Allâinizio dellâepoca early modern le commedie romantiche di Shakespeare disegnano una nuova concezione dellâamore, in cui traspare unâimmensa novitĂ nel modo di pensare il femminile e il maschile, e la relazione tra uomo e donna.
Se sotto il segno dellâamore sâera presentato in Europa nel XII secolo un profondo rinnovamento spirituale e culturale; se il secolo XII era stato il secolo dellâamore, se non altro perchĂ© vide lâuscita di due straordinari testi â La contemplazione di Dio e Natura e DignitĂ dellâamore, di Guglielmo di Saint-Thierry, e di un terzo, altrettanto affascinante, di Bernardo di Clairvaux, Lâamore di Dio â di quale tipo di amore, quello, fu il secolo?
Allâalba di quel secolo nel nord della Francia e in altri paesi europei prese forma il grande mito medievale dellâamour-passion, e iniziĂČ la straordinaria fioritura del romanzo cortese, dove cavalleria e amore si intrecciavano in un affair assai speciale, la finâamor â un amore di dame e cavalieri, che ruotava intorno a un piacere differito, se non negato; un piacere che cresceva grazie allâostacolo; un amore che vuoi perchĂ© la dama si negava, vuoi perchĂ© lâamante amava di lontano, godeva dellâimpossibilitĂ . SĂ che piĂș che con lâamato in carne e ossa lâamante aveva a che fare con il fantasma. Sono questi gli anni in cui Maria di Francia componeva i suoi Lais, e a ridosso delle universitĂ si diffondeva la poesia latina dei goliardi, godereccia e sensuale. Mentre verso la fine del secolo Andrea Cappellano tentava una sintesi esemplare della concezione dâamore nel trattato De amore, ispirato ai grandi modelli ovidiani dellâArs amatoria e dei Remedia amoris.
Lâinflusso di Ovidio in veritĂ permea tutta la letteratura erotica e cortese nel Medioevo. E anche se in lontananza, incombe sulla riflessione monastica sullâamore. Entrando in campo Dio, naturalmente il fantasma dellâamato per lâamante ingigantisce, fino ad assumere proporzioni massime, impossibili. Ovvero, le dimensioni del grande Altro, come lo chiama non Lacan, ma Emily Dickinson â che da grande mistica, da grande eretica qual Ăš, lo chiama anche il grande Ladro, colui che le ruba lâesistenza. Ma intanto, da quel furto nasce la sua poesia.
Lâanima stessa â insegnano gli antichi maestri â Ăš un effetto dellâamore, e cresce nel coraggio di sopportare la relazione intollerabile con lâEssere supremo che i philoi â i veri amanti â scelgono. I quali veri amanti sono hors-sexe, al di lĂ , o al di qua, del sesso.
La poesia â sempre la poesia si nutre di fantasie mistiche, e nel caso della poesia dâamore cortese spesso si sostanzia del medesimo vocabolario dâimmagini che ritroviamo nei trattati di questi antichi maestri. Nei quali trattati, appunto, il grande Altro che lâamante corteggia, e desidera, Ăš Dio. Ă a questo amore che istruiscono Bernardo e Guglielmo rivolgendosi a dei monaci, cioĂš a dei giovani uomini che hanno intrapreso la strada della castitĂ , della devozione. I quali perĂČ non rinunciano affatto allâamore, anzi non fanno altro che parlare dâamore. E parlandone lo nobilitano, lo rendono sublime. PerchĂ© sublime Ăš lâamore che guarda in alto, sublime lâenergia che sviluppa nellâanima, quando con slancio il corpo si solleva dal peso naturale e muove al cielo. La beatitudine, la jouissance bisogna saperla cercare, e a questa prova guidano maestri come Guglielmo e Bernardo. Istruendoci a distinguere tra le affezioni naturali â che sono quattro: amor, laetitia, timor, tristitia â quella che ci trasporta in alto, e non ci precipita nellâamore cattivo. PerchĂ© il cuore scivola nel ventre, quando prevale il brutale appetito della carne.
Se si vuole avere scienza dellâumano, lâarte dellâamore Ăš la porta a cui bussare. Tutto si gioca intorno allâamore. Ă da qui che si afferra il nodo della matassa, per arrivare a conoscere lâuomo. E la donna. Bisogna cominciare dallâamore, e fare con pazienza la differenza tra lâamor carnalis, che Ăš lâamore con il quale lâuomo ama se stesso â affetto in sĂ© non peccaminoso, che non va nĂ© soffocato nĂ© represso, ma dovrĂ venire sgrossato, raffinato, sgrezzato. Fino a riuscire a trasformare il senso interno dellâanima in amor intellectualis, in un amore conoscente, che ci guidi a riconoscere nel mondo, attraverso lâaltro, noi stessi. E la cosa meravigliosa Ăš che la conoscenza amorosa Ăš unâesperienza concreta, e lâamore, trasformandosi in un sesto senso illuminato, assapora la dolcezza di un non so che di amato, piĂș che di pensato â di gustato, piĂș che compreso. E questo non so che, penetrando lâamante â cosĂ promettono questi trattati â, gli permetterĂ di palpare con le sue proprie mani la sostanza di ciĂČ che in effetti non vede e non conosce, e di afferrare almeno in ombra lâamato inafferrabile. Giungendo a godere della presenza che non câĂš e dellâassenza che câĂš.
