tacere della crescente produzione di raccolte di documenti multimediali – superano di gran lunga le capacitĂ  di gestione delle tradizionali istituzioni della memoria. La situazione si complica ulteriormente se consideriamo le esigenze di conservazione scientifica: in tale ambito, le istituzioni hanno incontrato enormi difficoltĂ  a gestire le informazioni prodotte nell’era analogica. La situazione potrebbe peggiorare. Nonostante gli sforzi eroici per contenerla, la mole di materiali spesso inaccessibili, conservati in scantinati o archiviati fuori sede, Ăš destinata a esplodere in un ambiente nel quale il sovraccarico di informazioni rappresenta la norma. E ciononostante la necessitĂ  di esaminare vasti insiemi di dati, di separare le informazioni preziose dalla spazzatura, Ăš considerata un pre-requisito. Pratica essenzialmente scolastica, la curatela critica oggi deve fare i conti con un mondo editoriale e post-editoriale in espansione.
Nel linguaggio comune, il termine curatela si riferisce alla supervisione e all’organizzazione di artefatti fisici archiviati o presentati a un pubblico. Le origini del termine sono tuttavia teologiche. Curatela deriva da curato, un presbitero a cui era assegnato il compito di assistere – curare, appunto – le anime dei morti. Il termine curatela Ăš tornato in auge in tempi recenti, fino a esplodere in ogni settore della cultura. Ha persino conquistato la sfera aziendale. Articoli dai titoli evocativi – Viviamo nell’era della curatela, PerchĂ© auto-definirsi «curatore» Ăš una mossa vincente – dominano i blog e le newsletter aziendali. La popolaritĂ  del termine curatela Ăš riconducibile alla necessitĂ  di amministrare in modo intelligente enormi quantitĂ  di dati, poichĂ© il proliferare di informazioni, artefatti e oggetti non Ăš piĂč sufficiente a garantirne la qualitĂ . Curare significa filtrare, organizzare, lavorare e, in ultima analisi, «prendersi cura di» una storia creata a partire da un’infinita gamma di possibili racconti, reperti e voci. Nell’ambito umanistico-digitale, la curatela indica un ampio ventaglio di pratiche di organizzazione e rappresentazione delle risorse culturali collettive, miranti a creare valore, impatto e qualitĂ .
Edizioni aumentate e testualitĂ  fluida
marcatura strutturata
elaborazione del linguaggio naturale struttura relazionale
analisi testuale varianti e versioni mutabilitĂ 
Per svariati secoli, le edizioni critiche – versioni accurate, affidabili di un testo, accompagnate da commenti, note e informazioni contestuali – hanno svolto un ruolo centrale all’interno delle discipline umanistiche. Originariamente concepite per la Bibbia ebraica e per il Nuovo Testamento, le prime edizioni critiche ambivano a soppiantare ogni precedente versione, facendo leva sulla propria autorevolezza. L’affermazione di questo nuovo genere e la maturazione dell’analisi testuale hanno messo in risalto le instabilità e le incertezze insite nel processo di redazione, offrendo ampio spazio per il commento e l’annotazione, il confronto delle varianti testuali, la stemmatica,1 gli studi di paternità, la redazione, la trascrizione e l’attività di traduzione.
Il digitale permette di aggregare molteplici versioni di una singola opera al fine di monitorarne l’evoluzione, prendendo atto delle varianti esistenti e visualizzando l’intera matrice comparativa. L’insieme degli strumenti necessari per il trasferimento di testi in ambito digitale ù particolarmente adatto per tale pratica editoriale. L’uso di approcci strutturati e di etichette (tag) per l’identificazione di persone, temi, luoghi o caratteristiche testuali fornisce un possibile approccio per massimizzare l’indagine intellettuale di documenti e visualizzare queste interpretazioni. Grazie al miglioramento e all’ampliamento della marcatura (il processo di codifica utilizzato nelle trascrizioni), molte sfumature di analisi testuale sono diventate parte integrante del set di elementi interpretativi. Oggi non possiamo semplicemente identificare e riconoscere un elemento testuale, ma siamo anche in grado di stabilire la sua relazione con altri elementi o entità (parte di, derivato da, cugino di, versione di, e così via). In un contesto digitale, le stesse procedure ora possono essere estese ad altre tipologie di materiali culturali, come registrazioni audio, video e film (vedi Scenario 2).
La testualitĂ  fluida si riferisce alla mutevolezza dei testi caratterizzati da differenti versioni e varianti, laddove queste siano prodotte attraverso modifiche autoriali, redazione, trascrizione, traduzione o processi a stampa. Certo, non va dimenticato che i testi sono sempre stati relativamente fluidi e modulari. Ma l’avvento dell’elaboratore di testi (word processor) ha reso ancora piĂč significativa questa dimensione della testualitĂ . Gli scrittori hanno mostrato grande entusiasmo per la possibilitĂ  di tagliare e incollare intere porzioni di testi senza dover necessariamente riscriverle. L’idea di trasformare un’opera modificandone formato e caratteri tipografici con pochi clic e comandi della tastiera ha stimolato immaginazione e creativitĂ . Alla sua prima manifestazione, l’ipertesto era un concetto nuovo e intrigante, caratterizzato da un linguaggio innovativo composto dai nodi, collegamenti e sentieri biforcanti, una matrice in grado di generare narrazione dinamiche che, nonostante l’origine cartacea, hanno assunto un’aura di novitĂ  nel momento in cui sono state riconfigurate per i nuovi media.
Una maggiore fluiditĂ  consente la manipolazione e la lavorazione automatica di elementi testuali che sono stati introdotti attraverso l’elaborazione del linguaggio naturale (detta anche NLP, dall’inglese Natural Language Processing) e di altri strumenti per l’analisi testuale. Cambiamenti globali, ricerche, sostituzioni, elenchi, riordini – queste e altre attivitĂ  possono essere svolte attraverso comandi che trattano un testo come un oggetto sul quale Ăš possibile eseguire operazioni alternative rispetto a quelle della lettura convenzionale. Nel suo stato piĂč fluido, un file di testo puĂČ essere utilizzato per generare un risultato non verbale. Una stringa ASCII o un testo digitato possono essere convertiti in forma sonora o visuale, stampati in tre dimensioni, trasformati in disegno, in modello o in un’altra possibile risorsa da reinvestire per un nuovo progetto in un medium differente da quello del linguaggio verbale. I testi sono continuamente manipolati, riproposti e rielaborati per differenti canali e diversi tipi di pubblico.
Alla fluiditĂ  dei testi si accompagna una corrispondente variabilitĂ  in termini di identitĂ  autoriale. Un secondo effetto riguarda la moltiplicazione degli autori: solitamente, un testo digitale richiede un’attivitĂ  collettiva e collaborativa. Lavorare con i media digitali spesso comporta un ordito e una trama compositi la cui «testualità» c...

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