Le cronache di Narnia - 3. Il cavallo e il ragazzo
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Le cronache di Narnia - 3. Il cavallo e il ragazzo

C.S. Lewis, Chiara Belliti

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  1. 210 pages
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Le cronache di Narnia - 3. Il cavallo e il ragazzo

C.S. Lewis, Chiara Belliti

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TERRA 1940 - NARNIA 1014 «Come vorrei che potessi parlare, amico mio.» Shasta non poteva immaginare che rivolgendosi così a un cavallo, ne avrebbe avuto risposta. Ma Bri ha il dono della parola perché viene da Narnia, terra felice da cui è stato rapito e a cui vuole tornare. La stessa terra che Shasta desidera esplorare da sempre. Comincia così un viaggio fitto di insidie, avventure e nuovi amici, che sarà per loro una prova di cuore, coraggio e saggezza.

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Informations

Éditeur
Mondadori
Année
2012
ISBN
9788852027024

RABADASH IL RIDICOLO

Come Cor aveva preannunciato, dopo la curva successiva abbandonarono il sentiero fra gli alberi e apparve il castello di Anvard. Era circondato da prati verdi e alle spalle un’alta catena boscosa lo proteggeva dal vento del Nord; sembrava una costruzione antica, realizzata con una pietra marrone che tendeva al rosso.
Prima che i compagni raggiungessero la porta, re Luni venne loro incontro. Portava abiti comuni, piuttosto malandati, e non dava l’impressione di essere un sovrano, almeno secondo l’idea che se ne era fatta Aravis. Si scusò, spiegando di essere appena tornato da una visita ai canili in compagnia dei cacciatori, e aveva avuto a malapena il tempo di lavarsi le mani. Ma salutò Aravis con un tale inchino che un imperatore non avrebbe saputo fare di meglio.
— Madamigella — disse il re — sii benvenuta. Se la mia amata moglie fosse fra noi saresti stata accolta in modo, come dire, più sfarzoso, ma posso assicurarti che siamo felici di averti qui e cercheremo di fare del nostro meglio. Conosco la tua storia e so che sei stata costretta a lasciare la casa di tuo padre, la qual cosa, come posso immaginare, è fonte di dolore. È stato mio figlio Cor a parlarmi di te, delle tue peripezie e del tuo coraggio.
— È lui il vero eroe, signore — rispose Aravis. — Lui ha affrontato il leone per salvarmi.
— Cosa? — esclamò il re, mentre il volto gli si illuminava. — Non conosco ancora questa parte del racconto.
Fu così che Aravis narrò com’erano andate le cose, senza tralasciare alcun particolare. E Cor, che fino a quel momento aveva desiderato che qualcuno raccontasse a suo padre il famoso episodio (visto che lui non aveva il coraggio di farlo), adesso si sentì piuttosto ridicolo e quasi si vergognava.
Ma al sovrano il racconto piacque molto e nelle settimane che vennero lo sparse ai quattro venti: cosa che a Cor non fece molto piacere.
Il re salutò Uinni e Bri con una gentilezza pari a quella che aveva riservato ad Aravis. Si fermò con loro, desideroso di avere qualche notizia sulle rispettive famiglie, e chiese in che zona di Narnia avessero abitato prima di essere catturati. I cavalli ebbero non poche difficoltà a rispondere, visto che non erano abituati a essere trattati alla pari dagli esseri umani adulti. Con Aravis e Cor, come abbiamo visto, era tutta un’altra cosa.
Poco dopo la regina Lucy uscì dal castello e si unì a loro. Re Luni disse ad Aravis: — Cara, voglio presentarti una grande e preziosa amica della nostra famiglia. Ha controllato che tutto sia in ordine nei tuoi appartamenti, e ti assicuro che è stata più brava e accorta di quanto avrei potuto essere io.
— Ti va di andare a vedere le tue stanze? — chiese Lucy, baciandola sulle guance.