Ă a tutti gli effetti straordinaria la lingua che i teologi usano, anzi, inventano; paradossale, ossimorica, poetica in sommo grado. E travolge, incanta. E al tempo stesso stupisce che a parlare cosĂ siano uomini che hanno scelto volontariamente il celibato, eunuchi di Dio, asceti volontari, i quali perĂČ, appunto, non per questo sono pronti a rinunciare al discorso dâamore.
Anzi, se la forza dellâamore terreno che vincola gli amanti mondani non puĂČ che languire, quando Ăš rivolto allâAltro lâamore cresce, e il linguaggio sâinfiora di immagini straordinarie. Si parla allora di mele e melograni, dello sposo assente, di presenza e di memoria, e si superano le differenze di sesso, perchĂ© chi cerca lâamore di Dio accetta la femminilitĂ come una condizione generosa, ricca, la sola che effettivamente e affettivamente lega in amore. Uno strano piacere Ăš evocato, erotico, carnale e spirituale insieme⊠Mistico.
E viene in mente la statua di santa Teresa del Bernini. Basta guardarla per vedere che gode, non câĂš dubbio, Ăš cosĂ. E di che cosa gode? Di che cosa godono i mistici, le mistiche? Del discorso, della lingua che inventano per corteggiare il grande Altro.
Del resto, di che cosa godiamo, leggendo le commedie shakespeariane? Se non di una jouissance che si realizza nel tripudio della lingua, dove gli amanti si corteggiano e godono parlando?
Ă quanto scopriremo leggendo, nella consapevolezza, intanto, che questi sono testi teatrali, e proprio perciĂČ impongono la prima, cardinale, e piĂș generale veritĂ riguardo al discorso dâamore, e cioĂš che la differenza tra uomo e donna dovrĂ intendersi in quanto convenzione. Segno. Come a dire, il sesso si rappresenta in maschera a teatro â forse non solo a teatro; ma di certo a teatro cogliamo con piĂș chiarezza il fatto che non necessariamente le identitĂ sessuali alludono a essenze naturali, che le presuppongano.
Qui, in questo teatro, in particolare, lâattore Ăš sempre e comunque un travestito, e il suo gesto non va interpretato in senso espressivo, psicologico. Tanto Ăš vero che io attore-uomo posso fare la donna, come io-plebeo il re. Se interpretassimo il gesto in modo realistico come una finta, la finta piĂș estrema, e piĂș oltraggiosa sarebbe quella di un meccanico, di un lavoratore qualunque, che fa il re; questa sarebbe in sĂ©, in questa cultura, una effrazione piĂș grande, piĂș offensiva, di quella di un ragazzo che fa la donna.
In questo teatro niente affatto illusionistico, dove i ruoli femminili sono interpretati da ragazzi vestiti da donna, il travestito non Ăš un giovane maschio mascherato da donna con ricorso a sfumature, a tocchi veristi, a costose simulazioni; niente affatto. Se funziona teatralmente questo scambio, o cross-dressing, Ăš al contrario perchĂ© per il breve tempo che dura, la rappresentazione riesce a essere un artificio la cui veritĂ si sostiene allâambiguitĂ di un significante il cui rimando non Ăš nĂ© clandestino (gelosamente mascherato), nĂ© furtivamente sottolineato (da strizzatine dâocchio equivoche). Lâattore, in questo senso, non imita, non recita la donna: la significa. Travestito Ăš il gesto della femminilitĂ , non il suo plagio. La femminilitĂ , ripeto, non Ăš pensata come una essenza naturale; Ăš una evocazione tanto simbolica, quanto di convenzioni. Il che rafforza il sentimento âconvenzionaleâ della differenza sessuale. La mascherata non maschera, semmai mette in scena le costruzioni del maschile e del femminile e nel mentre le suggerisce, smentisce le attese piĂș convenzionali. PerchĂ© un drammaturgo come Shakespeare gioca con le attese della sua audience nella coscienza condivisa che dopotutto in scena sono boy-actors.
