Poco dopo lâimbrunire il maresciallo Lopez parcheggiĂČ la Bonneville in una delle strade laterali nei pressi del SĂ ntu Totaru, e si avviĂČ a piedi verso lo studio dellâavvocato De Pascalis.
Il menhir di Martano era un monolite antichissimo alto quasi cinque metri, presente sul territorio da millenni e successivamente inglobato tra gli edifici del centro cittadino in seguito allâespansione edilizia. Si chiese se davvero nascondesse ai suoi piedi un tesoro di monete dâoro e dâargento sorvegliato dagli spiriti maligni, come raccontavano le leggende tramandate dalle nonne ai loro nipotini.
La prima cosa che notĂČ arrivando in via Piave fu il glicine. Una cascata di fiori lilla ricopriva la cancellata del villino signorile risalente ai primi del Novecento. RestĂČ qualche minuto ad aspirarne il profumo, lasciandosi trasportare dalla memoria olfattiva come da una macchina del tempo. Sua nonna ne aveva uno simile, sul retro della casa. RicordĂČ se stessa bambina, in una delle poche estati in cui era stata felice. Seduta su un gradino, allâombra del rampicante, sulle ginocchia un piattino di coccio e dentro una friseddhuzza dâorzo, conzata col riddhru, il succo dei pomodori condito con olio e sale.
La vertigine la colse mentre liberava la vecchia targa di bronzo dal fogliame e ne leggeva lâincisione: STUDIO LEGALE AVV. GIUSEPPE DE PASCALIS â DOTT. PROC. MAURO DE PASCALIS.
Si fermĂČ a respirare profondamente prima di varcare il cancello, poi attraversĂČ il giardino, salĂŹ pochi gradini e premette il pulsante a lato del portoncino. Pochi secondi dopo, uno scatto automatico la invitĂČ a entrare. Una volta nellâanticamera, per un attimo pensĂČ di aver sbagliato indirizzo, ma lâuomo alto e atletico che arrivĂČ a riceverla si presentĂČ proprio come lâavvocato De Pascalis.
«Aveva un appuntamento?» chiese esitante chinandosi verso la ragazza. «Temo che la mia segretaria abbia dimenticato di segnarlo in agenda.»
La Lopez raddrizzĂČ le spalle e affilĂČ la voce. «Sono il maresciallo Lopez del comando provinciale di Lecce, ho bisogno di alcune informazioni su delle pratiche da lei curate in passato.»
Lâavvocato non si scompose. «Prego, maresciallo, si accomodi e mi dica in cosa posso esserle utile.»
La introdusse in un ampio salone liberty che assomigliava piĂč a uno studiolo privato che a un ufficio e la fece accomodare su una poltroncina vicino a una grande scrivania ingombra di libri e incartamenti. In sottofondo le note del violoncello di Stjepan Hauser creavano unâatmosfera rilassata. Chicca osservĂČ lâavvocato, poi si guardĂČ intorno: le pareti erano rivestite da vecchie librerie piene di libri antichi, di collane dei digesti, di oggetti personali. Cornici, trofei, targhe ricordo. Vecchie cartoline. Su un paio di tavoli di noce erano accatastati centinaia di faldoni di pratiche e vecchie sentenze. Alle pareti, lauree e ritratti di famiglia nelle cornici di legno scuro.
«So a cosa sta pensando» disse lâuomo interrompendo il flusso delle sue riflessioni. «Era lo studio di mio padre, ma da quando Ăš mancato otto anni fa non me la sono sentita di toccare nulla. Lei Ăš giovanissima e non mi crederĂ , eppure le assicuro che con gli anni si diventa sentimentali.»
Il maresciallo sorrise. Uno dei suoi rarissimi, abbaglianti sorrisi. «Si puĂČ essere sentimentali anche a trentâanni, si fidi. A ogni modo ha fatto bene, questo studio le assomiglia.»
De Pascalis annuÏ. «Ha ragione, credo sia stata la prima a notarlo. Assomigliava anche a mio padre. In cosa posso esserle utile?»
«à una vecchia storia che sto ricostruendo con la pazienza della formica, seguo molte tracce e una di queste mi ha portata fino a qui.»
«Di che si tratta?»
«Di due dichiarazioni di morte presunta, la prima risalente agli inizi del millennio, lâaltra a una decina di anni fa.»
Lâavvocato aggrottĂČ la fronte, pensieroso. «Io mi occupo di cause penali e mio padre seguiva tutto il civile, ma se mi dice i cognomi proviamo a fare una ricerca.»