Fra le due ragazze nacque una simpatia immediata e ben presto si allontanarono insieme, intente a discutere la sistemazione che era stata predisposta per Aravis, gli abiti che le avrebbero procurato e tutto quello di cui parlano le ragazze in simili occasioni.
Dopo il pranzo servito in terrazza – a base di arrosto, sformato di cacciagione, pane e formaggio, il tutto annaffiato con del buon vino – re Luni aggrottò le sopracciglia, fece un lungo sospiro e disse: — Ragazzi miei, quel Rabadash è ancora fra noi. Dobbiamo risolvere il piccolo problema: come regolarci?
Lucy sedeva alla destra del re, Aravis a sinistra, Edmund a capotavola e Darrin di fronte a lui. Dar e Peridan, assieme a Cor e Corin, sedevano dalla parte opposta del re.
— Maestà, avresti tutto il diritto di fargli tagliare la testa — intervenne Peridan — perché grazie alla sua aggressione insensata si è comportato né più né meno come un assassino.
— È vero, ma anche un traditore può redimersi. Una volta ho conosciuto uno che lo ha fatto — concluse Edmund, pensieroso.
— Uccidere Rabadash significherebbe guerra sicura contro Tisroc. È forse quello che vogliamo? — chiese Darrin.
— A me di Tisroc non importa un fico secco — ribatté finalmente re Luni. — La sua forza è nel gran numero di soldati di cui dispone, ma non riusciranno mai ad attraversare il deserto. Piuttosto, io non avrò il coraggio di uccidere un uomo a sangue freddo, sia pure un traditore. In battaglia gli avrei tagliato la gola con sommo piacere, ma così…
— Secondo me, sire — intervenne Lucy — dovresti offrirgli un’altra possibilità. Lasciarlo andare libero, dietro solenne promessa che in futuro si comporterà in modo più corretto e rispettoso. Chissà, forse manterrà la parola.
— Forse quello scimmione imparerà cosa significhi essere buoni e onesti — sospirò Edmund — ma giuro che se dovesse cascarci di nuovo, gli staccherei la testa dal collo con queste mani.
— Figli miei, voglio darvi ascolto. Che venga fatto entrare il prigioniero.
Rabadash fu portato in catene al loro cospetto. A vederlo, sembrava uno che avesse passato la notte in una sordida prigione, senza mangiare e senza bere. In realtà era stato rinchiuso in una comoda stanza e gli era stata servita un’ottima cena; ma, dato che aveva un brutto carattere, aveva disdegnato il cibo e non aveva fatto altro che percorrere la stanza in lungo e in largo, per tutta la notte. Per questo non aveva un bell’aspetto.
— Principe, mi sembra superfluo ricordarti che, secondo le leggi che regolano i rapporti fra gli stati e il quieto vivere, siamo autorizzati a chiedere la tua testa. Ma considerando che sei ancora giovane, che non sei stato educato secondo i principi della morale e del rispetto e non hai mostrato di possedere un briciolo di gentilezza e cortesia… almeno qui da noi, perché sono certo che ti comporti ben diversamente nella terra di schiavi e tiranni che è la tua patria, abbiamo deciso all’unanimità di lasciarti libero, a certe condizioni. Primo…
— Cane di un barbaro! — gridò Rabadash. — Pensi davvero che accetterei le tue condizioni? Blateri tanto di educazione e principi, ma io non ne so nulla. Certo, è facile con me qui in catene, ma strappami questi ceppi, dammi una spada e ti farò vedere se c’è ancora qualcuno che ha voglia di discutere!
Principi e lord balzarono in piedi. Corin gridò: — Padre, posso prenderlo a pugni? Ti prego, ne ho una voglia…
— Calma, signori, vi invito alla calma — pregò re Luni. — Possibile che il sarcasmo di questo pagliaccio sia sufficiente a compromettere la nostra armonia? Corin, siedi o abbandona questa tavola. E in quanto a te, principe, ti prego di ascoltare le nostre condizioni.