Anche per questo motivo insieme con questo teatro si apre in tutti i sensi una nuova epoca, quanto al discorso dâamore. E ai suoi piaceri. Cose nuove stanno accadendo ai tempi, complicando di conflitti spinosi lâesistenza storica, ma anche liberandola verso una piĂș piena libertĂ . Ă unâepoca, questa, nella quale Ăš in gestazione una nuova ideologia, fresca fresca e giĂ in albore alto-borghese, che partorirĂ negli anni a venire, proprio riguardo alla relazione tra i sessi, nuove leggi e nuovi canoni. Che trasformeranno le esistenze di tutti, grazie a nuove idee e nuovi ideali â e sappiamo quale sconquasso possono provocare gli ideali! Le quali idee e ideali sfoceranno in nuove forme di pensiero, e a loro volta in nuove forme di vita, in cui la differenza uomo/donna giocherĂ secondo altre mosse.
Ma prima di avviarci in una allegra decostruzione â perchĂ© non puĂČ essere che gay le savoir di tali modelli e convenzioni â occorrerĂ fare una pausa, e scansare gli equivoci. Almeno, alcuni equivoci.
Intanto, visto che qui si parla di uomini e di donne e di come si incontrano in amore, bisognerĂ fare riferimento al discorso che incornicia i loro amplessi, e qui, in Inghilterra, con Shakespeare, non Ăš stilnovistico lâamplesso. O se câĂš sullo sfondo quellâamour â che, come sempre giocando con profitto con il suono delle parole, Lacan avvicina non solo per magia fonetica a le mur, il muro; un amore, cioĂš, che sbatte sempre contro il muro dellâostacolo; un amore, in altre parole, bello e impossibile; se sullo sfondo viene evocato quel tipo di amore, Ăš nel senso parodico in cui Shakespeare ha giocato con tale memoria in Romeo e Giulietta, e ora farĂ di nuovo nel Sogno dâuna notte di mezzâestate, nellâepisodio di Piramo e Tisbe â amanti stilnovisti, che si amano per lâappunto attraverso un buco, un buco nel muro. Non conosco presa in giro, parodia dellâamour de loin piĂș beffarda.
La notte di mezza estate Ăš la notte magica nel cuore dellâestate che segna il solstizio estivo. In omaggio al Sole giunto al suo zenith, la notte che cadeva tra il 23 e il 24 giugno era una notte di baldoria, con sottotoni magici, pagani. Ancora ai tempi di Shakespeare in quella notte si andava nei boschi, si accendevano fuochi, si danzava, si vegliava al chiarore di una luna che bagnava di luce bianca â erano le notti bianche di allora, notti di amore â alberi e amanti, âtoccandoliâ come fosse il solleone. Si favoleggiava di riti divinatori, di pratiche magiche, di incontri fatali: chi si incontrava in quella notte, non si sarebbe piĂș lasciato, come se il destino disvelasse trame altrimenti nascoste. Era la notte giusta per raccogliere erbe dai poteri soprannaturali, capaci di risvegliare in ogni creatura lâistinto della libido dâamore. Come accadeva anche nelle feste di maggio, si celebrava il potere erotico della Natura, che allâinizio della primavera suggeriva lâintuizione di profonde complicitĂ tra lâenergia vitale della creatura e la potenza della stagione. FinchĂ©, appunto, scoppiava la midsummer madness, una specie di follia da solleone. Apparivano i fuochi fatui, fiammelle che ingannavano i viandanti, facendo loro perdere la strada. Se i viandanti si smarrivano era per seguire quelle fiamme ingannevoli, dietro alle quali câerano degli spiriti, che avevano nomi differenti, tra cui Puck, che compare nella commedia.
In unâatmosfera di folklore e superstizione il titolo fin da subito colloca il Sogno di una notte di mezza estate sullo sfondo della follia di impulsi naturali disinibiti, e invita a prendere le cose dellâamore come illusioni, ombre, sogni. La parola âsognoâ ha del resto per gli elisabettiani, che non prestavano attenzione allâinconscio, anzi ritenevano lâinterpretazione dei sogni una superstizione, un valore peggiorativo. Come di fola, ubbia, fandonia, frottola.
SenonchĂ©, in corso dâopera, il senso della parola âsognoâ cambia: allâinizio Elena, una delle fanciulle in fuga per amore, avvicina la parola âsognoâ al sentimento dââamoreâ, e al processo della âmetamorfosiâ. Titania, la regina delle fate, e Bottom, lâoperaio ateniese soggetto della metamorfosi, confermano tale significato con la loro avventura: nel loro caso âmetamorfosiâ e âsognoâ si congiungono nella potenza trasformativa di un amore visionario, che tramuta incidenti volgari in estasi sublimi. SĂ, certo, quando amiamo, câĂš chi potrebbe dire che sogniamo, Ăš vero: non vediamo piĂș la realtĂ per quello che Ăš. Nella trasfigurazione della realtĂ in sogno, o per amore, avviciniamo esperienze dal carattere iperreale, surreale, visionario. Le quali possono essere, dâaccordo, forme di delirio, di rapimento, e anche di autoinganno. Ma anche no; anzi, possono intonarci a cogliere altri accordi della musica dellâesistenza.