«Si tratta di Cesare Puzzovio e di Eva Maci, scomparsi nella primavera del 1999. Sappiamo che le famiglie si sono rivolte a questo studio per la dichiarazione di morte presunta, anche se in tempi diversi. Mi interessava sapere perché proprio qui e qual Ú il filo conduttore che ha portato due nuclei che non avevano buoni motivi per essere legati tra loro a scegliere lo stesso legale.»
«Purtroppo non avendo seguito le pratiche non posso aiutarla perĂČ mi faccia guardare se ho i fascicoli, altrimenti mi lasci qualche giorno per verificare le carte, magari salta fuori qualcosa.»
De Pascalis si alzĂČ, girĂČ intorno alla scrivania e controllĂČ sommariamente un paio di faldoni. «Purtroppo non li trovo, ma se mi dĂ un paio di giorni di tempo chiedo alla segretaria di fare una ricerca in archivio. Nel caso dovesse saltare fuori qualcosa le telefono.»
«Grazie, avvocato, Ú stato molto gentile.»
«Si figuri, dovere.»
«Allora la saluto.»
«Aspetti un attimo. Ci tengo a dirle una cosa, non ho seguito la pratica e non so nulla di cosa Ú successo in seguito, ma conoscevo Eva.»
«Caspita, questa Ú una sorpresa!»
«Non si stupisca, maresciallo, il Salento degli anni Ottanta era ancora un piccolo mondo, ed Eva la conoscevano tutti. Dâestate villeggiavo a SantâAndrea, che come saprĂ non Ăš distante da Roca Vecchia. Eva era la piĂč bella ragazza della zona, bella e selvaggia, âcrestaâ come dicono qua. Su di lei correvano voci e leggende e ogni ragazzo di quegli anni ha sognato di averla per sĂ©, me compreso.»
«Conosco la zona, sĂŹ. Di che voci e a quali leggende si riferisce? Mi interessa ogni dettaglio che la riguarda e a questo proposito devo informarla che quella che sto seguendo Ăš unâindagine per omicidio.»
«Accidenti.»
«Le leggende, dicevamo» insisté la Lopez con la cocciutaggine che la caratterizzava.
Lâavvocato tirĂČ fuori un mezzo sigaro dalla tasca e si accarezzĂČ la testa. «Si diceva che fosse matta come un cavallo, che la pazzia fosse pari solo alla sua bellezza, che se la baciavi diventavi cieco, o pazzo, o morivi annegato. Probabilmente erano voci messe in giro da madri preoccupate per i loro figli o da altre ragazze gelose. Non ho mai visto Eva insieme a unâamica, la odiavano tutte.»
«E lei, anche lei lâha desiderata?»
«Anchâio, sĂŹ. Era davvero bellissima, bianca, bionda, lucente e magica come un unicorno.»
«Che strano paragone.»
«Crede? Non ha conosciuto Eva, altrimenti non parlerebbe cosÏ.»
«DovâĂš finita?»
«Non ne ho idea, molti anni fa sentii dire che si era messa con un latitante e se nâera andata allâestero, ma le chiacchiere, dovrebbe saperlo, sono come una valanga. PiĂč rotola e piĂč sâingigantisce.»
Il maresciallo si alzĂČ, la visita era finita. OcchieggiĂČ il desktop del computer, intravide una panchina tra due tamerici davanti al mare e il sole che sorgendo sullâacqua colorava di rosa ogni cosa, poi guardĂČ lâavvocato.
«Aspetto sue, dottor De Pascalis.»
«Senzâaltro. La chiamo in settimana. Lâaccompagno.»
«Grazie.» Scese i tre gradini, poi si voltĂČ verso lâavvocato. «à stato innamorato di lei?» disse, con il tono che tradiva una certa malizia.
De Pascalis sorrise. «Come tutti, maresciallo. Come quei ragazzini di unâepoca che si innamorarono di Marilyn Monroe. Eva fu la nostra piccola Marilyn salentina, e come lei forse Ăš morta troppo presto. Uno dei motivi per cui rimarrĂ indimenticabile.»
«Arrivederci, avvocato, vado.»
«Buonasera, dottoressa Lopez.»
Il sabato era il giorno piĂč difficile, quello in cui la tentazione di cercare Flavia era forte come un dolore al fianco. Era il giorno in cui le famiglie facevano la spesa per la settimana, andavano al cinema o a mangiare la pizza, lo stesso in cui piĂč di ogni altro le cadeva addosso la solitudine di tutti i suoi ventotto anni.