— Non accetto condizioni da barbari e negromanti — gridò Rabadash. — Nessuno di voi oserà torcermi un capello, ma gli insulti di cui mi avete coperto saranno lavati con un mare di sangue di Archen e Narnia. La vendetta di Tisroc sarà terribile comunque, ma se mi ucciderete le terre del Nord verranno bruciate e scarnificate, e il racconto degli orrori che si abbatteranno su di voi terrorizzerà il mondo per mille anni a venire. Attenti, attenti a voi! Il fulmine di Tash cala dall’alto!
— … E forse troverà un uncino a metà strada — commentò ironicamente Corin.
— Vergogna, Corin, vergogna! — tuonò il re. — È disdicevole prendersi gioco di qualcuno quando si è il più forte. Smettila, ti prego.
— Stupido Rabadash — sospirò Lucy.
Cor si chiese perché tutti si fossero alzati all’improvviso e sembrassero pietrificati. Naturalmente, anche lui aveva seguito l’esempio degli altri. Ecco la spiegazione: Aslan era apparso al centro della sala, anche se nessuno si era accorto del suo arrivo. Rabadash osservò l’immensa figura dell’animale che si era piazzato fra lui e gli accusatori.
— Rabadash — disse Aslan — sta’ bene attento. Un tragico destino sta per abbattersi su di te, ma sei ancora in tempo per evitare il peggio. Abbandona l’orgoglio (di cosa mai dovresti sentirti orgoglioso?), dimentica la rabbia (chi ti ha ferito, chi ti ha fatto del male?) e accetta di buon grado la grazia di questi magnanimi sovrani.
Rabadash strabuzzò gli occhi, spalancò la bocca in un ghigno simile a quello di uno squalo e mosse le orecchie in su e in giù (potete imparare a farlo anche voi, se volete). Era un espediente che a Calormen funzionava sempre, come Rabadash aveva sperimentato più volte: i coraggiosi tremavano davanti a quelle smorfie, la gente comune cadeva in ginocchio e le persone più sensibili svenivano. Ma Rabadash non aveva capito che è facile terrorizzare qualcuno solo quando si ha il coltello dalla parte del manico e si può disporre della vita altrui con una parola. Lì ad Archen le sue boccacce non facevano paura: Lucy temette addirittura che stesse poco bene.
— Tu sei un demone — gridò il principe prigioniero. — Lo so, sei il demone immondo di Narnia, nemico di tutti gli dèi. Ma non sai chi sono io, orribile fantasma. Hai davanti un discendente di Tash, l’inesorabile, l’invincibile. La maledizione di Tash pende sulla tua testa. I suoi strali si abbatteranno sotto forma di orridi scorpioni. Le montagne di Narnia si ridurranno in polvere…
— Attento, Rabadash, attento — disse quietamente Aslan. — Il tuo tragico destino sta per compiersi. È vicino, sempre più vicino. È alla porta, ormai, e ha sollevato il paletto.
— Possano aprirsi i cieli, possa sprofondare la terra, possano il sangue e il fuoco distruggere il mondo intero, non desisterò dal mio proposito fino a che non avrò trascinato per i capelli la regina dei barbari dentro il mio palazzo, quella figlia di cani rabbiosi…
— La tua ora è suonata — lo interruppe Aslan. Rabadash si accorse con orrore che l’uditorio era scoppiato a ridere. Non potevano farci nulla, era più forte di loro, perché mentre Aslan parlava, Rabadash aveva continuato a dimenare le orecchie, ma quando il leone disse: «La tua ora è suonata» gli crebbero a dismisura e diventarono sempre più lunghe, oltre a coprirsi di una peluria grigiastra. Mentre i presenti si chiedevano dove avessero già visto orecchie simili, il viso di Rabadash cambiò: si fece più lungo e con la fronte massiccia, gli occhi sempre più grandi, il naso sembrò essere riassorbito nella faccia (o per meglio dire, la faccia scomparve e si trasformò in un naso enorme), mentre il tutto si copriva di peli. Anche le braccia si allungarono, fino a che le mani toccarono terra: solo che a ben guardarle non erano mani, ma zoccoli. Il principe si reggeva su quattro zampe, gli abiti dissolti nel nulla, circondato dai presenti che ridevano a crepapelle. Come avrebbero potuto fermarsi, se Rabadash era stato trasformato in un asino?