In questo senso saggiamente Teseo, il signore di Atene, addita la segreta affinitĂ tra il folle, lâamante e il poeta. E se cosĂ come la declina, lâaffinitĂ decade in negativo verso unâidentitĂ che li rassomiglia tutti in quanto venditori di fumo, commercianti in fuochi fatui; al tempo stesso, in accordo con quanto accade nella commedia, per amore e in sogno e in poesia la realtĂ si accende di nuove e vitali, vitalissime figurazioni. Non a caso Bottom, alla fine, volge il significato di âsognoâ in quello di âvisioneâ e il significato di âvisioneâ in una esperienza di realissima irrealtĂ , che oltrepassa le usuali e convenzionali distinzioni tra vero e falso, tra veritĂ e finzione. SĂ, proprio Bottom, lâumile Bottom, ci Ăš maestro nel passaggio oltre le barriere tra il reale e lâirreale, oltre il vero e il falso, verso un altro grado di conoscenza. PerchĂ©, si badi bene, Bottom â lâumilissimo operaio ateniese scelto dalla regina delle fate quale amante, a cui donare il piacere dellâamplesso â non ha affatto âsognatoâ lâamore di Titania: le carezze lascive di Titania le ha ricevute, era sveglio, e tra quelle carezze si Ăš poi addormentato, ed Ăš stata unâesperienza che ha vissuto, non immaginato, la sua. In realtĂ , non in sogno, ma realissimamente Bottom ha âconosciutoâ in senso âiniziaticoâ le carezze della Dea. E se come tutti i veri iniziati non ne puĂČ parlare, Ăš perchĂ© Ăš muto il rapporto al godimento. Orfeo non lâha forse detto che lâamore Ăš privo di occhi? Forse che non sappiamo dal mito, dalle favole, che Eros predilige le tenebre?
Bottom Ăš qui per dire la stessa cosa: lâamore Ăš cieco, ma trasporta a nuove visioni. A nuova vita. Anzi, Ăš vita nuova. Rara.
Che âla visione piĂș raraâ sia affidata a una testa dâasino, Ăš un paradosso che tramanda Erasmo. Un altro paradosso che ereditiamo da questa commedia Ăš che chi nel nome proprio di Bottom ci trasporta al significato del nome comune bottom, ovvero al fondo su cui poggiano le cose e le persone (bottom Ăš giĂ usato nel senso di âderetanoâ, âculoâ, âposterioraâ in epoca elisabettiana, anche se accreditato piĂș tardi); bene, proprio lui che nomina quella parte del corpo umano che poggia a terra, proprio lui Ăš il tramite dellâelevazione verso la veritĂ piĂș alta. E profonda.
Un arazzo di fate e regine e asini.
Il Sogno Ăš un trionfo di tessitura, un arazzo dove si combinano i fili e motivi piĂș disparati e vari. Da Chaucer e Spenser a Reginald Scot e a Lyly, da Ovidio a Apuleio, Shakespeare risolve poesia, mitologia e folklore in una miscela perfetta; fonde senza timore di anacronismi (ci sono, ma sono discreti, e non disturbano) le fonti classiche e medievali con quelle contemporanee, i modi del teatro popolare e le figure letterarie della tradizione alta, apprestando combinazioni prelibate di ingredienti per i palati piĂș raffinati, senza tuttavia negare il piacere della risata scostumata. E se dĂ alla commedia un gusto classico (in armonia col setting ateniese), lâaggettivo âclassicoâ Ăš declinato alla maniera elisabettiana â ovvero, il passato non Ăš affatto un museo di figure ricostituite una per una secondo correttezza e proprietĂ , in ossequio alle regole del restauro archeologico; ma Ăš piuttosto parte di una tradizione vivente, che nei secoli si Ăš contaminata con altri sapori, ha preso altri significati e assunto diversi propositi, e proprio perciĂČ Ăš ogni volta ritrovata come una fonte fresca, da alterare ancora, da modificare senza pensiero di oltraggio. Come sempre Shakespeare mescola folklore e letteratura classica, mito e favola; operazione in fondo propria della cultura autoctona, che ha la vocazione di mescolare la tradizione letteraria, vuoi classica, vuoi medievale, con le credenze religiose, con le superstizioni, con la pura fantasia.
Sono cosĂ fitti gli echi, le riprese, i rimandi, che il termine stesso di «fonte» va ripensato. A volte ci troviamo di fronte a citazioni volute â citazioni e rimandi, anche a sĂ© stesso, a opere sue proprie, da parte di Shakespeare. Altre volte affiorano invece ricordi involontari, memorie inconsapevoli, che dimostrano come la mente di Shakesp...