Si svegliĂČ che era giĂ inquieta e controllĂČ il telefono. Nessuno lâaveva cercata, nemmeno Carmine. La faccenda di Santa Croce aveva compromesso i loro rapporti, Carmine la riteneva responsabile della chiusura a tempo indeterminato del cantiere, si era convinto si trattasse di un capriccio e poco credeva a delitti e chiacchiere varie. «Sei drammatica, ragazza mia» le aveva detto qualche sera prima al telefono. «Vedi complotti e delitti ovunque, anche nel cantiere di una chiesa in restauro. Dovresti pensare piĂč a te che al lavoro» le aveva consigliato con tono scocciato prima di chiudere la comunicazione e darle la buonanotte.
A Chicca per il nervoso era venuta una specie di orticaria e aveva continuato a grattarsi le gambe e a spalmare la pomata antistaminica per tutta la notte. Avrebbe percorso ogni metro del Salento, ispezionato ogni anfratto e interrogato metĂ della popolazione di tutta la provincia se fosse stato necessario, ma avrebbe risolto il caso. Ormai era una questione di orgoglio, una faccenda tra lei e il griko. Da quel momento nessuno dei due aveva cercato lâaltro e Chicca si era sentita ancora piĂč sola di prima.
Stese i panni in giardino, spazzĂČ i pavimenti, preparĂČ un sughetto con pomodori freschi e basilico, annaffiĂČ i gerani. Cercava di riempire gli spazi con piccole abitudini, ma non bastava. PensĂČ a un luogo bello dove poter trovare calore e le venne in mente LâIdrusa.
La libreria di Michela prendeva il nome da quello di una ragazza di Otranto vissuta nel XV secolo, al tempo dellâinvasione dei turchi. Raccontava la leggenda che Idrusa fosse bellissima e ribelle, amante delle arti e della poesia, ma che, vittima dei pregiudizi e delle imposizioni dellâepoca, a diciassette anni venne data in sposa a un uomo che non amava. Lâincontro con un bellissimo ufficiale spagnolo le accese sensi e passione ma durante la notte in cui venne consumato lâadulterio suo marito morĂŹ in un naufragio. In preda ai sensi di colpa scacciĂČ lâamante dal suo letto e da Otranto. Sempre la leggenda raccontava che, quando arrivarono i saraceni, mise a rischio la propria vita per salvare alcuni bambini, ma poi preferĂŹ conficcarsi un pugnale nel petto pur di non cadere nelle loro mani. Dedicarle una libreria era un gesto bellissimo, fatto da una ragazza a unâaltra ragazza cinquecento anni dopo.
ParcheggiĂČ nel cortile e salĂŹ di corsa i pochi gradini che portavano alla libreria. Michela era seduta sul pavimento con le gambe incrociate a raccontare fiabe. Intorno a lei una decina di bambini con libri colorati tra le mani. Le mandĂČ un bacio con le dita.
«Se non hai fretta, tra un quarto dâora al massimo finisco e andiamo a bere uno Spritz. Intanto guarda negli scatoloni e in quello scaffale a destra della cassa: ci sono i nuovi arrivi e i libri prenotati, anche quelli che mi hai chiesto.»
«Ah, grazie. Come faccio a trovare i miei?»
«CâĂš un post-it con i nomi dei clienti per ogni prenotazione. Sono tanti, ma cosĂŹ non ti annoierai ad aspettarmi.»
«E chi si annoia? Qui Ăš il paradiso» replicĂČ Chicca con un sorriso.
RestĂČ ad ascoltare per un poâ i racconti di draghi, sirene e stelle, poi cominciĂČ a frugare tra i volumi in cerca di quelli che aveva ordinato: un romanzo di Goliarda Sapienza e un manuale di motociclismo. Ci mise una decina di minuti per trovare i suoi: i volumi prenotati erano quasi un centinaio e si divertĂŹ a spiare i gusti degli altri. I romanzi storici e la saggistica per gli uomini, la letteratura per le signore, i classici per gli studenti. Michela aveva ragione, la poesia non la leggeva nessuno. Câera solo un volume, sul fondo dello scatolone. Un libro corposo, color giallo paglierino. La Lopez lesse la dicitura: Salvatore Toma, Poesie (1970-1983). Con dita nervose cercĂČ tra le pagine il fogliettino e lâindicazione del cliente. Era attaccato sulla quarta di copertina...