La cosa più terribile fu che a trasformazione avvenuta, vale a dire quando il principe ebbe perduto ogni sembianza umana, gli venne meno anche la parola. Lo sventurato ebbe appena il tempo di dire: — Oh, no, un asino no! Magari un cavallo, al massimo un mulo, ma un asi… iigh… iih… iihòòò!
— E adesso ascoltami bene, Rabadash — disse Aslan. — La giustizia va di pari passo con la clemenza, perciò non sarai asino per sempre.
A queste parole l’asino girò le orecchie in avanti e la cosa non poté che suscitare l’ilarità di re Luni e della corte. Di nuovo, tutti scoppiarono a ridere: avevano cercato di trattenersi, ma posso assicurarvi che era impossibile.
— Ti sei appellato a Tash — proseguì Aslan — e nel tempio di Tash si scioglierà l’incantesimo. Quest’anno, durante la grande festa d’autunno, dovrai recarti al tempio di Tash a Tashbaan, e stare immobile davanti all’altare del dio. Sarà allora che, in suo nome, le sembianze dell’asino lasceranno il posto a quelle umane e tutti riconosceranno in te il principe Rabadash. Ma per il resto della tua vita, se ti allontanerai più di quindici chilometri dal tempio, ti trasformerai di nuovo in asino. Con la differenza che, se questo dovesse accadere, la trasformazione sarebbe irreversibile. In poche parole, rimarresti asino per sempre.
Per qualche istante il silenzio calò nella sala, poi la gente cominciò a muoversi e a scambiarsi occhiate, come appena svegli da un grande sonno. Aslan non c’era più, ma l’aria e l’erba soffice del prato erano soffuse di luce e nei cuori di tutti era la gioia, prova tangibile che non avevano sognato. E comunque c’era un asino, davanti a loro!
Re Luni, che era il più buono e generoso dei sovrani, vedendo il nemico ridotto in quelle condizioni sentì sbollire la rabbia.
— Principe — concluse — mi spiace che le cose siano arrivate a questi estremi. Sei testimone che quanto è accaduto non è imputabile a noi: in ogni caso ci impegniamo a farti riaccompagnare a Tashbaan per il… ehm… trattamento che Aslan ti ha prescritto. Confida pure che riceverai tutte le attenzioni degne di un personaggio del tuo rango. Tornerai a casa nella migliore delle galere destinate al trasporto del bestiame, e naturalmente ti saranno offerte le carote più fresche che si trovino nelle nostre terre.
Ma il raglio sordo dell’asino e il calcione che assestò a una delle guardie fecero capire al re che l’ospite non aveva gradito le gentilezze che gli aveva appena prospettato.
E ora permettetemi di concludere la storia di Rabadash. Egli (o esso) fu portato a Tashbaan e accompagnato al tempio di Tash, alla grande festa d’autunno. Lì riprese le sembianze originarie e tornò ad essere uomo. Naturalmente centinaia di fedeli assistettero alla trasformazione e non fu possibile mettere a tacere la cosa. Quando, alla morte del vecchio Tisroc, Rabadash venne incoronato al suo posto, divenne il più buono e pacifico re che il regno avesse conosciuto. Questo perché, non osando allontanarsi più di quindici chilometri da Tashbaan, non poté partecipare ad alcuna campagna militare, e visto che era un grande egoista e aveva paura di perdere il trono, non inviò altri tarkaan al suo posto: temeva che potessero conquistarsi fama e prestigio a suo danno. Per le piccole province di Calormen fu un toccasana, giacché finalmente vissero in pace. I sudditi, per di più, non dimenticarono che Rabadash era stato tramutato in asino, e se durante il regno fu soprannominato Rabadash il Pacificatore, dopo la morte lo ricordarono con un nomignolo diverso. Se qualcuno vuole saperne di più, può consultare un buon manuale di storia di Calormen (magari ce n’è uno nella biblioteca del vostro quartiere) alla voce Rabadash il Ridicolo.
Ad Anvard, nel frattempo, erano tutti felici e contenti e in un clima di grande allegria si consumò la festa organizzata nel prato del cast...

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